🏺 Scoperta straordinaria nel Wadi Rum!
I cartigli di Ramesse III rivelano le spedizioni egizie oltre confine 🌍.
Un tuffo nella storia!

Approfondisci > https://arteitaliana.blogspot.com/2025/04/scoperta-cartigli-ramesse-iii-wadi-rum-giordania.html

#Archeologia #Egitto #WadiRum #StoriaAntica #Scoperte #Cartigli #Cultura

Scoperti in Giordania i cartigli di Ramesse III

Scoperta nel Wadi Rum in Giordania: cartigli di Ramesse III rivelano nuove connessioni dell'Egitto antico con il Vicino Oriente. Storia e archeologia.

🏺 Scoperta straordinaria nel Wadi Rum!
I cartigli di Ramesse III rivelano le spedizioni egizie oltre confine 🌍.
Un tuffo nella storia!

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#Archeologia #Egitto #WadiRum #StoriaAntica #Scoperte #Cartigli

Scoperti in Giordania i cartigli di Ramesse III

Scoperta nel Wadi Rum in Giordania: cartigli di Ramesse III rivelano nuove connessioni dell'Egitto antico con il Vicino Oriente. Storia e archeologia.

#archeologia | 𝐀𝐜𝐞𝐫𝐫𝐚 (𝐍𝐚𝐩𝐨𝐥𝐢), 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐢 𝐝𝐚𝐭𝐢 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐚𝐦𝐩𝐚𝐧𝐢𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐚: 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐚𝐯𝐨 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐄𝐭𝐫𝐮𝐬𝐜𝐡𝐢 𝐬𝐩𝐮𝐧𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐮𝐞 𝐭𝐨𝐦𝐛𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐈𝐕-𝐈𝐈𝐈 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐥𝐨 𝐚.𝐂.

Durante i lavori per la realizzazione di un nuovo collettore fognario sono emerse due sepolture a cassa di tufo, una delle due completa di corredo funerario.
@soprintendenzadinapoli_areamet

#campania #scavi #scoperte

https://storiearcheostorie.com/2025/04/29/tombe-campane-acerra-via-etruschi/

Tombe campane del IV secolo a.C. scoperte ad Acerra

Scoperte ad Acerra due tombe a cassa del IV secolo a.C. con vasi a figure rosse. Un ritrovamento che illumina la storia campana preromana.

Storie & Archeostorie

Acerra (Napoli), nuovi dati sulla Campania preromana: dallo scavo di via degli Etruschi spuntano due tombe del IV-III secolo a.C.

Elena Percivaldi

Durante i lavori per la realizzazione di un collettore fognario in via degli Etruschi, ad Acerra, un comune alle porte di Napoli ricco di storia antica, gli archeologi hanno portato alla luce due sepolture a cassa di tufo databili alla fine del IV secolo a.C. Una delle tombe, in particolare, ha restituito un corredo funerario di straordinaria rilevanza, composto da vasi in ceramica a vernice nera e a figure rosse. Annunciata dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli, questa scoperta illumina il passato pre-romano del territorio acerrano, offrendo nuovi indizi su una comunità campana che abitava l’area tra il IV e il III secolo a.C. Le tombe, con il loro orientamento e la qualità dei materiali, suggeriscono l’esistenza di un insediamento strutturato, arricchendo il quadro delle conoscenze sul popolamento antico della Campania interna.

I reperti, attualmente in fase di restauro e studio, saranno presto valorizzati attraverso iniziative di divulgazione, con l’obiettivo di restituire alla cittadinanza un frammento significativo della storia di Acerra. Questa scoperta non solo conferma l’importanza archeologica del territorio, ma sottolinea anche il ruolo cruciale delle indagini preventive durante i lavori pubblici, secondo un modello che continua a rivelare tesori nascosti sotto le città moderne.

©SABAP Napoli

Le sepolture: struttura e contesto

Le due tombe, scavate nel tufo – materiale ampiamente utilizzato nell’architettura funeraria campana per la sua lavorabilità e resistenza – sono state rinvenute a pochi metri di profondità durante gli scavi per il collettore fognario. La tomba 1, priva di corredo, presenta una struttura semplice, composta da lastre di tufo disposte a formare una cassa rettangolare. La tomba 2, invece, si distingue per la presenza di un ricco corredo funerario, che include vasi in ceramica a vernice nera e a figure rosse, tipici della produzione campana del tardo IV secolo a.C. L’orientamento delle sepolture, allineate lungo un asse est-ovest, e la cura nella loro realizzazione suggeriscono che appartenessero a individui di un certo rango all’interno di una comunità ben organizzata.

Il tufo, estratto probabilmente dalle cave locali, era un materiale comune nelle necropoli campane di età arcaica e classica, come dimostrano i siti di Cuma, Capua e Pontecagnano. La scelta di questo materiale, insieme alla presenza di un corredo di pregio, indica una continuità culturale con le tradizioni funerarie delle élite campane, che utilizzavano le tombe per esprimere status sociale e identità collettiva. La datazione proposta, fine del IV secolo a.C., colloca le sepolture in un periodo di transizione nella Campania antica, segnato dal declino dell’influenza etrusca e dall’ascesa delle popolazioni sannitiche, prima dell’espansione romana.

©SABAP Napoli

Il corredo funerario: tesori della ceramica campana

Il corredo della tomba 2 rappresenta il cuore della scoperta, offrendo indizi preziosi sulla cultura materiale e sull’organizzazione sociale della comunità acerrana. I vasi a vernice nera, caratterizzati da una finitura lucida e da forme eleganti come kylix (coppe da vino) o oinochoai (brocche), erano oggetti d’uso comune nei banchetti e nei riti funerari, ma la loro qualità suggerisce una produzione destinata a ceti elevati. Ancora più significativi sono i vasi a figure rosse, una tecnica importata dalla Grecia e perfezionata in Campania tra il V e il IV secolo a.C. Questi vasi, decorati con scene mitologiche, rituali o della vita quotidiana, erano simboli di prestigio e spesso riservati alle élite.

Le ceramiche a figure rosse campane, come quelle rinvenute ad Acerra, sono note per la loro vivacità cromatica e per la rappresentazione di figure come divinità, eroi o scene di simposio, che riflettono l’influenza della cultura greca e il ruolo della Campania come crocevia mediterraneo. L’analisi stilistica e iconografica dei vasi, attualmente in corso, potrà chiarire se siano stati prodotti localmente, forse in officine di Capua o Cuma, o importati da altri centri. Inoltre, i frammenti ceramici offriranno dati sulla cronologia e sulle reti commerciali dell’epoca, collegando Acerra a circuiti economici più ampi che coinvolgevano la Magna Grecia e l’Etruria.

©SABAP Napoli

Acerra nel IV secolo a.C.: una comunità campana in ascesa

La scoperta delle tombe arricchisce la comprensione del ruolo di Acerra nel panorama della Campania pre-romana. Situata in una fertile pianura attraversata dal fiume Clanis (oggi Regi Lagni), Acerra era un nodo strategico per il controllo delle vie di comunicazione tra la costa e l’interno. Le fonti storiche, a partire da Livio (Ab Urbe Condita, libro VIII), descrivono Acerra come un centro campano significativo, alleato di Roma durante le guerre sannitiche del IV secolo a.C. La presenza di sepolture di pregio in via degli Etruschi suggerisce che l’area ospitasse un insediamento strutturato, forse una comunità di agricoltori e commercianti con élite locali in grado di accedere a beni di lusso.

Il nome stesso della moderna via dove sono state scoperte le tombe, “degli Etruschi”, richiama l’influenza etrusca che caratterizzò la Campania tra il VII e il V secolo a.C., visibile in siti come Cuma e Nola. Tuttavia, nel IV secolo a.C., l’area era dominata da popolazioni campane, un mix etnico di origine osco-sannitica con forti influssi greci ed etruschi. Le sepolture di Acerra riflettono questa complessità culturale: l’uso del tufo e la struttura delle tombe richiamano tradizioni etrusco-campane, mentre il corredo ceramico testimonia contatti con il mondo greco. La comunità acerrana del tardo IV secolo a.C. appare dunque come un centro dinamico, capace di integrare influenze diverse in un’identità locale distinta.

Metodi di scavo e prospettive di studio

Le tombe sono state scoperte durante scavi preventivi condotti sotto la supervisione della Soprintendenza, un esempio virtuoso di come le infrastrutture moderne possano convivere con la tutela del patrimonio. Gli archeologi hanno utilizzato tecniche di documentazione avanzate, come la fotogrammetria e il rilievo 3D, per registrare la posizione dei reperti e la struttura delle tombe prima della loro rimozione. I materiali del corredo, attualmente in laboratorio, saranno sottoposti a restauro per preservare la ceramica e analizzati per determinarne la composizione chimica, la provenienza e le tecniche di produzione.

©SABAP Napoli

Gli studi futuri potrebbero concentrarsi su molti aspetti: l’analisi antropologica dei resti ossei, se presenti, potrebbe rivelare informazioni su età, sesso, dieta e stato di salute degli individui sepolti; l’esame iconografico dei vasi a figure rosse chiarirà i temi rappresentati e il loro significato culturale; infine, la datazione al radiocarbonio di eventuali materiali organici, come resti di legno o tessuti, affinerà la cronologia delle tombe. Questi dati, combinati con le fonti storiche e i confronti con altre necropoli campane, come quelle di Suessula o Nola, permetteranno di ricostruire il contesto sociale ed economico di Acerra nel IV secolo a.C.

I reperti di Acerra saranno valorizzati

La Soprintendenza ha annunciato l’intenzione di valorizzare i ritrovamenti per restituire alla comunità di Acerra un pezzo della sua storia più antica. La scoperta potrebbe diventare un catalizzatore per il turismo culturale, integrandosi con altri siti archeologici della zona, come la necropoli di Suessula o i resti romani di Atella.

L’importanza della scoperta va oltre i confini locali. Le tombe di via degli Etruschi testimoniano la vitalità delle culture pre-romane in Campania, un mosaico di tradizioni che ha contribuito alla formazione dell’identità romana. Inoltre, il ritrovamento sottolinea l’urgenza di proteggere il patrimonio archeologico durante i lavori urbanistici, un tema cruciale in un’area densamente abitata come l’hinterland napoletano. Progetti di archeologia preventiva, come quello di Acerra, dimostrano che è possibile conciliare sviluppo e conservazione. Trasformando i tesori emersi dagli scavi infrastrutturali in opportunità di conoscenza.

#Acerra #archeologia #Campania #notizie #scaviArcheologici #scoperte

Acerra - rinvenimenti di due sepolture a cassa

Durante i lavori per la realizzazione di un nuovo collettore fognario in via degli Etruschi, ad Acerra, sono emerse due sepolture a cassa di tufo, una delle due completa di corredo funerario.

Soprintendenza ABAP per l’Area Metropolitana di Napoli

Scoperta a Scandicci: dagli scavi di Badia di Settimo emerge una capanna altomedievale

Elena Percivaldi

Importante scoperta a Scandicci (Firenze), dove gli scavi in corso presso la Badia di Settimo, da poco conclusi, hanno riportato in luce i resti di una capanna di epoca altomedievale.

Il ritrovamento è stato effettuato dagli archeologi della Soprintendenza ABAP di Firenze nel corso delle indagini che accompagnano i restauri della Badia, portati avanti dalla Fondazione Opera della Badia di Settimo. Seppur ostacolata varie volte dai ripetuti allagamenti, l’indagine ha già portato a numerose scoperte, che forniscono nuovi dati e dettagli sulla storia del complesso monastico, intitolato a San Salvatore e San Lorenzo. In questo caso, però, ad essere illuminate sono le vicende anteriori alla sua fondazione, avvenuta intorno all’anno Mille.

L’Abbazia dei Santi Salvatore e Lorenzo a Settimo (Wikimedia Commons / Sailko – CC BY 3.0)

I resti di una Grubenhaus sotto il chiostro

Nel corso degli scavi per la sistemazione del trecentesco Chiostro dei Melaranci gli archeologi hanno infatti trovato per la prima volta resti di strutture precedenti alla Badia di Settimo, risalenti all’epoca altomedievale. Una di queste, a pianta circolare, si trova a una profondità di circa due metri rispetto all’attuale piano del chiostro. L’ipotesi è che si tratti di una “Grubenhaus”, una capanna seminterrata, con il fondo scavato direttamente nel terreno.

I resti della Grubenhaus, trovati sotto il chiostro

Strutture del genere, sorrette da pali e caratterizzate da semplici pareti in legno e terra e da una copertura vegetale, sono comuni nell’alto Medioevo in Europa centrale e orientale. In Italia appaiono più rare ma sono in ogni caso ben documentate archeologicamente: citiamo ad esempio i casi di Collegno (TO), Frascaro (AL) e soprattutto quello, molto noto, di Siena1.

Ricostruzione di una Grubenhaus, simile a quella trovata a Scandicci

Datazione tra l’VIII ed IX secolo d.C.

I materiali ceramici trovati in corrispondenza della capanna, ossia recipienti per la cucina – olle, testi, teglie – e per la tavola – boccali e recipienti per liquidi – e un manico in osso decorato, suggeriscono secondo gli archeologi una datazione tra l’VIII ed IX secolo d.C. Un rinvenimento molto significativo “perché attesta lo stanziamento, in questo punto della pianura di Settimo, di una piccola comunità o nucleo rurale già diversi secoli prima della fondazione dell’abbazia”.

Un manico in osso decorato, databile all’VIII-IX secolo d.C.

Informazioni più approfondite arriveranno, naturalmente, dal sistematico studio dei materiali, che avverrà nelle prossime settimane via via che i dati emersi dallo scavo saranno riordinati e catalogati.

  • Marco Valenti, I villaggi altomedievali in Italia [A stampa in The archaeology of early medieval villages in Europe, a cura di Juan Antonio Quirós Castillo, Bilbao 2009 (Documentos de Arqueología e Historia), pp. 29-55 © dell’autore – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”, http://www.retimedievali.it]. ↩︎
  • #AltoMedioevo #archeologia #BadiaDiSettimoAScandicci #Grubenhaus #InEvidenza #insediamenti #notizie #SABAPFI #Scandicci #scavi #scaviArcheologici #scoperte

    Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato

    ARCHEOLOGIA | 𝐒𝐜𝐨𝐩𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐚 𝐒𝐜𝐚𝐧𝐝𝐢𝐜𝐜𝐢: 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐜𝐚𝐯𝐢 𝐝𝐢 𝐁𝐚𝐝𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐒𝐞𝐭𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐞𝐦𝐞𝐫𝐠𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐚𝐩𝐚𝐧𝐧𝐚 𝐚𝐥𝐭𝐨𝐦𝐞𝐝𝐢𝐞𝐯𝐚𝐥𝐞

    I materiali la datano tra l’VIII ed IX secolo d.C. testimoniando la presenza di una comunità (o un nucleo rurale) precedente l'abbazia, fondata intorno all'anno Mille.

    Scopri i dettagli su @storieearcheostorie

    @comunediscandicci

    #archeologia #scandicci #altomedioevo #grubenhaus #scoperte #scavi #archeologiamedievale

    https://storiearcheostorie.com/2025/04/22/scandicci-scoperta-a-badia-di-settimo-una-capanna-altomedievale/

    Scandicci: scoperta a Badia di Settimo una capanna altomedievale

    Dallo scavo della Badia di Settimo spunta una Grubenhaus, una capanna altomedievale databile all'VIII-IX secolo. Risale a prima dell'abbazia.

    Storie & Archeostorie
    Dietro al dilagante ossimoro mediatico del mini-calamaro colossale - Il blog di Jacopo Ranieri

    “Negli abissi profondi nessuno potrà sentirvi gorgogliare” usava come slogan il regista Ridley Scott, in un universo alternativo in cui l’affermazione secondo cui sappiamo più sul cosmo infinito che l’oscuro ambito degli oceani terrestri (più o meno vera in base al punto di vista) avrebbe avuto la ragione di trovarsi al centro di un movimento ... Leggi tutto

    Il blog di Jacopo Ranieri

    Scavi / Allenare il corpo, ma anche la mente: ad Agrigento sta emergendo un “gymnasium” unico nel Mediterraneo

    Elena Percivaldi

    Importante (e raro) ritrovamento archeologico ad Agrigento. Nel marzo scorso un team internazionale guidato da Monika Trümper e Thomas Lappi della Freie Universität Berlin ha riportato alla luce l’auditorium all’interno del gymnasium della città, struttura ritenuta la più grande e rilevante del Mediterraneo occidentale per dimensioni e cronologia. Insieme a due iscrizioni in lingua greca, la scoperta regala uno spaccato sull’educazione e sulla vita sociale delle colonie greche, rivelando la grande importanza attribuita alla formazione intellettuale oltre che alla benessere fisico, creando un binomio inscindibile.

    L’auditorium del gymnasium di Agrigento

    L’auditorium riemerso nel gymnasium di Agrigento è una struttura non grande, che ricorda quella di un piccolo teatro coperto, con otto file di sedili semicircolari capaci di ospitare circa 200 persone. Datato al II secolo a.C., è un unicum senza confronti con altri ginnasi dell’epoca: solo dopo qualche secolo a Pergamo, in Turchia, sarebbe stata costruita una struttura simile. Lo spazio si apriva su una sala rettangolare di 11×23 metri, anch’essa dedicata ad attività ludico-didattiche quali lezioni, competizioni oratorie o spettacoli. Il ritrovamento dimostra la grande considerazione in cui, anche nelle colonie greche, era tenuta la formazione culturale, considerata imprescindibile e complementare, insieme alla preparazione fisica, per condurre uno stile di vita “ideale”.

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    Che cos’è un gymnasium?

    Ma cos’era esattamente un gymnasium? Era un edificio tipico della cultura ellenistica, un elemento essenziale delle poleis greche ma molto raro in ambito romano. Il grande architetto Vitruvio lo descrive come un edificio diviso in due parti. Quella principale era la palestra, dove ci si allenava nella lotta e nel combattimento ma anche dove ci si riuniva per discutere, fare discorsi e parlare di filosofia. La seconda parte invece era costituita dalle piste per la corsa (drômoi). L’insieme delle due componenti costituiva, appunto, il gymnasium.

    Orchestra dell’aula magna con blocchi di iscrizione, da sud (Rolf Sporleder. FU Berlin, Istituto di Archeologia Classica)

    Un gymnasium nel cuore dell’antica Agrigento

    Fondata intorno al 580 a.C., Akragas (l’antica Agrigento) era una delle più floride colonie greche della Sicilia. Il suo gymnasium, famoso per la pista da corsa lunga 200 metri e per la grande piscina, era il centro dove i giovani si preparavano a diventare “cittadini” nel senso più completo del termine. Oltre ad allenare il fisico, la palestra li preparava intellettualmente alla vita attraverso lo studio della filosofia, della retorica e della poesia. La scoperta dell’auditorium conferma che la società agrigentina del tempo riteneva imprescindibile l’equilibrio tra corpo e mente, riprendendo un ideale che rispecchiava pienamente i valori della Grecia classica.

    Foto ripresa da un drone della palestra scoperta durante gli scavi di Agrigento. Image Credit: Thomas Lappi – Monika Trümper, © Freie Universität Berlin, Institute of Classical Archaeology

    Le iscrizioni greche: voci dal passato

    Dopo una prima campagna di prospezione geofisica, tra il 2022 e il 2024 sono state effettuate tre campagne di scavo che avevano documentato l’esistenza di una palestra monumentale grazie anche alla presenza di cinque tegole su cui compare un bollo con le lettere “ΓΥΜ (per ΓΥΜΝΑΣΙΟΥ, ginnasio)”.

    Ora nel pavimento dell’auditorium, il team ha rinvenuto due blocchi calcarei con un’iscrizione greca che riporta “(Τ)ΟΥ ΑΠΟΔΥΤΗ(ΡΙΟΥ) (dell’apodyterion)”, con lettere evidenziate in rosso su un intonaco bianco. Risalenti al I secolo a.C., menzionano un gymnasiarca – il responsabile del gymnasium – e un cittadino che finanziò la riparazione del tetto dell’apodyterium (spogliatoio) dedicandolo a Hermes ed Eracle, le divinità dei ginnasi greci. Si trovavano in crollo all’interno dell’orchestra semicircolare dell’auditorium, dove un tempo insegnanti e studenti si esibivano davanti a un pubblico, collegato appunto con la grande sala. 

    Una delle iscrizioni riemerse

    La ragione del loro interesse risiede anche nella persistenza dell’utilizzo della lingua greca in un periodo in cui Agrigento era già da tempo sotto il controllo di Roma. Le due epigrafi, tra le poche sopravvissute ad Agrigento, testimoniano dunque la continuità delle tradizioni greche anche sotto il dominio romano. E la sopravvivenza del gymnasium, tipologia di edificio che non ebbe successo nel mondo romano, conferma il radicamento di un’identità culturale forte, in grado di resistere alle influenze esterne.

    Una struttura unica nel Mediterraneo

    La struttura emersa ad Agrigento anticiperebbe di almeno due secoli strutture simili come quella di Pergamo in Asia Minore. Innovativa e avanzata, dunque, dato che il gymnasium fu costruito nel II secolo a.C. e successivamente ristrutturato in epoca augustea (31 a.C. – 14 d.C.).

    Visione d’insieme dello scavo

    La pista da corsa e la piscina, già conosciute dagli studiosi, erano strutture molto grandi, rare per l’epoca. L’aggiunta dell’auditorium rivela che il complesso era stato concepito come un progetto ambizioso, pensato per praticare attività fisiche e intellettuali in un unico luogo. Nessun altro gymnasium del Mediterraneo occidentale, da Cartagine a Siracusa, presenta una simile combinazione. Rispetto ai ginnasi di Atene o Delfi, quello di Agrigento appare anche più innovativo: la presenza dell’auditorium anticipa soluzioni architettoniche che diventeranno comuni solo in età ellenistica avanzata. Ciò conferma che Akragas era un centro culturale di prim’ordine in grado di competere con le grandi città della Grecia continentale. Per tutte queste ragioni Agrigento rappresenta, secondo gli archeologi berlinesi, un “caso di studio” unico ed eccezionale.

    Gli scavi continuano (e anche gli studi)

    L’area era già stata oggetto di scavi tra il 1960 e il 2005 e le attività di ricerca sono ripartite nel 2020 in collaborazione tra la Freie Universität di Berlino, il Politecnico di Bari e il Parco Archeologico Valle dei Templi. L’equipe è diretta da Monika Trümper, Thomas Lappi e Antonello Fino ed è coordinata, per il Parco da Maria Concetta Parello. Il team prevede di continuare gli scavi nel 2026.

    L’obiettivo è indagare le aree a nord dell’auditorium, dove potrebbero emergere altri spazi riservati allo sport o all’insegnamento. Le iscrizioni finora riemerse saranno presto studiate utilizzando metodi innovativi quali la scansione 3D, che permetterà di rilevare tutti i dettagli, anche quelli poco leggibili.

    La struttura vista dall’alto

    Ma la speranza è anche quella di trovare nuove epigrafi che possano rivelare nomi di persona o dettagli sulle competizioni organizzate nel gymnasium, fornendo altri particolari sulla vita quotidiana di Akragas e di chi vi abitava duemila anni fa. Contribuendo così a riscoprirne la storia.

    «La ricerca archeologica rappresenta una priorità per la Regione, sia in un’ottica di valorizzazione che di tutela del nostro patrimonio culturale e monumentale – dice l’assessore dei Beni culturali e identità siciliana Francesco Paolo Scarpinato – . Queste nuove scoperte confermano quale ruolo avesse la città nell’antichità e quanto vi sia ancora da portare alla luce, perché sia un patrimonio condiviso con le future generazioni». 

    Per saperne di più:

    #Agrigento #Akragas #archeologia #FreieUniversitätBerlin #InEvidenza #notizie #ParcoArcheologicoDellaValleDeiTempli #ParcoArcheologicoEPaesaggisticoDellaValleDeiTempli #PolitecnicoDiBari #scavi #scaviArcheologici #scoperte #Sicilia #ValleDeiTempli

    Freie Universität Berlin

    𝐒𝐭𝐮𝐝𝐢 / 𝐋𝐞 𝐚𝐧𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐮𝐞 𝐠𝐫𝐞𝐜𝐡𝐞 𝐞 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐞 𝐞𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐮𝐦𝐚𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐨𝐥𝐢 𝐞 𝐛𝐚𝐥𝐬𝐚𝐦𝐢

    Secondo una ricerca danese, le statue classiche non erano solo policrome, ma venivano anche profumate con balsami ed essenze. Scopri i dettagli su @storieearcheostorie

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    https://storiearcheostorie.com/2025/04/16/antiche-statue-greche-romane-profumate-balsami/

    Ostriche per ricchi ospiti nella villa romana di Lio Piccolo: il sensazionale “ostriarium” in mostra a Venezia [VIDEO]

    Elena Percivaldi

    A Lio Piccolo (Cavallino-Treporti), nel cuore della laguna di Venezia, le acque basse hanno custodito per quasi due millenni un tesoro segreto: un vivarium romano del I secolo d.C. Anzi, per la precisione un ostriarium, una vasca destinata alla conservazione di ostriche vive prima del loro consumo. Scoperto nel 2021 grazie a indagini stratigrafiche subacquee condotte dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, rappresenta una testimonianza unica in Italia, con un solo confronto noto nella laguna di Narbonne, in Francia. La struttura, composta da mattoni e tavole lignee e contenente circa 300 gusci di ostriche (Ostrea edulis), offre un’inedita prospettiva sulla vita e sull’economia della laguna in epoca imperiale romana, molto prima della nascita di Venezia come la conosciamo oggi.

    La scoperta è avvenuta in un luogo di straordinario interesse naturalistico (Photo Nico Covre)

    Dal 16 aprile al 2 novembre 2025, il Museo di Storia Naturale di Venezia Giancarlo Ligabue ospiterà un’esposizione dedicata a questa scoperta. In mostra reperti, immagini, video delle operazioni di scavo e un modello tridimensionale del sito, con un approccio interdisciplinare che ha coinvolto archeologi, geologi, biologi e naturalisti. Regalando una preziosa occasione per riflettere sul rapporto millenario tra l’uomo e la laguna, oggi più che mai in equilibrio fragile.

    Gli archeologi al lavoro

    Un occhio al contesto: la laguna prima di Venezia

    Rispetto a oggi, la laguna di Venezia in epoca romana era un paesaggio ben diverso: un mosaico di isole, canali e saline, punteggiato da insediamenti legati alla città di Altino, un importante centro commerciale e portuale dell’Alto Adriatico. L’area di Lio Piccolo, lungo la riva meridionale del Canale Rigà, era strategicamente posizionata vicino al litorale antico, ideale per attività produttive come la pesca, la salagione e l’itticoltura. Qui, nel I secolo d.C., i Romani costruirono strutture sofisticate per sfruttare le risorse marine, come appunto l’ostriarium recentemente portato alla luce.

    Il luogo del ritrovamento

    Il sito era già noto agli studiosi grazie alle intuizioni dell’archeologo autodidatta Ernesto Canal, che nel 1988 ipotizzò la presenza di una villa romana. Le campagne di scavo avviate da Ca’ Foscari a partire dal 2021 hanno confermato e ampliato questa ipotesi, rivelando non solo la vasca per ostriche, ma anche fondazioni in mattoni sostenute da pali di quercia, frammenti di affreschi, tessere di mosaico e una gemma preziosa. Questi reperti suggeriscono che l’ostriarium fosse parte di un complesso più ampio, probabilmente una villa marittima di lusso, simile a quelle descritte dal poeta Marziale nei lidi di Altino alla fine del I secolo d.C.

    Frammenti di decorazioni trovati sul sito di scavo (foto: Ca’ Foscari)

    L’ostiarium: tecnologia e vita quotidiana

    La vasca scoperta a Lio Piccolo misura circa 2 metri di larghezza per 8 di lunghezza ed è situata a oltre 3 metri sotto il livello del mare attuale. Costruita con mattoni sesquipedali e tavole di legno, si è conservata in maniera straordinaria grazie alle condizioni anossiche del fondale lagunare. La struttura era suddivisa in due ambienti da paratie lignee, probabilmente per separare le ostriche da altri bivalvi come i canestrelli, rinvenuti in minor quantità. Le analisi dendrocronologiche e al radiocarbonio datano la costruzione alla seconda metà del I secolo d.C., ossia nel pieno dell’età imperiale.

    Uno dei ritrovamenti (foto: Ca’ Foscari)

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    Ostriche e lusso

    Nel mondo romano, le ostriche erano un alimento di prestigio, apprezzato nelle mense delle élite e allevato in strutture specializzate chiamate vivaria o ostriaria. Fonti antiche, a cominciare dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, parlano dell’itticoltura romana come di un’arte raffinata, con vasche progettate per mantenere i molluschi in condizioni ottimali. L’ostriarium di Lio Piccolo, con i suoi 300 gusci di Ostrea edulis – una specie scomparsa dalla laguna nell’Ottocento – ne rappresenta l’eloquente testimonianza, dimostrando l’alto livello di conoscenze raggiunto dai romani nel gestire ambienti acquatici complessi. La presenza di una saracinesca in legno, o gargame, suggerisce un sistema di controllo dell’acqua, simile a quello delle peschiere costiere descritte da autori come Columella.

    La gemma incisa con una figura mitologica trovata a Lio Piccolo (foto: ©Ca’ Foscari)

    Accanto alla vasca, le fondazioni in mattoni e pali di quercia indicano un edificio di notevoli dimensioni e pregio. Centinaia di frammenti di affreschi, tessere di mosaico e lastre di marmo pregiato rafforzano l’ipotesi che ci troviamo sui resti di una villa di lusso, forse una villa marittima frequentata da ricchi proprietari terrieri o mercanti altinati. Tra i reperti spicca una gemma di agata incisa con una figura mitologica, probabilmente parte di un anello, appartenuta presumibilmente a un individuo di alto rango sociale. Questi dettagli dipingono un quadro vivido: una dimora elegante affacciata sulla laguna, dove le ostriche fresche erano un simbolo di status e raffinatezza.

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    Archeologia, scienza e ambiente

    La scoperta di Lio Piccolo è il risultato di un approccio interdisciplinare che ha unito competenze diverse per ricostruire il passato della laguna. Il progetto, diretto dal professor Carlo Beltrame e dalla ricercatrice Elisa Costa, ha coinvolto il Dipartimento di Studi Umanistici di Ca’ Foscari, il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze. Finanziato dall’ateneo veneziano, dal Comune di Cavallino-Treporti, dal progetto PNRR CHANGES e da un progetto PRIN PNRR, lo scavo è stato condotto sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e la Laguna.

    (foto: ©Ca’ Foscari)

    Gli archeologi hanno utilizzato tecniche avanzate, come la fotogrammetria subacquea, per creare modelli 3D del sito, essenziali per documentare strutture sommerse in acque a bassa visibilità. I geologi, guidati dal professor Paolo Mozzi, hanno analizzato i sedimenti per ricostruire l’antico paesaggio lagunare, mentre i biologi, come Irene Guarnieri del CNR-ISMAR, hanno studiato i gusci di ostriche per comprendere la biodiversità dell’epoca. Le analisi al radiocarbonio, condotte in collaborazione con il Weizmann Institute of Science di Rehovot, hanno permesso di datare con precisione i materiali lignei, confermando la cronologia del I secolo d.C.

    Questo approccio integrato non solo ha arricchito la conoscenza del sito, ma ha anche evidenziato il delicato equilibrio tra uomo e ambiente nella laguna romana. La presenza di un ostriarium suggerisce una gestione sostenibile delle risorse marine, con vasche progettate per mantenere i molluschi senza alterare l’ecosistema circostante. Questi dati offrono spunti preziosi per comprendere come le società antiche si adattassero a contesti ambientali complessi: una lezione attuale in un’epoca di cambiamenti climatici e innalzamento dei mari.

    Modello 3D dell’ostriarium (foto: ©Ca’ Foscari)

    La villa di Lio Piccolo: un microcosmo romano

    L’ostriarium però, come detto, non era un elemento isolato, ma parte di un complesso più ampio che riflette la ricchezza e la complessità della società romana nella laguna. Le fondazioni scoperte accanto alla vasca, sostenute da una “selva” di pali in quercia, indicano un edificio di notevoli dimensioni, probabilmente una villa affacciata sul Canale Rigà. I frammenti di affreschi, con colori vivaci e motivi decorativi, e le tessere di mosaico suggeriscono interni raffinati, mentre le lastre di marmo importato evocano contatti commerciali con altre regioni del Mediterraneo.

    Dalla scoperta alla condivisione: il ruolo del Museo

    Il Museo di Storia Naturale di Venezia, con le sue collezioni storiche e il suo impegno nella ricerca lagunare, è il luogo ideale per raccontare la scoperta e il mondo che rappresenta. L’esposizione, intitolata Un Ostiarium romano in laguna di Venezia, presenterà al pubblico i primi risultati del progetto, con un focus sulla vita degli abitanti della laguna in epoca romana. I visitatori potranno ammirare gusci di ostriche, frammenti di affreschi e marmi, oltre a video degli scavi e un modello 3D del sito, che permetterà di “immergersi” virtualmente nel paesaggio antico.

    Laguna di Venezia (drone ph. Leonardo Mizar Vianello)

    Oltre a esporre i reperti tornati alla luce, l’allestimento è concepito per riflettere sull’importanza della laguna come crocevia di culture, commerci e innovazioni. Attraverso conferenze e incontri estivi, inoltre, il museo mira a coinvolgere un pubblico ampio, dai ricercatori agli appassionati, dai residenti ai turisti.

    Le immagini dell’allestimento

    Nuove prospettive per l’archeologia lagunare

    Ma c’è di più. La scoperta di Lio Piccolo apre anche nuove prospettive per l’archeologia lagunare. Gli studi in corso sui gusci di ostriche, condotti da esperti come Davide Tagliapietra del CNR-ISMAR, potrebbero rivelare dettagli sulla salinità dell’acqua, sulla dieta marina e sui cambiamenti ambientali dell’epoca. Allo stesso modo, l’analisi dei sedimenti e dei macroresti vegetali contribuirà a ricostruire il paesaggio antico, chiarendo il ruolo dei canali e delle saline nella vita quotidiana del tempo.

    Pollini trovati sul sito (foto: ©Ca’ Foscari)

    La gemma incisa, ritrovata tra i sedimenti, è un reperto particolarmente evocativo. Realizzata in agata e decorata con una figura mitologica, potrebbe essere appartenuta a un proprietario della villa o a un ospite di riguardo. Oggetti simili, comuni tra le élite romane, erano simboli di prestigio e cultura, spesso legati a miti classici o divinità marine, un richiamo appropriato per un sito lagunare. Sono tutti dettagli che dimostrano che la villa di Lio Piccolo fosse un luogo di otium e convivialità, dove le ostriche fresche, servite durante banchetti, incarnavano il lusso e ribadivano il legame con il mare.

    (foto: ©Ca’ Foscari)

    Il riferimento di Marziale alle ville marittime di Altino, datato alla fine del I secolo d.C., sembra dunque trovare un’eco concreta in questo sito. Le ville altinate, costruite lungo il litorale, erano residenze estive per ricchi Romani, che combinavano attività produttive, come l’itticoltura, con il piacere di paesaggi naturali. L’ostriarium di Lio Piccolo si inserisce perfettamente in questo contesto, a riprova del dinamismo e della vivacità dell’economia lagunare, perfettamente integrata nelle reti commerciali dell’Impero.

    Guarda i video

    https://youtu.be/JhiEBI7ZREM

    https://www.youtube.com/watch?v=oZGSiwgbsPE

    UN OSTRIARIUM ROMANO NELLA LAGUNA DI VENEZIA
    Venezia, Museo di Storia Naturale, piano terra
    16 aprile – 2 novembre 2025
    a cura di Carlo Beltrame ed Elisa Costa

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