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Uno dei difetti principali delle formazioni partigiane in Cadore era l’ossessivo mantenimento di posizioni fisse

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A settembre [1944] tutte le brigate aumentarono la frequenza delle loro scorribande, nel tentativo di isolare il Centro Cadore, la Val d’Ansiei ed il Comelico, impedendo la penetrazione del territorio da parte dei mezzi corazzati tedeschi, che battevano in ritirata. Le più significative azioni di questo periodo furono l’attacco al presidio tedesco sul monte Tudaio da parte di un gruppo della Oberdan in data 3 settembre 1944, il brillamento di un ponte sulla strada statale n. 51 denominata «Cavallera» il 4 settembre, l’attentato ad una pattuglia tedesca presso il ponte sul Rio Rin a Lozzo di Cadore il 6 settembre <134, l’imboscata ad un autocarro nel paese di Vallesina il 9 settembre, la conflagrazione tramite esplosivo di un ponte sul fiume Ansiei nello stesso giorno e la demolizione del ponte che collegava il paese di Venas a quello di Cibiana il 10 settembre <135. A complicare le cose sopraggiunsero alcune divergenze tra la Brigata carnica Osoppo e la Brigata Cadore. La prima voleva intensificare le azioni per dar luogo ad una strenua lotta contro l’invasore, la seconda invece voleva evitare le interferenze di altri nuclei partigiani sulla propria zona e lo stesso «Garbin» si mobilitò affinché fossero rispettati i territori di competenza delle singole brigate. Gli eventi precipitarono quando, il mattino del 20 settembre, alcuni partigiani della Osoppo, spararono diversi colpi di mitraglia contro l’edificio della scuola elementare di Pelos, sede del comando tedesco. Nello stesso tempo Alessandro Gallo si trovava a Lozzo per ricevere delle informazioni e dei documenti da un «gappista» della base di Pieve. Quando sentì gli spari, temendo una feroce ritorsione tedesca contro il paese, si portò con quattro compagni nella zona della «Curva dei Sindaci» presso la periferia di Lozzo. Qui attese per ore l’avvento del «gappista», ma poiché esso tardava, decise di tendere un agguato contro tre camion tedeschi che transitavano nella strada verso Domegge. Le bombe lanciate da Alessandro Gallo e dagli altri partigiani danneggiarono solo il primo dei tre automezzi, permettendo ai soldati degli altri due di reagire tempestivamente. Incalzati dal fuoco tedesco i partigiani si diedero alla fuga: il «Garbin» venne braccato ed ammazzato insieme a due dei suoi fedeli compagni <136, in località «Ceraia», mentre alla strage sopravvissero Arturo Fornasier «Volpe» e Giuseppe De Col «Carlo». I corpi dei caduti vennero allineati sulla scarpata adiacente alla strada e vennero dati alle fiamme i fienili circostanti <137. Il giorno successivo, per scongiurare il pericolo di ulteriori attacchi di guerriglia, i tedeschi abbandonarono i presidi di S. Caterina ad Auronzo e del Comelico e ripiegarono in quel di Pieve. Ma un gruppo della Calvi colpì presso Ponte Nuovo una pattuglia tedesca uccidendo due militi e ferendone gravemente altri cinque <138. Di conseguenza il 22 settembre i tedeschi effettuarono un rastrellamento a Calalzo ed arrestarono numerosi operai della fabbrica «Lozza», che vennero portati nella gendarmeria di Tai di Cadore per essere sottoposti ad interrogatorio <139. A Lozzo il panico si diffuse tra gli abitanti, di cui gran parte si nascose nell’altopiano di Pian Dei Buoi, sopra il paese, mentre il parroco don
Pietro Costantini celebrava in segreto le esequie dei tre partigiani caduti in battaglia due giorni prima <140. Molti uomini furono catturati e nel paese di Lorenzago solo l’intervento del parroco don Sesto Da Pra <141 impedì che i partigiani del luogo venissero estromessi dal paese da parte della popolazione terrorizzata dall’idea di subire la violenza tedesca. Per scongiurare ogni possibile ritorsione egli si recò personalmente al Comando delle SS di Tai, per convincere gli ufficiali che la colpa degli attentati recenti era da addossare a gruppi di partigiani titini <142.
Nel frattempo la prematura scomparsa di Gallo provocò i primi disappunti tra il Cln e la Brigata Calvi, che all’improvviso venne abbandonata a sé stessa e fu costretta a recuperarsi i viveri con le requisizioni forzate, malviste dalla gente già ampiamente provata dalla miseria derivata dalla guerra. Alla fine di settembre, i prigionieri tedeschi detenuti nella «Caserma di Sora Crepa» e a Pian Dei Buoi vennero trasportati presso il Passo della Mauria e furono scortati da un contingente della Osoppo fino a Forni Di Sopra; tuttavia per evitare ulteriori rappresaglie tedesche essi vennero presto rilasciati e fecero ritorno al Comando di Tai <143. Iniziò così, per i volontari cadorini, un periodo di sconforto e di profonda crisi organizzativa.
Uno dei difetti principali delle formazioni partigiane in Cadore era l’ossessivo mantenimento di posizioni fisse, che permetteva al nemico di accerchiare facilmente ogni loro dispiegamento grazie anche alla mancanza di armi e di un adeguato addestramento <144. Nell’autunno del ’44 anche gli alleati incontrarono alcune avversità e rallentarono la loro avanzata ed i tedeschi ebbero la possibilità di concentrare le proprie forze contro i partigiani. L’assenza di collegamenti tra alleati e partigiani era una grave carenza che poteva causare la distruzione dell’intero impianto della Resistenza, soprattutto nel momento in cui i tedeschi erano fortemente intenzionati a riprendere il possesso dei punti strategici in Veneto ed in Friuli. Per schiacciare le forze partigiane definitivamente il Comandante Supremo della zona Sud Ovest Albert Kesselring ordinò «una settimana di lotta» dall’8 al 14 ottobre del 1944 contro ogni banda di ribelli <145. Per far fronte alla situazione che stava degenerando, i vertici della Nannetti stabilirono una ristrutturazione di tutte le formazioni in piccoli nuclei più facilmente gestibili. Tuttavia la scarsità di vivande, la paura di rastrellamenti tedeschi, l’atteggiamento attendista del Cln, contribuirono ad indebolire ulteriormente le fila partigiane. Il 18 ottobre infatti, senza incontrare ostacolo alcuno, diverse truppe tedesche, provenienti dalla Carnia, invasero il Cadore attraversando il Passo della Mauria. Il 20 ottobre, la Brigata Calvi, impotente dinnanzi all’inesorabile avanzata del nemico fu costretta ad ordinare l’ennesimo frazionamento dei battaglioni in compagnie di quattro o cinque uomini con il compito di avvicendarsi ai propri paesi ed alle rispettive famiglie <146. Ai primi di novembre il Comando della Calvi fu affidato a Carlo Orler, detto «Alberto» ed a Severino Rizzardi, chiamato «Tigre <147». Dopo questo riassetto ed il frazionamento della Brigata, la maggior parte dei partigiani si aggregarono alla Todt <148 di Termine di Cadore su cui i tedeschi mantenevano un diretto controllo. Nel contempo i tedeschi ritornarono a Pelos ed ordinarono la costruzione di un nuovo ponte che collegasse il paese a Lozzo, da ultimare in appena quindici giorni. Furono ripresi i rastrellamenti nei paesi di Domegge <149, Laggio, Vigo, Calalzo ed Auronzo, molti fienili vennero bruciati e gli uomini validi e celibi vennero deportati nel campo di concentramento di Bolzano. Il 13 novembre, da Radio Londra, venne trasmesso il messaggio radiofonico «Alexander» nel quale si decretava il termine delle operazioni di sfondamento della «Linea Gotica» da parte dell’esercito alleato a causa dell’arrivo dell’inverno. Cosicché nascondere e nascondersi divenne l’unico imperativo dei partigiani della Calvi. Nonostante l’estrema accortezza che essi manifestarono nel darsi alla macchia non fu possibile evitare la cattura di alcuni patrioti per mano tedesca. Il 30 novembre infatti, nei comuni di Vigo, Lorenzago e Lozzo di Cadore, un rastrellamento portò al sequestro di Celestino Da Rin «Lune», di Galliano Ronzon «Marat», di Roberta Martini, di Vincenzo Calligaro e di Terenzio Baldovin. Tra questi Calligaro e Baldovin furono deportati al campo di Bolzano, ma solamente Terenzio finì in Germania dove perì nel campo di Obertraubling <150. Nella prima settimana di dicembre, le ultime forze partigiane scesero a valle e si mescolarono alla popolazione anche il presidio del rifugio «Tita Barba» venne abbandonato. Alla smobilitazione delle truppe di patrioti corrispose una continua caccia all’uomo da parte dei servizi di polizia tedesca, che portò all’arresto di Mario Chioccola, Direttore delle Scuole di Avviamento e di Innocente Anzutti, entrambi membri del Cln dei paesi dell’Oltrepiave <151. Fu solo con l’avvento della primavera che si riprese l’attività di Resistenza ad Auronzo, nel massiccio delle Marmarole ed in Comelico.
[NOTE]
134 A causa di questo attentato il 7 settembre 1944 vi fu una reazione tedesca contro il paese di Lozzo. A riguardo, nelle memorie dell’allora parroco di Lozzo don Pietro Costantini si leggono le seguenti parole: «Alle ore 16, mentre il Parroco è in chiesa parrocchiale intento alle confessioni dei fanciulli, che si preparano alla festa della Madonna, una pattuglia di tedeschi si ferma davanti alla chiesa ed incomincia a sparare. Grande panico. Il Parroco tratta con i tedeschi, riesce a portare i fanciulli all’Asilo infantile e li affida alle Suore. Durante la sparatoria rimangono feriti Calligaro Achille Capo, Laguna Marco a Col e Marta Raffaele. Per fortuna le ferite non sono gravi». Cit. da don
Pietro Costantini, La nostra Chiesa, Lozzo di Cadore, 1969, p. 17.
135 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore,, pp. 186-197.
136 I caduti oltre al «Garbin» furono Alfredo Piccin detto «Mingi» di Domegge e Giovanni Valentini «Lilli» di Arona. Si veda la fotografia della croce commemorativa posta sul luogo della strage riportata in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 167. Cfr. Fornasier, Il nonno racconta, pp. 71-72.
137 Cfr. Musizza e De Dona, Guerra e resistenza in Cadore, pp. 236-238.
138 Ibidem, pp. 240-245.
139 Il giorno successivo continuarono gli scontri tra i soldati tedeschi ed i partigiani. Di questi eventi nel diario di don Pietro Costantini sotto l’indicazione della data del 23 settembre 1944 si legge: «Combattimenti fra partigiani e tedeschi in comune di Domegge, fino a S. Anna dove un partigiano del Comelico è trovato cadavere, sotto un fienile.» Cit. da don Pietro Costantini, La nostra Chiesa, p. 18.
140 Riguardo all’attentato del 20 settembre nelle memorie di don Pietro Costantini, datate 20 settembre 1944, si legge: «Tre partigiani uccisi sui campi di “Ceraia”. È ucciso anche il capo “Garbin”. Il medico recatosi a constatare la morte trova nelle loro tasche “Notes” con nominativi ed indicazioni che fortunatamente non giungono in mano a tedeschi. Nuova sparatoria per le vie del paese. Nessun ferito, ma molta paura. Corre voce che si farà una rappresaglia sul paese. La gente s’affretta a mettere in salvo le cose più importanti. Anche gli ammalati sono portati fuori di casa e sistemati nei fienili di “Le Spesse” e “Naro”. Il caso più pietoso è quello di Da Pra Colò Maria ved. Baldovin Stefin che non può muoversi dal letto. È caricata su di un carro e trasportata, quasi agonizzante, in un fienile.” Cit. da don Pietro Costantini, La nostra Chiesa, p.18. Inoltre in una busta che reca la didascalia Foto: partigiani uccisi dalla SS. Tedesca in località “Ceraia” sett. 1944, custodita presso l’Archivio della parrocchia di S. Lorenzo Martire di Lozzo di Cadore c’è la seguente annotazione: “Partigiani uccisi dalle S.S. tedesche in località “Ceraia” il giorno 20.9.1944 in uno scontro provocato dai partigiani stessi, non si sa bene a quale scopo, quando si tenga presente che i partigiani erano in cinque e i tedeschi erano circa un centinaio ed occupavano due automezzi equipaggiati a guerra.” Il documento porta la firma del parroco don Pietro Costantini, nel retro c’è l’elenco dei partigiani caduti con i rispettivi nomi di battaglia e la dicitura “il giorno 20 sett. 1944, dei cinque partigiani sopravvissero due soltanto.” Nella busta ci sono le foto dei corpi dei caduti e la copia di una circolare del comune di Lozzo in cui si legge: “Il giorno 20 settembre 1944 alle ore 14:30 circa sono morti in località “Ceraia” di questo Comune tre individui sconosciuti (partigiani) di sesso maschile, uno dell’apparente età di anni 35 e gli altri due di anni 30, in seguito a ferite di arma da fuoco (mitragliatrice) sparata da soldati delle Forze Armate Germaniche. Il cadavere dei medesimi fu trasportato nel cimitero di Lorenzago, dopo il funerale eseguito a Lozzo. Lozzo di Cadore, 21 settembre 1944; l’Ufficiale dello Stato Civile Delegato.» La busta e le foto suddette sono riportati in Appendici, documenti e fotografie, ivi pp.168-171. Si veda anche serie 9, Protocolli 1840-1950, busta 124, fasc.1, Registro di protocollo 1944 1° gen.- 1945 lug.11, p. 164, in Archivio comunale di Lozzo di Cadore, dove si legge: «Si registra il rinvenimento di 3 cadaveri di partigiani morti in località Ceraia il 20 corr. Alle 14:30. Salme trasportate poi a Lorenzago”. Cfr. Anche serie 23, busta 1013, fasc. 7, categoria XV, Sicurezza pubblica, classi 1°, Stato civile, dove si legge: “Il 22 settembre i tre corpi dei partigiani di Ceraia furono portati a Lorenzago dopo il controllo del medico Amadori».
141 Aleardo Sesto Da Pra «Pocchiesa» nacque a Lozzo di Cadore il 31 maggio 1909 alle ore 22:00, da Lorenzo e Bartolomea Lovarini, penultimo di sette fratelli: Grazioso, Gaetano, Giovanni, Mario, Celio e Delio. Egli venne ordinato sacerdote il 6 luglio 1936 e fu cooperatore ecclesiastico a Pieve di Zoldo, a Santo Stefano e a Lorenzago di Cadore. Nel novembre del 1943 divenne titolare della parrocchia di Lorenzago. Morì il 16 febbraio 2000 presso l’ospedale di Pieve di Cadore. Si veda Marco D’Ambros (a cura di), Don Sesto Da Pra, un parroco amico del Papa, Grafica Sanvitese, San Vito di Cadore (Bl), I Edizione, luglio 2010, pp. 7-8.
142 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, pp. 245-249.
143 Ibidem, pp. 254-258.
144 Cfr. Vendramini, Aspetti militari della resistenza bellunese e veneta. Tra ricerca e testimonianza, pp. 85-86.
145 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, p.263.
146 Ibidem, pp. 268-271.
147 Ibidem, p. 279.
148 L’Organizzazione Todt o «Ot» era un’impresa di costruzioni addetta all’allestimento di fortificazioni attivata dal Reich, essa prese il nome dal suo fondatore Fritz Todt, che ne rimase a capo fino all’8 febbraio 1942 quando perì in un incidente aereo, poi venne sostituito da Albert Speer. Ibidem, p. 280.
149 Qui, i due partigiani Renato De Bernardo «Ivan» e Duilio Cian vennero impiccati il 25 ottobre 1944. Cfr. Ibidem, p. 298-299.
150 Ibidem, pp. 321-323.
Vittorio Lora, Terenzio Baldovin e Lozzo di Cadore. Public history e stratificazioni della memoria in una comunità di montagna, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari – Venezia, Anno accademico 2011-2012

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Il Comandante partigiano “Amedeo” catturato e fucilato

Il 26 gennaio 1945 una delazione fu fatale al Comandante “Amedeo” ed a cinque suoi compagni. Le cause che portarono alla loro cattura furono diverse.
Tra il 24 ed il 25 gennaio 1945 i Battaglioni Nuotatori Paracadutisti e Sagittario della Decima Mas organizzarono insieme un rastrellamento contro la ricostituita Mazzini. I primi, sfruttando l’abbondante nevicata, attaccarono a sorpresa il gruppo del bolognese “Gianni” (Primo Cavicchi) e del mestrino “Danton” nei pressi di un bivacco nella zona di Pianezze di Miane, perdendo 13 uomini (tra i quali il Sergente Vincenzo Aniparides), ma uccidendo “Danton” ed un altro partigiano; i secondi, beneficiando delle informazioni di una staffetta, che si faceva chiamare “l’Americana” e che era stata arrestata dal Battaglione Nuotatori Paracadutisti, compirono un rastrellamento a Premaor di Miane; dove, in una stalla, erano nascosti quattro partigiani armati <146.
Sulla base di quanto affermano la storiografia resistenziale e le deposizioni dei fascisti processati dalla Corte d’Assise straordinaria di Treviso, la cattura di Marino Zanella (Amedeo) e della sua staffetta Salvatore Pontieri (Totonno) non fu frutto di un piano organizzato, ma avvenne in modo del tutto casuale. Le nipoti di “Amedeo” ritengono, invece, che l’arresto dello zio sia stato tutt’altro che fortuito, visto che la Brigata Mazzini continuò ad essere il principale obiettivo delle rappresaglie fasciste anche dopo il rastrellamento del Cansiglio. Hanno inoltre sostenuto che la discesa a valle di “Amedeo” avvenne con un motivo ben preciso: la notte del 23 gennaio 1945 il Comandante della Mazzini si recò a Guia di Valdobbiadene per assistere la partoriente cognata Assunta De Rui. Quest’ultima, infatti, dopo il rastrellamento di Segusino, trascorse circa un mese in montagna con i partigiani e, successivamente, grazie ad un accordo tra Curzio Frare (Attilio) ed il parroco di Guia, venne ospitata insieme alla figlia presso l’abitazione di tre benestanti signore di quel paese. Infine, il 24 o il 25 gennaio 1945, prima di ritornare in montagna, “Amedeo” doveva recarsi ad un incontro concordato con il macellaio di Miane Giuseppe Bortolini: accordo che prevedeva il pagamento di una somma di 135.000 lire, in cambio di un rifornimento di carne per la Brigata Mazzini.
È possibile che “l’Americana” – di lì a poco giustiziata dai partigiani – o chi per essa, al corrente dei piani di Marino Zanella, vuoi per ricevere un elevato compenso alimentare ed economico, vuoi per motivazioni di altro genere, avesse informato i fascisti; i quali, dopo aver arrestato i quattro partigiani, intercettarono anche “Amedeo” e la sua staffetta “Totonno” lungo la strada tra Miane e Follina.
Anche il fatto che gli uomini della Decima Mas non sapessero di avere tra le mani il Comandante della Mazzini, ricercato politico fin dagli anni ’30, appare una ricostruzione poco convincente. Potrebbe anche essere vero che, a causa di un atto di ingenuità di “Amedeo”, l’arresto fosse avvenuto in modo inaspettato e che i militi che lo intercettarono non avessero riconosciuto il prigioniero, ma appena fu condotto nelle carceri del Municipio di Pieve di Soligo e, visti i segni delle pesanti torture che furono trovati sul suo corpo dai familiari, non è ragionevole pensare che i vertici del Battaglione Sagittario (il vicecomandante Tenente Angelo Rossellini ed i Sottotenenti Alfredo Bonichi ed Aldo Grosso) non fossero ben consapevoli di aver ottenuto un successo strategico fondamentale.
Venendo ai fatti, dopo un violento interrogatorio e la condanna a morte senza processo, attorno alle ore 11 del 26 gennaio 1945 (venerdì) i sei partigiani, assistiti da monsignor Domenico Martini, locale arciprete, furono fucilati tre alla volta sul lato nord-est del muro di cinta del cimitero di Pieve di Soligo, dove, ancor oggi, si trovano una scultura bronzea realizzata da Augusto Murer ed una lapide che ricorda il loro sacrificio. All’interno del cimitero, in tempi più recenti, è stato realizzato un grande monumento in onore dei sei caduti, del vicecomandante “Cirillo” e delle vittime pievigine del nazifascismo.
Elenco dei partigiani giustiziati con Marino Zanella (Amedeo) <147: 1. Antonio Bortolini (Bepi), nato a Miane il 6 gennaio 1922, partigiano combattente dal 18 ottobre 1943; 2. Salvatore Pontieri (Totonno), nato a Savelli di Crotone l’11 dicembre 1922; 3. Giovanni Possamai (Lavaredo/Ravanello), nato a Mura di Cison di Valmarino l’11 giugno 1922, soldato di Fanteria; 4. Leone Sasso (Resistere), nato a Cison di Valmarino il 6 gennaio 1894, in precedenza Alpino del 7° Reggimento Alpini di Belluno; 5. Maurizio Violini (Mario/Violini), nato a Sassari il 5 novembre 1910 e residente a Valmareno di Follina, Carabiniere.
Lo stesso giorno della fucilazione, opponendosi alla presa di posizione del Comando del Battaglione Sagittario di scavare una fossa comune per far passare sotto silenzio la vicenda, l’arciprete di Pieve di Soligo contattò i familiari delle vittime; cosicché, nei giorni seguenti, le salme furono trasferite e sepolte nella rispettive parrocchie.
Il 1° febbraio 1945 la Brigata Mazzini riservò al suo Comandante una partecipata cerimonia funebre a Segusino; dove, dimenticato o sconosciuto ai più, riposa ancor oggi nella tomba di famiglia <148.
Negli anni successivi alla fine della guerra, i dirigenti provinciali del Pci organizzarono delle cerimonie pubbliche in occasione degli anniversari dalla morte del fondatore della Brigata Mazzini, ma, nel contesto della Guerra Fredda e della lunga contrapposizione tra i blocchi americano e sovietico, la Democrazia Cristiana (Dc) ed il clero misero in cattiva luce la figura di Marino Zanella, facendolo passare alla storia come colui che era «autore di più di 500 condanne capitali, eseguite nelle nostre montagne» e che «con la sua propaganda, più a suon di denaro, ha attecchito nelle teste di un gruppo, fortunatamente esiguo, di giovinotti e di ragazze della stessa risma» <149. Al contempo, nonostante fosse già stata molto danneggiata, non ci furono remore nel mettere in difficoltà la famiglia Zanella con le più varie offese; trascurando il fatto che, seppur durante la liberazione e la “resa dei conti” le opportunità fossero state all’ordine del giorno, i familiari di “Amedeo” non vollero trarne alcun beneficio, preferendo il perdono all’immorale arricchimento dell’ultim’ora <150.
I responsabili del plurimo omicidio di Pieve di Soligo furono processati dalla sezione speciale della Corte d’Assise di Treviso. La sentenza del 13 luglio 1946 ebbe il seguente esito: Angelo Rossellini fu condannato all’ergastolo ed alla confisca a favore dello Stato di tutti i beni di sua proprietà, poiché ideatore e primo esecutore della rappresaglia; Aldo Grosso alla pena di 15 anni di reclusione per la sua partecipazione diretta al fatto; Alfredo Bonichi fu assolto per amnistia. Rossellini e Grosso furono inoltre condannati all’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed al pagamento delle spese processuali. Nei successivi gradi di giudizio furono entrambi assolti: Grosso dalla Corte di Cassazione con sentenza del 1° aprile 1948, Rossellini dalla Corte di Assise di Appello di Venezia il 27 maggio 1953, nonostante pendessero su di loro le accuse di omicidio aggravato e continuato e di collaborazionismo <151.
Di certo, in tempi brevi prevalse la pace, ma non avrebbe dovuto essere questa la soluzione migliore per ottenerla: chiudere gli occhi non sempre aiuta a dimenticare.
[NOTE]
146 ACASREC, b. 57, Archivio CRV, f. Documenti vari schedati, sf. Relazione sull’attività militare svolta dalle Brigate della Divisione “N. Nannetti” dal mese di dicembre 1943 al mese di maggio 1945; Albo nazionale caduti e dispersi della RSI, edizione aggiornata per l’anno 2015; AISTRESCO, fondo Tribunale Speciale e Corte d’Assise straordinaria di Treviso, b. 9, ID 1103 n. inventario 083, f. Decima Mas – Rossellini e altri, Procedimento penale a carico di Rossellini Angelo e altri, pp. 12-13; BIZZI, Il cammino di un popolo, vol. II, cit., pp. 151-153; MAISTRELLO, La Decima Mas in provincia di Treviso, cit., pp. 55-59; MASIN, La lotta di liberazione nel Quartier del Piave, cit., pp. 144-145; SERENA, I fantasmi del Cansiglio, cit., pp. 41-42.
147 AISRVV, II sez., b. 64, f. 3 sf. 1 Pratiche per pensioni di guerra, doc. 18, 88, 89, 96, 114; Archivio della Parrocchia di Miane, Registro dei morti; ASCM, b. Anno 1946 – Pratiche dalla 1a alla 4a, f. II (Elenco partigiani e caduti partigiani), sf. Bortolini Antonio, in particolare vedi: atto di notorietà del 1° luglio 1946.
148 Archivio della Parrocchia di Segusino, Registro dei morti (1936-1961), anno 1945; ASDPd, b. Guerra 1940-1945: Relazioni parrocchiali, f. Vicariato di Quero, sf. Parrocchia di Segusino, Relazione di don Agostino Giacomelli, s.d. (senza data); AISTRESCO, fondo Tribunale Speciale e Corte d’Assise straordinaria di Treviso, b. 9, ID 1103 n. inventario 083, f. Decima Mas – Rossellini ed altri, Procedimento penale a carico di Rossellini Angelo e altri, a p. 22 la deposizione di monsignor Domenico Martini, alle pp. 24-27 le deposizioni dei Sottotenenti Alfredo Bonichi ed Aldo Grosso.
149 ASDPd, b. Guerra 1940-1945: Relazioni parrocchiali, f. Vicariato di Quero, sf. Parrocchia di Segusino, Relazione di don Agostino Giacomelli, senza data.
150 Testimonianze di Fiorentina e di Silvana Zanella, 6 febbraio e 7 marzo 2015.
151 AISTRESCO, fondo Tribunale Speciale e Corte d’Assise straordinaria di Treviso, b. 9, ID 1103 n. inventario 083, f. Decima Mas – Rossellini ed altri, Procedimento penale del luglio 1946 e sentenze successive; in particolare si veda la sentenza n. 46 del 13 luglio 1946.
Luca Nardi, Storie di guerra: Valdobbiadene e dintorni dal gennaio 1944 all’eccidio del maggio 1945, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2016

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