#nigeria #rapimento Nuovo Rapimento di Studenti in Nigeria: Cresce la Preoccupazione
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Fermezza o trattative con le Brigate Rosse nel 1981
Ma non è certo solo il caso Gioia, o, più in generale, un diverso approccio verso il ruolo della commissione inquirente, a dividere il Psi dal Pci. Gli ultimi mesi del 1980 infatti fanno riaprire vecchie ferite che risalgono a oltre due anni prima, ai giorni del rapimento di Aldo Moro e che ancora non si sono rimarginate. Nel mese di ottobre Berlinguer si reca a deporre presso la commissione parlamentare sul caso Moro ed esprime opinioni critiche nei confronti della condotta del Psi, che aveva rotto il “fronte della fermezza” con il suo tentativo umanitario; l’Avanti definisce «sconcertante» la deposizione del segretario comunista <220. A novembre è il turno di Craxi di deporre in commissione ed il leader del Psi parla dei contatti attivati con gli esponenti di Autonomia e, pochi giorni dopo, rilascia un’intervista all’Europeo sull’argomento. Ma il momento di maggior tensione arriva alla fine del mese quando i quattro commissari del Psi, dopo una riunione con Craxi, abbandonano polemicamente la commissione. In un comunicato si spiega la condotta dei socialisti con non meglio precisate «strumentalizzazioni e violazioni di legge» nei lavori della commissione e con la divulgazione intenzionale di documenti e, soprattutto, la «tendenza a trasferire l’obiettivo dell’inchiesta, trasformando i lavori della commissione in un vero e proprio processo politico diretto contro una tesi, una condotta e una forma politica» <221. A generare le ire del Psi sembra essere stata soprattutto la richiesta da parte della procura di una copia delle deposizioni di Craxi, Landolfi, Signorile e Guiso; ire acuite quando sia la Dc che il Pci (che insieme dispongono della maggioranza dei voti) si dimostrano intenzionati ad accogliere la richiesta dei magistrati <222.
I giorni del rapimento di Aldo Moro ritornano prepotentemente alla memoria di tutti quando, nel mese di dicembre, si verifica una nuova emergenza che ripropone il dilemma tra “fermezza” e “trattativa”. Il giorno 12 del mese viene rapito il magistrato Giovanni D’Urso, presidente di sezione della Cassazione e distaccato presso il ministero di Grazia e giustizia con responsabilità sul trasferimento di detenuti. L’azione è subito rivendicata dalle Br, che chiedono per la liberazione che venga chiuso il carcere dell’Asinara in Sardegna. Questa volta, a differenza di quanto era avvenuto nel 1978, lo schieramento tra fautori della fermezza e disponibili alla “trattativa” si definisce molto rapidamente.
Nel governo i socialisti sostengono che la chiusura del carcere non costituisce una violazione di legge <223 e la si può concedere per salvare una vita umana, mentre la maggior parte dei democristiani ed i repubblicani affermano che, sebbene non rappresenti un’illegalità, la chiusura dell’Asinara significa piegarsi al ricatto, e con ciò dare legittimità ai terroristi. I magistrati in generale dimostrano grande solidarietà nei confronti di D’Urso e, coloro che manifestano un’opinione, sebbene nessuno ovviamente proponga di violare la legge, sono a favore di prendere «tutte le misure possibili» per salvare il giudice rapito <224. Il 25 dicembre Craxi rilascia una dichiarazione nella quale dice che il carcere sardo deve essere chiuso subito; si tratta di quello che Gaetano Scamarcio definisce il «blitz di Natale» <225. Due giorni dopo la vecchia prigione viene effettivamente sgombrata <226, ma il 28 vi è una rivolta nel carcere di Trani organizzata dai terroristi, che prendono in ostaggio diversi agenti di custodia. Questa volta la reazione del governo è di notevole determinazione: il giorno seguente le installazioni di Trani vengono prese d’assalto dalle unità speciali dei Carabinieri, che salvano gli agenti sequestrati e ristabiliscono l’ordine senza vittime.
La posizione del Pci è, dall’inizio, critica di ogni linea d’azione che implichi segni di arrendevolezza nei confronti dei terroristi; dopo la chiusura del carcere sardo, nel commentare le esternazioni di Pertini, il quale si dimostra decisamente contrario a trattative, un editoriale dell’Unità afferma che “…è impensabile che chi governa questo paese sia così sprovveduto […] da non capire quello che anche il più ingenuo degli italiani ha capito subito: che l’Asinara era un pretesto, che cedere su quel pretesto significava esporsi a pagare poi, e forse subito, prezzi e rischi sempre più alti, che nessuna proclamazione di “autonomia” nell’atto di cedimento avrebbe liberato il governo dal sospetto di aver accettato il terreno della contrattazione coi terroristi…” <227
Il 31 dicembre viene assassinato a Roma il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, responsabile della sicurezza esterna delle carceri e quattro giorni dopo le Br diramano un comunicato in cui dichiarano che D’Urso è stato condannato a morte, ma che lasceranno ai compagni detenuti una valutazione definitiva. In favore della trattativa ci sono, oltre al partito Radicale, i cui deputati vanno nelle carceri a parlare con i terroristi, i vertici dell’Anm e, si direbbe, la maggior parte dei magistrati. Tra di essi però non mancano segnali in senso contrario, ad esempio il discorso d’inaugurazione dell’anno giudiziario del Pg di Roma Pascalino, che invita alla fermezza <228; oppure, qualche giorno dopo, la decisione dei magistrati della sezione civile della pretura, che rigettano l’istanza del fratello del giudice rapito con la quale si chiede di ordinare ai giornali la pubblicazione dei documenti Br per uno «stato di necessità» <229; ma quando Curcio accenna alla liberazione del brigatista Gianfranco Faina, la Corte d’Appello di Firenze ne ordina subito la libertà provvisoria, attirandosi le critiche del Pci <230.
I socialisti, mentre Craxi si trova in Africa in vacanza, tengono una direzione e sembrano orientati ad evitare contatti con i brigatisti in carcere <231; poco dopo, l’8 gennaio, i terroristi detenuti a Trani affermano che daranno il loro benestare alla grazia se giornali e Tv divulgheranno documenti preparati dai brigatisti <232. Mentre diversi giornali proclamano quello che verrà definito il “black-out”, per non favorire il disegno dei terroristi, i magistrati si fanno ancora promotori di una linea meno intransigente e l’Anm promuove un incontro con la federazione della stampa per trattare l’argomento; il segretario dell’associazione, l’esponente di Magistratura democratica Senese, spiega che «la nostra posizione è che nel rispetto della legalità si debba fare tutto per salvare il collega […] La cosa peggiore che si possa fare in questo momento è trasformare il dibattito sulle decisioni da prendere in una discussione teologica sui massimi sistemi» <233.
Intanto Craxi rientra dalle vacanze e impone la linea al partito sconfessando la direzione precedente: il Psi appoggerà la campagna radicale per la pubblicazione. Ad essa aderiscono Lotta Continua, il Manifesto, L’Avanti e, in un secondo momento anche il Secolo XIX ed il Messaggero. Il 14 gennaio l’Avanti ospita una lettera dello stesso D’Urso che, dalla prigionia, chiede la pubblicazione dei documenti; il giorno seguente il magistrato viene liberato.
Dopo il rilascio il Presidente del consiglio si reca immediatamente alla Camera per fare una relazione sull’accaduto ma nel suo discorso, ben accolto da Psi, Psdi e radicali, si sforza di non accusare nessuno e non prendere parte nel dibattito tra fermezza e trattativa. I repubblicani appaiono critici <234, ma lo stesso può dirsi di importanti settori della Dc. Il Popolo cita una dichiarazione di Piccoli in cui spiega che «l’atteggiamento di fermezza è stato determinante per la tenuta contro il ricatto delle Br» e poi, illustrando la posizione dei partiti, spiega che “Il Psi ha esposto la propria posizione «in autonomia»” ricordando la polemica di Balzamo contro il Pci, accusato di «farneticare su un presunto partito del cedimento che non è mai esistito» <235. Ma qualche tempo dopo Piccoli apparirà molto più deciso; in occasione del congresso del suo partito, nei primi giorni di maggio 1982, circa la richiesta di
pubblicare documenti ricorderà che “…affermavo: siamo dinnanzi al più grave ed inaccettabile dei ricatti […] furono molti i giornali, anche di partito, che ritennero di accedere alle richieste delle Br […] Mi limito ad osservare che accedere a quella richiesta consentì alle Br di conseguire un obiettivo essenziale della loro strategia di intossicazione psicologica […] Ciò che avrebbe dovuto suggerire maggior cautela a esponenti socialisti nell’affrontare alcune delle questioni poste dalla liberazione di Ciro Cirillo…” <236
Nel caso D’Urso quindi si riprende il gioco delle parti già sperimentato quasi tre anni prima, ma con qualche differenza: a questo punto l’opinione pubblica sembra essersi assuefatta, in qualche misura, alla tesi circa le possibilità che lo Stato si impegni in qualche tipo di “trattativa” con i terroristi. Di conseguenza l’azione del Psi, accompagnata da quella dei radicali, è assai più decisa ed incisiva. L’altra differenza è che questa volta a sostenere il governo in Parlamento non ci sono più i comunisti, e quindi i democristiani si ritrovano soli ad osservare il movimentismo degli alleati socialisti e lo fanno non senza malumori e risentimento.
[NOTE]
220 “Sconcertante deposizione di Berlinguer su Moro”, Avanti del 11 ottobre 80
221 “Si sono dimessi i commissari Psi”, Avanti del 29 novembre 80
222 “Commissione Moro”, La Stampa del 28 novembre 80
223 Inoltre la dismissione dell’Asinara era già prevista e al momento del sequestro vi rimanevano solo 25 detenuti.
224 Vedi ad esempio “I magistrati contrari a scelte aprioristiche per Giovanni D Urso”, Avanti del 19 dicembre 80, o “I magistrati favorevoli a chiudere l’Asinara”, Avanti del 31 dicembre 1980, contenente un’intervista a Beria d’Argentine; vedi anche P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992 Cit. pag. 858
225 Dichiarazione citata in G. Fiori, Berlinguer Cit. Pag. 412
226 Secondo Fiori, in questa maniera, la chiusura è «data non alle Br per salvare una vita umana, ma a Craxi per salvare il governo», Ibid. Pag. 413
227 “Salvare un governo o la democrazia?”, Unità del 30 dicembre 80
228 “E’ escluso che lo stato possa cedere al terrorismo”, Popolo del 10 gennaio 81
229 “Giornali (con poche eccezioni) prevale la linea della fermezza”, Popolo del 13 gennaio 81
230 “Traspare una torbida trattativa con le BR”, Unità del 9 gennaio 81
231 G. Fiori, Berlinguer. Cit. Pag. 415
232 “33 giorni di prigionia”, La Stampa del 15 gennaio 1981.
233 “Iniziativa dei giudici verso stampa e partiti”, Avanti del 7 gennaio 81
234 “Le BR annunciano: liberiamo d’Urso”, Unità del 15 gennaio 81
235 “La maggioranza unita nella lotta al terrorismo”, Popolo del 15 gennaio 81
236 “Relazione di Piccoli al congresso”, Popolo del 3 maggio 82
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013
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ADORO IL GENIO - SLACK WYRM
Un piccolo #flashback a quando QUALCUNO cercava di attirare l'attenzione di un certo drago. Ricordate? Fu #amore a prima vista!
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they released hamdan ballal, but what happened?
They released Hamdan Ballal. But what happened?
Shortly after Palestinian residents had finished their daily Ramadan fast dozens of masked Israeli settlers entered the West Bank village of Susiya.
Some of the settlers were armed with batons, others had knives and one of them was holding an M16 rifle. Among them were a group of Israeli soldiers who escorted the settlers inside the village.
Minutes later, the settlers walked straight over to the house of Hamdan Ballal. The settlers started throwing stones against his house, witnesses said, and chased Ballal to his house, beating him and eventually handing him over to the military. Handcuffed and blindfolded by the soldiers, Ballal, bleeding from his head, was moved to a military vehicle.
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ennesimo crimine israeliano: hamdan ballal, coregista di “no other land” attaccato dai coloni e rapito
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Il 2 maggio 1978 OP offrì un’ampia analisi politica della situazione italiana
Il dossier di «Op» Diario dell’irreale assoluto del 25 aprile 1978, descrisse gli avvenimenti nei cinque giorni che intercorsero tra il sesto comunicato Br ed il settimo. Pecorelli dedicò ampio spazio anche al falso comunicato brigatista del 18 aprile 1978, contenente l’annuncio dell’avvenuta esecuzione di Aldo Moro e le istruzioni per il ritrovamento del corpo presso il Lago della Duchessa, in provincia di Rieti <240. Un enorme dispiegamento di forze alla ricerca del cadavere di Moro che lo stesso presidente democristiano, nel suo memoriale, definì «la macabra grande edizione sulla mia esecuzione» <241.
“Un volantino anomalo, rachitico, frettoloso e recapitato in una sola città contrariamente ai precedenti, annuncia l’avvenuta esecuzione per suicidio di Aldo Moro, ed il suo seppellimento in un laghetto di montagna. I leader dei partiti, sempre più accasciati e con un che di ambiguo disorientamento, dispongono, pur nell’incertezza sull’attendibilità del messaggio, le ricerche. La via per il lago segnalata risulta impraticabile da terra a causa della neve e del gelo degli ultimi giorni. Si muovono elicotteri che depositano sciatori, esperti anti-valanghe e sommozzatori sul lago, il quale risulta oltre che coperto di neve fresca priva di impronte, anche totalmente ghiacciato. Non rimane che perforarlo, e senza alcun esito. Si dirottano le ricerche su un altro laghetto poco distante, che presenta caratteristiche meno ostiche e improbabili. Nulla” <242.
L’articolo collegò il falso comunicato con la scoperta del covo Br di via Gradoli, avvenuta lo stesso giorno. Per il giornalista si tratto di un’unica operazione accuratamente pilotata <243. Il rifugio venne scoperto grazie ad una fuga d’acqua, che secondo i vigili del fuoco sembrò essere stata volutamente provocata: uno scopettone era stato appoggiato sulla vasca, sopra ad esso qualcuno aveva posato il telefono della doccia in modo che l’acqua si dirigesse verso una fessura nel muro. Anche secondo Alberto Franceschini, ex Br, la vicenda del Lago della Duchessa e di via Gradoli andrebbero tenute insieme. Fu un messaggio preciso a chi deteneva Moro, per avvisare le Br che lo Stato avrebbe potuto catturarli in qualsiasi momento. Un’ulteriore ipotesi avvalorerebbe l’idea che il covo sia stato fatto scoprire appositamente da qualche brigatista contrario all’uccisione di Moro. Recentemente Steve Pieczenik, il consigliere americano chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere lo stato di crisi, nel libro “Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall’ombra” di Emmanuel Ammara <244, ammise la sua responsabilità in accordo, con Cossiga, nella creazione di un falso comunicato.
Si rileva il dubbio di Pecorelli sulla vicenda grazie all’articolo “Le allucinanti avventure degli investigatori”. Il giornalista, infatti, scrisse «Brigate rosse» e «terroristi» tra virgolette, quasi a voler insinuare il dubbio riguardo ai veri autori di tale scritto. “Ricevuta la copia del volantino delle “Brigate rosse” con il quale “i terroristi”, comunicavano la località dove sarebbe stato abbandonato il corpo di Aldo Moro, gli inquirenti si precipitano agli elicotteri messi a disposizione della Polizia e dei Carabinieri per raggiungere nel più breve tempo possibile la zona della Duchessa” <245.
Il 20 aprile 1978 le Brigate rosse annunciarono, nel vero comunicato numero sette, che la condanna di Moro sarebbe stata eseguita, lasciando uno specchio di ventiquattro ore per il possibile scambio di prigionieri. Pecorelli raccontò quelle ore di ultimatum nell’articolo del 25 aprile, “La ventiquattresima ora”.
“Siamo costretti a chiudere il numero mentre mancano ancora 24 ore alla scadenza dell’ultimatum delle Br. Trattare o non trattare? Sentiamo ripetere che lo Stato è in preda al dilemma. Ma il dilemma presuppone una scelta. In questo caso lo Stato, cioè la Dc e il Pci, si impediscono a vicenda di scegliere. La Dc vive un dramma nel dramma. Partito di cattolici, dovrebbe anteporre il rispetto della vita alle ragioni della politica. Solo una minoranza di democristiani sembra decisa a non sacrificare la vita del suo presidente. Se la Dc è divisa, gli altri partiti lo sono altrettanto” <246.
Il 2 maggio 1978, ad una settimana dal futuro ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani, «Osservatore politico» offrì un’ampia analisi politica della situazione italiana nell’articolo “Il Paese si può e si deve salvare”, cercando di dare un significato al rapimento ed immaginando le possibili ripercussioni di tale vicenda sul Paese. L’Italia apparse disorientata: comprese di vivere un momento politico cruciale tuttavia, secondo il giornalista, non riuscì ad andare oltre questa accettazione. Offrì, inoltre, una nuova interpretazione dell’eurocomunismo d’un partito scomodo ad entrambe le superpotenze mondiali.
“L’agguato di via Fani porta il segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un Paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L’obbiettivo primario è senz’altro quello di allontanare il Partito comunista dall’area del potere nel momento in cui si accinge all’ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del paese. È comune interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l’ascesa del Pci, cioè del leader del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un Paese industriale. Ciò non è gradito agli americani, perché altererebbe non solo gli equilibri del potere economico nazionale ma ancor più i suoi riflessi nel sistema multinazionale. Ancor meno è gradito ai sovietici. Con Berlinguer a Palazzo Chigi, Mosca correrebbe rischi maggiori di Washington. La dimostrazione storica che un comunismo democratico può arrivare al potere grazie al consenso popolare, rappresenterebbe non soltanto il crollo del primato ideologico del Pcus sulla III Internazionale, ma la fine dello stesso sistema imperiale moscovita. Ancora una volta la logica di Yalta è passata sulle teste delle potenze minori. È Yalta che ha deciso via Mario Fani” <247.
In previsione delle elezioni amministrative del 14 maggio, l’analisi politica continuò nei successivi articoli. Sebbene Pecorelli fosse convinto dell’imminente liberazione del leader democristiano <248, descrisse le varie possibilità di governo nel caso della liberazione di Moro o dell’esecuzione della sentenza del carcere del popolo. In questi articoli Pecorelli si domandò quanto avrebbe potuto influire e che ruolo avrebbe avuto il sequestro sull’opinione pubblica, divisa tra gli schieramenti favorevoli alla trattativa, il Psi di Craxi in primis, e quelli contrari ad ogni dialogo come la Dc o lo stesso Pci.
“Se Moro dovesse morire prima delle elezioni del 14 maggio, il Psi potrebbe affermare che è stata l’intransigenza dei democristiani e dei comunisti ad aver provocato il drammatico epilogo. Quale sarà allora la reazione dell’elettore Dc medio? Egli sa che sono stati gli sforzi di Moro a permettere l’ingresso del Partito comunista al governo, da ciò potrà dedurre che la Democrazia cristiana ha pagato un prezzo troppo alto se poi questo governo non è riuscito a salvare il suo presidente <249. Poniamo invece che Moro possa uscire vivo dall’avventura del sequestro. A maggior ragione gli uomini della Dc, il Vaticano, gli osservatori esterni, porterebbero eterna riconoscenza a Craxi. L’unico leader che dicendosi disposto a trattare ha consentito alle istituzioni il superamento di un difficile scoglio <250. Nel primo caso (Moro morto), sotto la spinta dell’elettorato medio, probabilmente gli attuali dirigenti Dc potrebbero essi stessi guidare il ritorno al rapporto preferenziale col Partito socialista. Nella seconda ipotesi ciò è escluso tassativamente: la Democrazia cristiana dovrà passare attraverso un travagliato e penoso processo di rinnovamento” <251.
[NOTE]
240 Il 18 aprile 1978 venne diffuso un falso comunicato, contenente l’annuncio dell’avvenuta esecuzione di Aldo Moro. Venne indicato il luogo dove trovare il cadavere del presidente democristiano, nei fondali del Lago della Duchessa in provincia di Rieti. Un comunicato falso che il Viminale dichiarò autentico, FLAMIGNI, Le Idi di marzo, p. 281.
241 Ivi, p. 284.
242 Diario dell’irreale assoluto. Lunedì 17 e martedì 18 aprile: la presunta esecuzione e la troppo inequivocabile scoperta del covo, «Osservatore politico», 25 aprile 1978.
243 «L’infiltrazione d’acqua fu una manovra deliberatamente attuata per provocare la scoperta del covo Br di via Gradoli 96 senza che ciò provocasse l’arresto di alcun brigatista. La teatrale scoperta del covo venne sincronizzata con la diffusione del comunicato Br del Lago della Duchessa. E se la scoperta del covo era chiaramente pilotata, il comunicato numero sette era palesemente falso», FLAMIGNI, Il covo di Stato. Via Gradoli 96 e il delitto Moro, Kaos 1999, p. 49.
244 EMMANUEL AMMARA, Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall’ombra, Cooper, Roma 2008.
245 Diario dell’irreale assoluto. Le allucinanti avventure degli investigatori, «Osservatore politico», 25 aprile 1978.
246 La ventiquattresima ora, «Osservatore politico», 25 aprile 1978.
247 Yalta in via Mario Fani, Ivi, 2 maggio 1978.
248 «A questo punto è lecito, più che un’ipotesi, formulare una logica e razionale previsione. A nostro avviso, non solo Moro non sarà soppresso dai suoi rapitori, ma è da ritenersi imminente la sua liberazione che sarà seguita da cerimonie trionfali e festeggiamenti popolari paragonabili solo all’incoronazione di Napoleone», Brigate rosse, arcangeli sterminatori arcangeli purificatori, «Osservatore politico», 2 maggio 1978.
249 Se Moro muore, voti alle colombe, Ibidem.
250 Se Moro vive, voti alle colombe, Ibidem.
251 In entrambi i casi la Dc dovrà cambiare linea, Ibidem.
Giacomo Fiorini, Penne di piombo: il giornalismo d’assalto di Carmine Pecorelli, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012-2013
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n.b.: il rapimento avviene dopo questa serie di crimini israeliani:
https://slowforward.net/2024/10/25/this-is-what-israel-doesnt-want-you-to-see/
*
Da una lettera all’Ordine dei medici del 7 febbraio 2024,
pubblicata sul sito di Medicina Democratica:
“331 sanitari sono stati uccisi anche al lavoro direttamente da cecchini, 99 sono stati presi prigionieri, tra cui i direttori degli Ospedali maggiori, e da più di un mese non se ne è avuta più notizia. Ambulanze, cortili degli ospedali e carovane dell’ONU che tentavano di distribuire medicine sono state colpite. Nei maggiori ospedali hanno dovuto scavare fosse comuni perché si era sotto tiro nel portare i defunti ai cimiteri. Molti pazienti sono morti per mancanza di operatività dei macchinari di cura intensiva tra cui almeno 14 neonati ad Al Shifa e 4 ad Al Nasser. Molti, per mancanza di presidi medicali, hanno subito amputazioni che in condizioni normali sarebbero state evitate.Sono morti pazienti in dialisi e malati di cancro, per mancanza di medicinali ed elettricità per i macchinari . Neonati fragili non hanno alcuna cura intensiva o nutrizione per loro ormai, e sono circa 500 ogni mese; molti muoiono”.
(https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=15789)
*
cfr.:
https://slowforward.net/?p=123594
https://slowforward.net/2024/10/29/dr-hussam-abu-safyia-abducted/
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