La prima formazione partigiana a essere colpita è quella di Nicoletta

L’operazione Habicht si inserisce in un contesto più ampio di rastrellamento sull’intera regione montana dell’Italia nord-occidentale. L’operazione, condotta dal generale delle SS Tensfeld, <55 intende distruggere i nuclei del partigianato particolarmente attivi nelle vallate torinesi. La Val Sangone, interessata dall’operazione, viene coinvolta dai primi giorni di maggio 1944.
I partigiani valsangonesi hanno la soffiata dell’ufficiale Ernst von Pappenheim, in servizio a Rivoli, relativa a un’operazione di rastrellamento che dovrebbe aver luogo di lì a tre giorni, mettendo nelle condizioni i partigiani di potersi preparare strategicamente all’arrivo dei tedeschi. <56
Le avanguardie tedesche arrivano da Orbassano e Avigliana ma anche dalle montagne valsusine e valchisonesi, <57 circostanza che lascia impreparati i reparti partigiani, accerchiati e annientati.
Le prime bande partigiane a subire l’attacco sono le brigate Nino-Carlo, la ‘Sergio’ comandata da Sergio De Vitis, e la banda Giulio, comandata da Giulio Nicoletta.
La prima formazione a essere colpita è quella di Nicoletta, stanziata alla Maddalena, da un numero di attaccanti non superiore alle 2000 unità.
La banda di Nicoletta, accerchiata, riesce a contenere le perdite ma lascia al nemico le poche riserve di armi a sua disposizione. <58
Alla ‘De Vitis’ va peggio poiché lasciano sguarnito il versante montano dello schieramento; dallo stesso versante parte l’attacco delle formazioni naziste (con anche un battaglione russo) che decima la formazione, rimasta appena orfana del vicecomandante Sandro Magnone. Vi sono numerosi dispersi, morti e feriti, tra cui Giuseppe Falzone e Pietro Curzel, futuri comandanti della brigata ‘Magnone’.
La banda ‘Nicoletta’ viene attaccata sempre alle prime ore del mattino del 10 maggio. Il primo a cadere è la sentinella siciliana ventiduenne Liborio Ilardi, poi i partigiani si chiudono a Villa Sertorio nell’attesa della fine dell’attacco, con munizioni esigue ma utili a far desistere i tedeschi dal proseguire l’assedio <59.
Dall’attacco non viene risparmiata nemmeno la banda ‘Genio’, comandata da Eugenio Fassino, che opera al confine tra Val Susa e Val Sangone e che strutturalmente consta di 300 uomini suddivisi in 12 plotoni da 25 <60: la manovra di sganciamento dall’assedio risulta loro più facile, stante la capacità di respingimento dei primi attacchi tedeschi sferrati all’alba.
Successivamente, vista la sproporzione di forze in campo, la ‘Genio’ si disperde. <61
L’unica banda che non partecipa agli scontri con i tedeschi è la ‘Campana’ di Felice Cordero di Pamparato: così ricorda Carlo Pollone, rivaltese, militante nella formazione appena citata: “Arriva il 10 maggio il rastrellamento e la Val Sangone è una vallata che si arriva da tutte le parti, è pericolosissima e poi non eravamo mica in tanti, saremo stati quattro o cinquecento. Campana mi dice: ‘Vai fino al Col del Bes a vedere se vengono su di là’, perché non ci avevano ancora attaccati, eravamo più spostati. Allora io parto con 2 o 3 uomini e gli altri, Remo Ruscello e Ugo Giai Merlera sono andati ad attaccarli nella zona di Ponte Pietra. Si sono messi lì sulla montagna e sparavano ai camion che andavano su fermandoli.” <62
La tesi secondo cui la ‘Campana’ non subisce sostanziali perdite è confermata da Oliva dal momento che gli uomini sono rifugiati in una posizione in cui, i rastrellatori, non riescono a raggiungerne le postazioni poiché non visibili sia dalla pianura che dalla montagna. <63
La giornata del 10 maggio si conclude con un forte tributo di sangue da parte dei partigiani, aggravata dalle numerose stragi a danno dei prigionieri catturati nel rastrellamento.
[NOTE]
55 Oliva G., La Grande Storia Della Resistenza: 1943-1948. UTET; 2018. p 307
56 Biffi R, Bruno E, Canale E, Grandis Vigiani C. Testimonianze Sulla Resistenza in Rivoli : Fatti Degli Anni 1943-45 Narrati Dai Protagonisti. Consiglio regione Piemonte; 1985. p 119
57 Adduci N, Torino, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Torino 1938-45 : Una Guida Per La Memoria. Città di Torino; 2010 fascicolo Val Sangone p 8
58 Sonzini M., Abbracciati Per Sempre: Il rastrellamento del Maggio ’44 in Val Sangone e L’eccidio Della Fossa Comune Di Forno Di Coazze. Gribaudo; 2004. p 34
59 Ibid.
60 Fornello M., La Resistenza in Val Sangone. Tesi datt. Università degli studi; 1962. p 65
61 Sonzini M. Abbracciati Per Sempre, cit p 47
62 Testimonianza di Carlo Pollone contenuta in Antoniello D,. Rivalta Partigiana. Comune di Rivalta di Torino, 2001. p 22
63 Oliva G, Quazza G., La Resistenza, cit p 198
Alessandro Busetta, La resistenza in Val Sangone e la divisione Campana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2022-2023

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«Facundo Quiroga, 9 de Julio. Ya no se pueden sacar los rollos de los campos para darle a los animales. Siguen todos en la suya, nadie se arrima a preguntar que está pasando. Todos haciendo campaña, disociados de la realidad.» así se expresó Patricia Gorza, productora agropecuaria, a través de su cuenta de X.

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¿ Y los sacerdotes del Crecimiento Infinito? ¿Y aquello de que no importa el tema del cambio climático?

El futuro ya llegó pero ellos, los sojeros, el campo, una gran mayoría del periodismo (incluso el periodismo progre) no se dieron cuenta!

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Uno dei difetti principali delle formazioni partigiane in Cadore era l’ossessivo mantenimento di posizioni fisse

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A settembre [1944] tutte le brigate aumentarono la frequenza delle loro scorribande, nel tentativo di isolare il Centro Cadore, la Val d’Ansiei ed il Comelico, impedendo la penetrazione del territorio da parte dei mezzi corazzati tedeschi, che battevano in ritirata. Le più significative azioni di questo periodo furono l’attacco al presidio tedesco sul monte Tudaio da parte di un gruppo della Oberdan in data 3 settembre 1944, il brillamento di un ponte sulla strada statale n. 51 denominata «Cavallera» il 4 settembre, l’attentato ad una pattuglia tedesca presso il ponte sul Rio Rin a Lozzo di Cadore il 6 settembre <134, l’imboscata ad un autocarro nel paese di Vallesina il 9 settembre, la conflagrazione tramite esplosivo di un ponte sul fiume Ansiei nello stesso giorno e la demolizione del ponte che collegava il paese di Venas a quello di Cibiana il 10 settembre <135. A complicare le cose sopraggiunsero alcune divergenze tra la Brigata carnica Osoppo e la Brigata Cadore. La prima voleva intensificare le azioni per dar luogo ad una strenua lotta contro l’invasore, la seconda invece voleva evitare le interferenze di altri nuclei partigiani sulla propria zona e lo stesso «Garbin» si mobilitò affinché fossero rispettati i territori di competenza delle singole brigate. Gli eventi precipitarono quando, il mattino del 20 settembre, alcuni partigiani della Osoppo, spararono diversi colpi di mitraglia contro l’edificio della scuola elementare di Pelos, sede del comando tedesco. Nello stesso tempo Alessandro Gallo si trovava a Lozzo per ricevere delle informazioni e dei documenti da un «gappista» della base di Pieve. Quando sentì gli spari, temendo una feroce ritorsione tedesca contro il paese, si portò con quattro compagni nella zona della «Curva dei Sindaci» presso la periferia di Lozzo. Qui attese per ore l’avvento del «gappista», ma poiché esso tardava, decise di tendere un agguato contro tre camion tedeschi che transitavano nella strada verso Domegge. Le bombe lanciate da Alessandro Gallo e dagli altri partigiani danneggiarono solo il primo dei tre automezzi, permettendo ai soldati degli altri due di reagire tempestivamente. Incalzati dal fuoco tedesco i partigiani si diedero alla fuga: il «Garbin» venne braccato ed ammazzato insieme a due dei suoi fedeli compagni <136, in località «Ceraia», mentre alla strage sopravvissero Arturo Fornasier «Volpe» e Giuseppe De Col «Carlo». I corpi dei caduti vennero allineati sulla scarpata adiacente alla strada e vennero dati alle fiamme i fienili circostanti <137. Il giorno successivo, per scongiurare il pericolo di ulteriori attacchi di guerriglia, i tedeschi abbandonarono i presidi di S. Caterina ad Auronzo e del Comelico e ripiegarono in quel di Pieve. Ma un gruppo della Calvi colpì presso Ponte Nuovo una pattuglia tedesca uccidendo due militi e ferendone gravemente altri cinque <138. Di conseguenza il 22 settembre i tedeschi effettuarono un rastrellamento a Calalzo ed arrestarono numerosi operai della fabbrica «Lozza», che vennero portati nella gendarmeria di Tai di Cadore per essere sottoposti ad interrogatorio <139. A Lozzo il panico si diffuse tra gli abitanti, di cui gran parte si nascose nell’altopiano di Pian Dei Buoi, sopra il paese, mentre il parroco don
Pietro Costantini celebrava in segreto le esequie dei tre partigiani caduti in battaglia due giorni prima <140. Molti uomini furono catturati e nel paese di Lorenzago solo l’intervento del parroco don Sesto Da Pra <141 impedì che i partigiani del luogo venissero estromessi dal paese da parte della popolazione terrorizzata dall’idea di subire la violenza tedesca. Per scongiurare ogni possibile ritorsione egli si recò personalmente al Comando delle SS di Tai, per convincere gli ufficiali che la colpa degli attentati recenti era da addossare a gruppi di partigiani titini <142.
Nel frattempo la prematura scomparsa di Gallo provocò i primi disappunti tra il Cln e la Brigata Calvi, che all’improvviso venne abbandonata a sé stessa e fu costretta a recuperarsi i viveri con le requisizioni forzate, malviste dalla gente già ampiamente provata dalla miseria derivata dalla guerra. Alla fine di settembre, i prigionieri tedeschi detenuti nella «Caserma di Sora Crepa» e a Pian Dei Buoi vennero trasportati presso il Passo della Mauria e furono scortati da un contingente della Osoppo fino a Forni Di Sopra; tuttavia per evitare ulteriori rappresaglie tedesche essi vennero presto rilasciati e fecero ritorno al Comando di Tai <143. Iniziò così, per i volontari cadorini, un periodo di sconforto e di profonda crisi organizzativa.
Uno dei difetti principali delle formazioni partigiane in Cadore era l’ossessivo mantenimento di posizioni fisse, che permetteva al nemico di accerchiare facilmente ogni loro dispiegamento grazie anche alla mancanza di armi e di un adeguato addestramento <144. Nell’autunno del ’44 anche gli alleati incontrarono alcune avversità e rallentarono la loro avanzata ed i tedeschi ebbero la possibilità di concentrare le proprie forze contro i partigiani. L’assenza di collegamenti tra alleati e partigiani era una grave carenza che poteva causare la distruzione dell’intero impianto della Resistenza, soprattutto nel momento in cui i tedeschi erano fortemente intenzionati a riprendere il possesso dei punti strategici in Veneto ed in Friuli. Per schiacciare le forze partigiane definitivamente il Comandante Supremo della zona Sud Ovest Albert Kesselring ordinò «una settimana di lotta» dall’8 al 14 ottobre del 1944 contro ogni banda di ribelli <145. Per far fronte alla situazione che stava degenerando, i vertici della Nannetti stabilirono una ristrutturazione di tutte le formazioni in piccoli nuclei più facilmente gestibili. Tuttavia la scarsità di vivande, la paura di rastrellamenti tedeschi, l’atteggiamento attendista del Cln, contribuirono ad indebolire ulteriormente le fila partigiane. Il 18 ottobre infatti, senza incontrare ostacolo alcuno, diverse truppe tedesche, provenienti dalla Carnia, invasero il Cadore attraversando il Passo della Mauria. Il 20 ottobre, la Brigata Calvi, impotente dinnanzi all’inesorabile avanzata del nemico fu costretta ad ordinare l’ennesimo frazionamento dei battaglioni in compagnie di quattro o cinque uomini con il compito di avvicendarsi ai propri paesi ed alle rispettive famiglie <146. Ai primi di novembre il Comando della Calvi fu affidato a Carlo Orler, detto «Alberto» ed a Severino Rizzardi, chiamato «Tigre <147». Dopo questo riassetto ed il frazionamento della Brigata, la maggior parte dei partigiani si aggregarono alla Todt <148 di Termine di Cadore su cui i tedeschi mantenevano un diretto controllo. Nel contempo i tedeschi ritornarono a Pelos ed ordinarono la costruzione di un nuovo ponte che collegasse il paese a Lozzo, da ultimare in appena quindici giorni. Furono ripresi i rastrellamenti nei paesi di Domegge <149, Laggio, Vigo, Calalzo ed Auronzo, molti fienili vennero bruciati e gli uomini validi e celibi vennero deportati nel campo di concentramento di Bolzano. Il 13 novembre, da Radio Londra, venne trasmesso il messaggio radiofonico «Alexander» nel quale si decretava il termine delle operazioni di sfondamento della «Linea Gotica» da parte dell’esercito alleato a causa dell’arrivo dell’inverno. Cosicché nascondere e nascondersi divenne l’unico imperativo dei partigiani della Calvi. Nonostante l’estrema accortezza che essi manifestarono nel darsi alla macchia non fu possibile evitare la cattura di alcuni patrioti per mano tedesca. Il 30 novembre infatti, nei comuni di Vigo, Lorenzago e Lozzo di Cadore, un rastrellamento portò al sequestro di Celestino Da Rin «Lune», di Galliano Ronzon «Marat», di Roberta Martini, di Vincenzo Calligaro e di Terenzio Baldovin. Tra questi Calligaro e Baldovin furono deportati al campo di Bolzano, ma solamente Terenzio finì in Germania dove perì nel campo di Obertraubling <150. Nella prima settimana di dicembre, le ultime forze partigiane scesero a valle e si mescolarono alla popolazione anche il presidio del rifugio «Tita Barba» venne abbandonato. Alla smobilitazione delle truppe di patrioti corrispose una continua caccia all’uomo da parte dei servizi di polizia tedesca, che portò all’arresto di Mario Chioccola, Direttore delle Scuole di Avviamento e di Innocente Anzutti, entrambi membri del Cln dei paesi dell’Oltrepiave <151. Fu solo con l’avvento della primavera che si riprese l’attività di Resistenza ad Auronzo, nel massiccio delle Marmarole ed in Comelico.
[NOTE]
134 A causa di questo attentato il 7 settembre 1944 vi fu una reazione tedesca contro il paese di Lozzo. A riguardo, nelle memorie dell’allora parroco di Lozzo don Pietro Costantini si leggono le seguenti parole: «Alle ore 16, mentre il Parroco è in chiesa parrocchiale intento alle confessioni dei fanciulli, che si preparano alla festa della Madonna, una pattuglia di tedeschi si ferma davanti alla chiesa ed incomincia a sparare. Grande panico. Il Parroco tratta con i tedeschi, riesce a portare i fanciulli all’Asilo infantile e li affida alle Suore. Durante la sparatoria rimangono feriti Calligaro Achille Capo, Laguna Marco a Col e Marta Raffaele. Per fortuna le ferite non sono gravi». Cit. da don
Pietro Costantini, La nostra Chiesa, Lozzo di Cadore, 1969, p. 17.
135 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore,, pp. 186-197.
136 I caduti oltre al «Garbin» furono Alfredo Piccin detto «Mingi» di Domegge e Giovanni Valentini «Lilli» di Arona. Si veda la fotografia della croce commemorativa posta sul luogo della strage riportata in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 167. Cfr. Fornasier, Il nonno racconta, pp. 71-72.
137 Cfr. Musizza e De Dona, Guerra e resistenza in Cadore, pp. 236-238.
138 Ibidem, pp. 240-245.
139 Il giorno successivo continuarono gli scontri tra i soldati tedeschi ed i partigiani. Di questi eventi nel diario di don Pietro Costantini sotto l’indicazione della data del 23 settembre 1944 si legge: «Combattimenti fra partigiani e tedeschi in comune di Domegge, fino a S. Anna dove un partigiano del Comelico è trovato cadavere, sotto un fienile.» Cit. da don Pietro Costantini, La nostra Chiesa, p. 18.
140 Riguardo all’attentato del 20 settembre nelle memorie di don Pietro Costantini, datate 20 settembre 1944, si legge: «Tre partigiani uccisi sui campi di “Ceraia”. È ucciso anche il capo “Garbin”. Il medico recatosi a constatare la morte trova nelle loro tasche “Notes” con nominativi ed indicazioni che fortunatamente non giungono in mano a tedeschi. Nuova sparatoria per le vie del paese. Nessun ferito, ma molta paura. Corre voce che si farà una rappresaglia sul paese. La gente s’affretta a mettere in salvo le cose più importanti. Anche gli ammalati sono portati fuori di casa e sistemati nei fienili di “Le Spesse” e “Naro”. Il caso più pietoso è quello di Da Pra Colò Maria ved. Baldovin Stefin che non può muoversi dal letto. È caricata su di un carro e trasportata, quasi agonizzante, in un fienile.” Cit. da don Pietro Costantini, La nostra Chiesa, p.18. Inoltre in una busta che reca la didascalia Foto: partigiani uccisi dalla SS. Tedesca in località “Ceraia” sett. 1944, custodita presso l’Archivio della parrocchia di S. Lorenzo Martire di Lozzo di Cadore c’è la seguente annotazione: “Partigiani uccisi dalle S.S. tedesche in località “Ceraia” il giorno 20.9.1944 in uno scontro provocato dai partigiani stessi, non si sa bene a quale scopo, quando si tenga presente che i partigiani erano in cinque e i tedeschi erano circa un centinaio ed occupavano due automezzi equipaggiati a guerra.” Il documento porta la firma del parroco don Pietro Costantini, nel retro c’è l’elenco dei partigiani caduti con i rispettivi nomi di battaglia e la dicitura “il giorno 20 sett. 1944, dei cinque partigiani sopravvissero due soltanto.” Nella busta ci sono le foto dei corpi dei caduti e la copia di una circolare del comune di Lozzo in cui si legge: “Il giorno 20 settembre 1944 alle ore 14:30 circa sono morti in località “Ceraia” di questo Comune tre individui sconosciuti (partigiani) di sesso maschile, uno dell’apparente età di anni 35 e gli altri due di anni 30, in seguito a ferite di arma da fuoco (mitragliatrice) sparata da soldati delle Forze Armate Germaniche. Il cadavere dei medesimi fu trasportato nel cimitero di Lorenzago, dopo il funerale eseguito a Lozzo. Lozzo di Cadore, 21 settembre 1944; l’Ufficiale dello Stato Civile Delegato.» La busta e le foto suddette sono riportati in Appendici, documenti e fotografie, ivi pp.168-171. Si veda anche serie 9, Protocolli 1840-1950, busta 124, fasc.1, Registro di protocollo 1944 1° gen.- 1945 lug.11, p. 164, in Archivio comunale di Lozzo di Cadore, dove si legge: «Si registra il rinvenimento di 3 cadaveri di partigiani morti in località Ceraia il 20 corr. Alle 14:30. Salme trasportate poi a Lorenzago”. Cfr. Anche serie 23, busta 1013, fasc. 7, categoria XV, Sicurezza pubblica, classi 1°, Stato civile, dove si legge: “Il 22 settembre i tre corpi dei partigiani di Ceraia furono portati a Lorenzago dopo il controllo del medico Amadori».
141 Aleardo Sesto Da Pra «Pocchiesa» nacque a Lozzo di Cadore il 31 maggio 1909 alle ore 22:00, da Lorenzo e Bartolomea Lovarini, penultimo di sette fratelli: Grazioso, Gaetano, Giovanni, Mario, Celio e Delio. Egli venne ordinato sacerdote il 6 luglio 1936 e fu cooperatore ecclesiastico a Pieve di Zoldo, a Santo Stefano e a Lorenzago di Cadore. Nel novembre del 1943 divenne titolare della parrocchia di Lorenzago. Morì il 16 febbraio 2000 presso l’ospedale di Pieve di Cadore. Si veda Marco D’Ambros (a cura di), Don Sesto Da Pra, un parroco amico del Papa, Grafica Sanvitese, San Vito di Cadore (Bl), I Edizione, luglio 2010, pp. 7-8.
142 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, pp. 245-249.
143 Ibidem, pp. 254-258.
144 Cfr. Vendramini, Aspetti militari della resistenza bellunese e veneta. Tra ricerca e testimonianza, pp. 85-86.
145 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, p.263.
146 Ibidem, pp. 268-271.
147 Ibidem, p. 279.
148 L’Organizzazione Todt o «Ot» era un’impresa di costruzioni addetta all’allestimento di fortificazioni attivata dal Reich, essa prese il nome dal suo fondatore Fritz Todt, che ne rimase a capo fino all’8 febbraio 1942 quando perì in un incidente aereo, poi venne sostituito da Albert Speer. Ibidem, p. 280.
149 Qui, i due partigiani Renato De Bernardo «Ivan» e Duilio Cian vennero impiccati il 25 ottobre 1944. Cfr. Ibidem, p. 298-299.
150 Ibidem, pp. 321-323.
Vittorio Lora, Terenzio Baldovin e Lozzo di Cadore. Public history e stratificazioni della memoria in una comunità di montagna, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari – Venezia, Anno accademico 2011-2012

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La Valle dell’Agno era stata per tutto il periodo dell’occupazione al centro delle attenzioni tedesche

Recoaro Terme (VI). Foto: Luca Menini. Fonte: Wikipedia

Dopo i terribili fatti di giugno-luglio 1944 si scatenò anche sulla Valle dell’Agno la sequela di grandi operazioni di rastrellamento di settembre, in particolare la zona che la separava dalla Valle del Chiampo subì l’Operazione “Timpano”. Durante la notte del 9 settembre i soldati tedeschi e italiani impiegati nell’operazione raggiunsero i punti di partenza, essa prevedeva un attacco dal basso delle zone di Piana di Valdagno e Selva di Trissino per creare una linea di sbarramento per le forze partigiane sui colli sovrastanti, tra le forze fasciste che parteciparono all’azione spicca il 63° Battaglione MM “Tagliamento” dislocato nel territorio di Recoaro Terme dall’agosto 1944 <247.
La manovra impiegò tre gruppi: il primo si recò a Piana e costrinse alla ritirata le forze della “Stella” da poco giunte in paese, causando durante l’azione diversi danni all’abitato del piccolo centro <248; il secondo gruppo raggiunse la zona di Quargnenta di Brogliano e di Selva di Trissino per distruggere il Comando della “Stella” che si trovava nell’area; il terzo gruppo risalì dal versante est della Valle del Chiampo per occupare i passaggi e le alture del Faldo, dove si scontrarono con una pattuglia partigiana della “Pasubio”. Durante queste operazioni i nazi-fascisti impiegarono una tecnica di rastrellamento nuova che prevedeva l’isolamento dell’area interessata, l’occupazione di punti strategici elevati, l’individuazione la segnalazione dei gruppi di ribelli tramite l’utilizzo dei razzi e l’attacco effettivo, prima tramite armi a lunga gittata e infine l’assalto <249. L’azione fu un successo per le forze nazi-fasciste e riuscì a disperdere le formazioni partigiane dell’area e ad incutere paura alla popolazione locale che, dopo quei fatti, tese a non dare aiuto ai ribelli dell’area. Complessivamente le vittime furono 58 e intere contrade tra Selva di Trissino e il Monte Falso furono incendiate completamente <250. Nell’arco del 1944 possiamo contare circa 60 danneggiamenti solo a Valdagno, dovuti alle azioni di rappresaglia, di beni mobili e immobili, in particolare le case date alle fiamme <251.
Con la fine del 1944 e l’avvicinarsi della primavera del 1945 la situazione per gli occupanti divenne sempre più precaria. Già durante l’anno precedente, quando i tedeschi decisero di spostare il Comando a Recoaro Terme, vi furono dissapori con i fascisti costretti a sgomberare il paese <252. Il 10 aprile 1945 i bombardamenti alleati fecero piovere 16 bombe da 500 libbre e tre razzi M8 da 127 millimetri sui lanifici di Valdagno <253. Le forze tedesche rimasero compatte fino al 25 e nell’ultimo mese di guerra vi erano circa 2200 soldati nella valle: 1500 a Recoaro, 500 a Valdagno e 200 tra Cornedo, Trissino e Castelgomberto <254. Mentre le forze anglo-americane avanzavano nella penisola l’idea di un bombardamento sul complesso di Recoaro Terme fu presa in seria considerazione già nell’autunno 1944 <255. La data prescelta per il bombardamento fu il 20 aprile 1945, a questa missione parteciparono 18 bombardieri Mitchell B25 con l’obiettivo di colpire il Quartier Generale tedesco, missione insolita per il tipo di velivolo tendenzialmente utilizzato per colpire le vie di comunicazione. La formazione effettuò tre passaggi successivi sull’obiettivo nel corso dei quali sganciarono 135 bombe tra 500 libbre ciascuna. Il bombardamento devastò l’area del centro termale e gli edifici annessi; il bilancio dei morti tra i tedeschi non è ben chiaro in quanto, spesso, contraddittorio ma si può parlare di almeno 30 vittime accertate. Il 22 aprile, mentre non vi erano più direttive da Berlino e da Hitler, si riunì a Recoaro Terme il Comando per discutere sulla situazione del fronte e sull’avanzata degli alleati nel nord del paese; tra i protagonisti di alto rango alla conferenza erano presenti <256: a. Heinrich von Vietinghoff-Scheel, Comandante del fronte sud-occidentale e del Gruppo di Armate C.; b. Hans Rottiger, Capo di Stato Maggiore del Gruppo di Armate C e generale delle truppe corazzate; c. Franz Hofer, Gauleiter della zona d’operazioni dell’Alpenvorland; d. Rudolph Rahn, Plenipotenziario del Reich presso la RSI; e. Karl Wolff, Capo supremo delle SS in Italia.
Durante l’incontro sia Wolff che Rahn sostennero l’inutilità della continuazione delle ostilità, Hofer dal canto suo rifiutava ogni ipotesi di resa e minacciò di far saltare l’incontro in caso contrario. Dopo una lunga discussione la posizione di Wolff e Rahn vinse gli indugi degli altri ufficiali tedeschi e venne presa la decisione di inviare una delegazione al quartier generale degli alleati a Caserta, nell’intento di negoziare un armistizio.
Con l’arrivo del 25 aprile e l’inizio dell’ultima fase della guerra in Italia, anche la Valle dell’Agno vide i propri centri insorgere per cacciare definitivamente gli occupanti. Il 26 il battaglione “Romeo” occupò Recoaro Terme senza colpo ferire; lo stesso giorno il CLN di Valdagno esautorò il Commissario Prefettizio locale e assunse il controllo della città; il 27 un distaccamento locale della “Rosselli” liberò Cornedo <257.
Come abbiamo già visto la fine della guerra non fu sempre la fine effettiva della violenza, la Valle dell’Agno era stata per tutto il periodo dell’occupazione al centro delle attenzioni tedesche, subendone le pesanti conseguenze. La popolazione civile venne duramente colpita in maniera quasi continuativa ma, quando il momento lo consentì, non si fece attendere e diede impulso alla liberazione della sua valle.
[NOTE]
247 CLNP al Battaglione “Romeo” (15 gennaio 1946), ASVI, CAS, b. 14 fasc. 861.
248 Fascicolo della ditta danneggiata di Zarantonello Francesco, certificato emesso dal Comune di Valdagno (23 luglio 1945), ASVI, Danni di Guerra, b. 124 fasc. 7904.
249 Zonta, Il rastrellamento di Piana e Selva di Trissino, p. 19.
250 Zonta, Il rastrellamento di Piana e Selva di, p. 51; Faggion – Ghirardini, Figure della Resistenza vicentina, p. 100.
251 Fascicolo della ditta danneggiata di Antoniazzi Angelo, Municipio di Valdagno, liquidazione danni di guerra (20 dicembre 1949), ASVI, Danni di Guerra, b. 124 fasc. 7897.
252 Carano, Oltre la soglia, p. 95.
253 Dal Lago – Trivelli, 1945. La fine della guerra nella Valle dell’Agno, p. 10.
254 Ivi, p. 21.
255 Dal Lago – Trivelli, Recoaro 1945, p. 65.
256 Dal Lago – Trivelli, Recoaro 1945, pp. 123-127.
257 Dal Lago – Trivelli, 1945. La fine della guerra nella Valle dell’Agno, pp. 42-44.
Matteo Ridolfi, La guerra civile nel vicentino nord-occidentale. Stragi ed eccidi dalla Val Chiampo alla Val d’Astico (1943-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023

Con la guerra maturò in molti lo sconforto e crollò l’illusione fascista, soprattutto dopo il ritorno dei reduci dai vari fronti; la guerra eroica raccontata dal fascismo e quella di cui i soldati sono stati protagonisti erano molto diverse e l’idea antifascista cominciò ovunque ad annidarsi. I partigiani, composti soprattutto da vecchi antifascisti, renitenti alla leva della RSI e soldati sbandati rimpatriati iniziarono ad organizzarsi nelle zone montane e pedemontane, sull’Altopiano in particolare. Qui si formarono durante l’inverno 1943/1944 varie bande partigiane, che man mano si diedero nomi e comandanti, inizialmente scegliendo gli ex ufficiali del Regio Esercito, poi scegliendo tra le loro stesse fila. Nacquero così svariate formazioni, le più numerosi delle quali sono Battaglioni Garibaldini che confluiscono poi nella Brigata Ateo Garemi; ci sono poi il Battaglione Guastatori di “Nino” Bressan, operante in pianura, il Battaglione Sette Comuni al comando di Pietro Costa, la Brigata Mazzini di Chilesotti e la Brigata Giovane Italia (che poi diventerà la Divisione Vicenza) comandata da “Ermes” Farina. Le unità sulle quali si concentrerà maggiormente questo studio sono la Brigata Loris, comandata da Italo Mantiero “Albio” e la Divisione Alpina Monte Ortigara comandata da Giulio Vescovi “Leo”, Alfredo Rodeghiero “Giulio”, Giacomo Chilesotti “Nettuno” e Giovanni Carli “Ottaviano”.
Con l’attività partigiana, iniziarono i bandi, le minacce e i rastrellamenti nazifascisti oltre alle incarcerazioni, torture e fucilazioni sommarie, ma la Resistenza vicentina rispose positivamente alla prova del fuoco nella primavera del 1944, con svariate azioni in contemporanea di sabotaggio, cattura e disarmo. Con lo stabilizzarsi del fronte italiano, i nazifascisti poterono concentrare un maggior numero di truppe nelle attività antipartigiane di cui il rastrellamento del Bosco Nero di Granezza costituisce uno dei più tragici esempi. Grazie agli sforzi del Comitato di Liberazione Nazionale furono approntati collegamenti con gli Alleati, i quali contribuirono con aviolanci e paracadutando diverse missioni alleate sul territorio vicentino (dirette in tutto il Veneto e dintorni), capeggiate dal Maggiore Wilkinson “Freccia” che stabili il suo Quartier Generale nella “Sette Comuni”. Finalmente, con l’avanzare degli Alleati nell’aprile del ’45 le truppe tedesche si ritirarono verso il Trentino, incalzate dalle formazioni partigiane che nel frattempo si erano rafforzate in uomini e mezzi (Vescovi 1994).
Andrea Rizzato, I boschi dell’Alto Vicentino come rifugio durante la seconda guerra mondiale, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022

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La arrebato en la provincia de Idlib de Siria mata al menos a cuatro personas | Noticiario de pleito de Siria – ButterWord

Health Ministry says four killed, 116 others wounded after explosion in Maarat Misrin in the northern Idlib countryside.

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