Due poesie nello stile del secondo Eugenio Montale e di Dada, “Cabaret Voltaire” e di Amelia Rosselli scritte dalla Intelligenza Artificiale Copilot, un festival del falso e dell’ibrido linguistico – Il Mangiaparole n.27-28 – 17×24 pp.120 € 18
cari Giuseppe Talia e Lucio Mayoor Tosi,
adesso la pubblicità si è impadronita anche delle categorie ermeneutiche di Roland Barthes: «Zero calcare – Zero calorie – Zero zuccheri – Zero alcool etc.» – E la politica : «Zero corruzione, Zero tasse, Zero dazi, Zero conflitto sociale…» rivelando con questi frasari che la pubblicità e i linguaggi pubblicitari sono Intelligenti, funzionano per vampirismo, rubano e assemblano e riassettano versus lo Zero significato, ovvero, versus la zona di compromissione delle adiacenze dell’io-sovrano, versus l’autofiction, versus l’infanzia quale paradiso fiscale esentasse e esente da qualsiasi responsabilità (politica, etica e estetica).
Questa discesa culturale del poetico e delle autofiction versus l’infanzia è un mitologema, è soltanto un miserabile ricettacolo dove ci puoi trovare di tutto, anche il mondo salvato dai ragazzini e le mie poesie non cambieranno il mondo che, in sé, sono delle tautologie. Da che mondo è mondo la poesia non ha mai salvato nessuno. Ipse dixit.
La poesia dis/topica non pensa che il mondo sarà salvato dai ragazzini o che le mie poesie non cambieranno il mondo, questi sono fatuità, gratuità di un pensiero acritico che non pensa. La poesia dis/topica sta bene attenta a non replicare queste fatuità, a non sublimare o mitizzare l’infanzia!, lì non c’è altro che il malsano, ricordi dolorosi, smembrati, irriconoscibili… L’infanzia va trattata, caro Lucio e caro Giuseppe, come il bel mito che l’età adulta infelice vorrebbe farci credere. Questo concetto dell’infanzia è come il chewing gum, che va masticato e masticato… In realtà il linguaggio crea se stesso. È il linguaggio il promotore della realtà, o meglio, del Reale…
Il pubblico? Anche questo è un mitologema. Io quando scrivo non penso certo al pubblico o all’«interlocutore» di cui ci parlava Osip Mandel’štam negli anni Dieci del novecento. Non facciamoci illusioni: non c’è nessun pubblico, e forse mai ci sarà. Sanguineti con il suo Laborintus (1956) ha dovuto faticare le fatidiche sette camicie per riuscire ad imporlo; per fortuna per lui gli anni cinquanta-sessanta erano rivoluzionari, per questo motivo è riuscito ad imporlo, con l’aiuto della grancassa del Gruppo 63 e dello sperimentalismo. Le ceneri di Gramsci sono riuscite ad imporsi grazie alla personalità spericolata e pubblicitaria del loro autore: Pasolini. Oggi, invece, la normologazione è imperante e invasiva, le cose sono molto, molto più difficili, le consorterie letterarie sono diventate più impermeabili e si sono diffuse a macchia d’olio; gli ostacoli derivano dal nostro modo di vita, dal sociale (come si diceva una volta), dagli ideologemi, dalle pratiche della normologazione della civiltà mediatica e dei social, che sono invasive e invisibili.
Il market e il marketing sono delle vere e proprie grammatizzazioni, producono ideologemi, cioè costituiscono la grammatica della Simbolizzazione e del Reale.
E poi la cosa chiamata tradizione. Quando qualcuno parla di tradizione là c’è il tranello, la tradizione è un fuori contesto, oggi dobbiamo rassegnarci a non poter più contare su alcuna tradizione, e chi la tira in ballo è un imbonitore nel migliore dei casi o uno sciocco nel peggiore. Non c’è via di uscita, stiamo sempre tra il Simbolico e il Reale, si oscilla in perpetuo tra il Simbolico e il Reale, e ritorniamo sempre nel Reale, allo stesso posto. L’unico augurio che posso fare ai cittadini, ai promotori della nuova poesia e ai lettori è che ognuno perda se stesso, si perda nel linguaggio, senza alcuna intenzionalità (che è sempre il deposito delle ideologie). Perdersi quindi nel linguaggio per poter[vi]si ritrovare, solo questo Vi posso augurare. Il kitchen e il distopico sono esattamente questo perder[vi]si. Ed è quello che fa la poesia dis/topica.
La nuova ontologia estetica, la poetry kitchen, la narratività distopica nelle loro diverse diramazioni, possono essere definite un festival dell’ibrido linguistico che dichiara apertamente che non si può più fare una poesia che parla della poesia, o un romanzo che parla del romanzo (che finiscono sempre nell’onanismo della parole e nel soggettivismo); in realtà la poesia che qui stiamo negoziando (che resta nel gozzo ai poeti di fede), non è affatto una meta-poesia (che ricade sempre nel luogo comune della poesia che riflette sulla poesia), ma una poesia che celebra il decesso già avvenuto della poesia (elegiaca e no). In questa accezione, la poesia e la meta-poesia che si fanno oggi, nell’epoca della IA, sono operazioni da obitorio perché nate in obitorio, una scrittura da vivisezione degli organi vitali di un cadavere; una sorta di operazione medico legale fatta su un cadavere.
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.Due poesie nello stile del secondo Eugenio Montale riscritte dalla IA Copilot
I
Mi è indifferente saperti parte
della tridimensionale apocatastasi del mondo.
Probabilmente sei vittima anche tu
del tradizionale olocausto dei rumori,
dei motori a scoppio, degli aggeggi ad orologeria,
cloak of chaos del nostro tempo cappuccio di tenebre.
Ai marchingegni del mio tempo preferisco
una passeggiata all’hotel Excelsior,
davanti ad una tazzina di caffè e una brioche
mio unico diletto tetrapharmacon.
Considero insensato indulgere sull’orlo
di un burrone a osservare le stelle
o precipitare nella pirosi come Plinio il vecchio.
Quanto a me, mi dichiaro bulimico
vivo al cinque per cento.
E tanto mi basta.
II
Il retro dell’inferno è fitto di
quisquilie e di oltraggi, pachidermi
del non senso, del posterius, del prius.
È nel fiume dell’Averno che diguazzano
i morti con le loro toghe attillate.
Il teatro dell’inferno è gremito
di voci oscure, vocabolario infantile
che mostro come un re espone il proprio mantello
regale; i diletti del giorno di nozze
sono lontani, stantii, soliloqui
d’un demente senile, d’un dio ottuso.
Un demone ricciuto contempla i
bambini che giocano tra i licheni e le agavi.
Tiresia ha scelto i bambini versicolori
per annunciare i suoi prodigi.
Io ho scelto questo quaderno di appunti
per annunciare i miei litigi.*
Una poesia alla maniera di Dada scritta da Copilot
Cabaret Voltaire
cucchiaio di nuvole, elefante viola,
il tempo si scioglie come burro fuso
e le parole danzano, fanno una capriola
in un valzer di suoni confuso.
la sedia ride con denti di pioggia.
ll tavolo piange, l’armadio si appoggia
la luna abbaia come un cane rabbioso
e il sole si nasconde dietro un giornale.
Il pesce vola con ali di carta
e l’orologio a muro fa din don.
La città si scioglie come un gelato al limone
e il mondo intero in un bicchiere annega.
Nel caos apparente entra uno sfollagente
impugnato da un poliziotto intransigente.
Da una scatola cinese esce un mago che dice: «Ohibò»
e ci entra un gondoliere con la sua gondola.*
Una poesia alla maniera di Amelia Rosselli di Variazioni belliche scritta da Copilot
Lui, sì, vuole e dis/vuole ch’io non mi avvalga del mio stratagemma per metterlo alla berlina
ma è certo che noi due non siamo ragguagliabili, non replicabili… Lui non entra nella mia scarpa, ed Io non entro nel suo disegno.
È che la sua gonfaloneria la ritengo del tutto irragionevole e turlupinosa.
I pipistrelli si sono alzati in volo stasera dai loro piedistalli.
E adesso? E adesso, qual è il corrimano, il corrifuori, il corridentro?
Dentro il furgoncino ci metto la pietà di Michelangiolo, e magari anche Monnalisa, in tutto quel putiferio la ridda dei miei sensi cadde a testa all’in giù, così che i miei singhiozzi sgualciti accompagnarono il volo delle rondinelle.
Di soppiatto, io traguardavo il trisma del tuo volto…*
* in corso di pubblicazione nel n. 27 e 28 de “Il Mangiaparole”, La poesia nell’epoca della Intelligenza Artificiale, Progetto Cultura, Roma pp. 110 € 10
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