L’enunciato kitchen e quello distopico (suo corollario) agiscono in uno spazio che è diventato mera superficie, mero nastro di Möbius, un discorso poetico organizzato per formazioni dis/locate, ibride, dis/funzionali alla idea di tradizione, intesa come ordine linguistico costrittivo – Riflessione di Vincenzo Petronelli

Ben ritrovati cari amici dell’Ombra,

mi fa molto piacere tornare a scrivere su queste pagine che per me hanno il profumo di casa, proprio in coincidenza di quest’articolo, che trovo riassuma emblematicamente dei nuclei centrali della poetica Kitchen.

Come giustamente evidenzia Marie Laure Colasson, la poesia di Francesco Intini, Mimmo Pugliese, Giorgio Linguaglossa e Antonio Sagredo sono dei punti di riferimento imprescindibili per lo sviluppo del progetto Poetry kitchen, per la particolare “piegatura” destrutturante assunta dal loro registro linguistico, rappresentativa del vuoto o se vogliamo della vanificazione del sistema di significazione convenzionale che caratterizza l’epoca attuale.

La “liquidità” del mondo odierno, con la frantumazione dei codici espressivi dovuta al mondo digitale, con la globalizzazione, che ha contaminato le variabili linguistiche locali tradizionali, con la vorticosità dei mutamenti storico-politici ed i loro riflessi culturali, hanno inevitabilmente isterilito la prassi linguistica e comunicazionale cui il mondo si era abituato a partire dal secondo dopoguerra; c’è bisogno – è questo il concetto che sottende l’operazione mimetica della Poetry kitchen – di un modello espressivo che rifletta tale vuoto odierno nella lingua e che evidenzi per converso anche la soggettività e lo sbriciolamento delle immagini, delle metafore e direi anche topoi classici della poesia, ormai inadeguati a ritrarre il mondo e la società attuali. Peraltro, non si tratta solo di una questione di adeguatezza nella rappresentazione mimetica della scrittura poetica, ma anche della necessità di creare nuovi spazi palingenetici per la poesia ed il sapere tutto.

Come abbiamo avuto modo di accennare in un altro articolo, la storia e la filosofia della scienza, ci dimostrano come siano proprio i momenti di crisi dei paradigmi consolidati, corrispondenti alle fasi di transizione storiche, a determinare, negli intellettuali più sensibili ed avveduti, l’opportunità di rinnovare i modelli di conoscenza ed evitare la supremazia di quella che Giorgio chiama correttamente “la lingua dell’idioletto”; quel balbettio pseudo-poetico, che in questo contesto fluido rischia di imporsi, nella grigia comfort zone del conservatorismo culturale, rappresentato dalla poesia del quotidiano.

Come evidenzia opportunamente Marie Laure Colasson nel suo intervento, “è nelle discariche delle refurtive parolaie-mediatiche”, che la ricerca kitchen trova la propria essenza, al fine di ricostruire, rintracciare, ciò che la comunicazione artefatta, filtrata, selezionata dagli interessi dominanti, esecra a proprio piacimento ed edificare l’impalcatura di una nuova significazione poetica e linguistica, che rifletti (avalutativamente, come sempre per ciò che riguarda l’interpretazione artistica ed intellettuale) la contemporaneità.

Altrettanto correttamente, la Colasson sottolinea come la reciprocità fra “l’enunciato kitchen e quello distopico” (suo naturale corollario) “agiscono in uno spazio che è diventato mera superficie, mero nastro di Möbius”, dando vita ad un discorso poetico organizzato per “formazioni dis/locate e dis/articolate”: si tratta di un’opzione fondamentale per la sopravvivenza di un linguaggio poetico che mantenga ancora il suo senso e la sua dignità intellettuale, attraverso l’individuazione della sua (riprendo sempre le parole di Marie Laure) “connotazione di significato”.

La decostruzione di uno schema sintattico e semantico consolidato, determina ipso facto una morfologia distopica e dunque la Poetry kitchen è poesia distopica, l’unica via di fuga possibile dalle ridicole tendenze tardo pascoliane, che abbondano nella poesia (specie italiana) di oggi, riflettendo anche in poesia, la deriva populista nella quale purtroppo l’Europa è oggi immersa.

Versi come questi di Mimmo Pugliese:

Nella sala d’attesa si lucidano rivoltelle
il domatore arriva in motoslitta
è già morto 11 volte
ma il corridoio non ha mai cambiato spartito”
;

o questi altri di Francesco Paolo Intini:

Un passero rovista nel riciclabile. Manca un led alla rabbia finale.
Il potere si concentra in un motore poi passa di mano in mano
Ma non saprà dirci, con tutta evidenza,
Cos’è quest’allegrezza nel fil di rame
…”;

mettono indiscutibilmente la parola “fine” a qualsiasi tentativo di perpetuazione di modelli poetici che nel nome di una presunta “tradizione” pretendono di eternare un modello di poesia isterilita e dunque asservita.

Il progetto Poetry kitchen segna una frattura definitiva con questi cascami ormai non solo anacronistici, ma ingombranti, parassiti annidantesi nel nostro panorama culturale, e lo fa in maniera incisiva, non limitandosi solo alla dimensione sincronica, ma affondando anche in quella diacronica, come in questi versi di Giorgio Linguaglossa:

Diomede ed Euriloco sperano che le vacanze di Troia non finiscano più.

Odisseo mette il caricatore nel kalashnikov di Agamennone il quale, beato lui, si prende la tintarella sulla spiaggia.

Odisseo, Menelao, Agamennone si spalmano l’abbronzante sul corpo sotto l’ombrellone”.

Screenshot

È evidente la necessità di procedere a mettere anche la storia sotto la lente d’ingrandimento, rileggendone criticamente i canoni linguistici, pena l’impossibilità di ricostruire adeguatamente le azioni delle onde sotterranee che hanno sempre attraversato la poesia occidentale: perché qualsiasi operazione di ricerca sulla lingua è un intervento antropologico, ed in quanto tale fa inevitabilmente i conti con le concrezioni della storia.

Siamo di fronte ad un’opzione vitale per recuperare quello che Giorgio Linguaglossa evidenzia come il fattore mancante nella costruzione poietica dominante oggi, il Fattore Fantasia – ammorbata proprio dal dipanarsi dei condizionamenti storici – senza il quale qualsiasi impalcatura di costruzione poetica viene inevitabilmente a decadere.

L’idea di “tradizione” è una delle chiavi interpretative delle articolazioni di controllo delle manifestazioni del pensiero, con la sua fissità sul Reale, che avvilisce la poiesi; come dimostrano gli studi di antropologia storica, il concetto di tradizione, è servito come strumento di forgiatura e controllo politici delle prassi sociali e culturali in varie epoche storiche ed a varie latitudini, nel nome di una presunta “purezza delle origini”, funzionale alla perpetuazione dell’ordine costituito nelle varie articolazioni che regolano le società.

Si tratta in realtà di un processo di manipolazione che va ad incidere su quella che è una dinamica fisiologica, che tutte le società, di ogni epoca storica hanno sempre avvertito, vale a dire quella di assicurarsi la coesione sociale e il senso di appartenenza, processo che parte storicamente dalla riattualizzazione degli antichi miti nella quotidianità, conferendo alla comunità un senso di rassicurazione collettiva.

Nel passaggio dalla dimensione antropologico-sociale a quella antropologico-culturale, tale attitudine innata nell’uomo, si riassume nella celebre formula coniata in filosofia da Nietzsche del “mito dell’eterno ritorno”, ripresa poi da uno degli artefici della moderna ricerca storico-religiosa, Mircea Eliade, con la quale lo studioso romeno riassume la rielaborazione nella dimensione del quotidiano dei modelli archetipi mitologici, il riproporsi ciclico dell’ordine cosmico, del ciclo della vita, della morte e della rinascita, che si reitera nell’espletamento del rito.

Nel passaggio dal mondo contadino a quello industriale ed al “modo di produzione capitalistico”, la tradizione ha finito – in forma ancor più accentuata che in passato – per diventare uno strumento di conservazione e legittimazione di istituzioni, status, gerarchie sociali o rapporti di autorità, grazie al potere di persuasione dell’”idea forza” della sua perpetuazione nel tempo, inculcando credenze, sistemi di valori, codici convenzionali e di comportamento ripetitivi, nei quali si afferma implicitamente la continuità col passato.

Le critiche a questa degenerazione del concetto di tradizione, sono alla base di una delle opere più importanti di antropologia storica del ‘900, dal titolo, per l’appunto L’invenzione della tradizione, di Eric Hobsbawm (uno dei maggiori storici contemporanei) e Terence Ranger.

I due autori partono dall’osservazione che: “tradizioni che ci appaiano, o si pretendono, antiche, hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta”; “è caratteristico (di tali tradizioni: nda) il fatto che l’aspetto della continuità sia in larga misura fittizio” “che assumano la forma di riferimenti a situazioni antiche”.

I due studiosi, dimostrano in realtà come si tratti di elaborazioni di risposte calate dall’alto, di fronte a fasi di rapido cambiamento sociale; in queste situazioni, evidentemente le forme di potere costituite intravedono il rischio di scricchiolii, per sventare i quali è fondamentale cercare di coinvolgere le comunità, fornendo loro l’impressione di individuare a sua volta delle soluzioni a tale stato di incertezza, moltiplicatesi esponenzialmente con l’affermazione dell’ “età del capitalismo”, almeno dalla fine del ‘700 e la rottura dei precedenti equilibri.

Non è un caso dunque, che quest’idea “ossessiva” del concetto di tradizione, si radichi soprattutto durante l’800: basti pensare ai vari tentativi di legittimazione dinastica, in contrapposizione alla nascita dei nuovi stati nazionali ed a loro volta ai vari miti creati ad arte per rafforzare le aspirazioni nazionaliste, che avranno come corollario, nel corso del ‘900, lo sviluppo del nazionalismo con tutte le nefandezze da esso prodotte nel corso del secolo.

E non è un caso, altresì, che nell’individuare la definizione di ogni nuova tradizione, si ricorra sempre alla costruzione immaginifica di presunte abitudini umane originarie, attraverso la dimostrazione della loro perpetuazione, in maniera immutata, nel tempo: si attua così, verso queste supposte consuetudini, il meccanismo che Ugo Fabietti definisce di “rimozione dalla storia” e che alimenta quello che già Marc Bloch aveva ribattezzato “idolo delle origini”, che ritroviamo ormai a tutti i livelli, dalla più bieche strumentalizzazioni politiche, fino alla creazione di sagre paesane, sfruttando “l’eterno selvaggio” che si annida nella società occidentale.

L’antropologia combatte queste concrezioni negative e le loro ricadute, mostrando come non esistano culture chiuse alla contaminazione nello spazio ed al contatto con la storia ed evidenziando come qualsiasi cultura sia soggetta a processi evolutivi, in ogni sua singola articolazione, radicati nelle dinamiche storiche.

La prassi di edificare tradizioni ad hocsi estrinseca per forza di cose, anche attraverso il controllo delle singole manifestazioni del pensiero e della creatività, in modo da annientare le aspirazioni al cambiamento, che soprattutto nei momenti di crisi tendono ad affiorare, come reale via d’uscita dal panorama di difficoltà.

In questo quadro, inevitabilmente, la poesia, da sempre considerata la massima espressione della creazione umana e dotata storicamente di una particolare forza d’impatto sull’animo umano che probabilmente condivide solo con la musica – sua musa gemella – ha goduto sempre di “attenzioni particolari”, soprattutto in quelle realtà che possono basarsi su maggiori eredità legate a modelli classici (e ciò non riguarda evidentemente solo la nostra classicità) a perorazione della pretesa nobiltà di modelli archetipi esemplari cui attenersi; ed è così che in ambito italiano proliferino tuttora scritti elegiaci di sapore pascoliano o gozzaniano, assolutamente insignificanti al giorno d’oggi, ma che assolvono questa funzione consolatoria.

Cosa fare? Forse la soluzione è davvero quella che Giorgio Linguaglossa prospetta nel suo componimento qui presente: “mettere mine ad ogni endecasillabo” o scioglierli facendone dentifrici.

Un caro saluto a tutti.

(Vincenzo Petronelli, poeta componente della redazione de lombradelleparole.wordpress.com e della rivista cartacea Il Mangiaparole)

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Vincenzo Petronelli è nato a Barletta l’8 novembre del 1970, laureato in lettere moderne con specializzazione storico-antropologica, risiede ad Erba in provincia di Como. Dopo un primo percorso post-laurea come ricercatore universitario nell’ambito storico-antropologico-geografico e redattore editoriale negli stessi comparti, oltreché in quello musicale, attualmente gestisce un’attività di consulenza aziendale nel campo della comunicazione, del marketing internazionale e dell’export. Agisce in vari settori culturali. Come autore sono impegnato scrive testi di poesia, di narrativa e di storytelling sportivo, musicale e cinematografico, nonché come autore di testi per programmi televisivi e spettacoli teatrali. Nel contempo, prosegue nell’impegno come ricercatore in qualità di cultore della materia sul versante storico-antropologico, occupandosi in particolare di tematiche inerenti i sistemi di rappresentazione collettiva, l’immaginario collettivo, la cultura popolare, la cultura di massa, la storia delle religioni. È attivo nell’ambito della ricerca storica e antropologica e come storyteller, nell’organizzazione di eventi e festival culturali in diversi settori (musica, letteratura, teatro, divulgazione) e come promoter musicale. È redattore per il blog letterario internazionale lombradelleparole.wordpress.com e collabora con le riviste Il Mangiaparolee Mescalinaoccupandosi di musica, poesia e del rapporto tra poesia e scienze sociali. Dal 2018 è presidente dell’associazione letteraria Ammin Acarya di Como. Ha iniziato a comporre poesie dalla seconda metà degli anni novanta. Alcuni suoi testi sono presenti nelle antologie IPOET edita nel 2017 e Il Segreto delle Fragole edita nel 2018, entrambe a cura dell’editore Lietocolle, nonché in Mai la Parola rimane sola edita nel 2017 dalla associazione “Ammin  Acarya” di Como, nel blog letterario internazionale “L’Ombra delle Parole”. È uno degli autori presenti nelle Antologie Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023, nonché nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite 2023 e  nel volume di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Progetto Cultura, Roma, 2022. Sue poesie sono presenti nel volume La poesia nell’epoca della Intelligenza Artificiale a cura di Giorgio Linguaglossa, Progetto Cultura, 2025.

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Poesie kitchen e distopiche di Francesco Paolo Intini, Mimmo Pugliese, Antonio Sagredo e Giorgio Linguaglossa. Ermeneutica di Marie Laure Colasson, L’enunciato kitchen e quello distopico agiscono in uno spazio che è diventato mera superficie, mero nastro di Möbius; in questo spazio o, più propriamente, in questo «campo dinamico», si inscrive il nuovo discorso poetico «superficiario»

Francesco Paolo Intini

Un Cappotto Taglia 110 per Beethoven

Flex e il violinista si piantano sul balcone.

All’aereo che passa mandano un saluto ultravioletto
È giorno di cieli rotti e rifacimenti in nero.
Mattonelle scendono sugli abeti, riempiono i cortili

Un passero rovista nel riciclabile. Manca un led alla rabbia finale.
Il potere si concentra in un motore poi passa di mano in mano
Ma non saprà dirci, con tutta evidenza,

Cos’è quest’allegrezza nel fil di rame.
Si tratta di prolegomeni. Quello che accadrà ai nervi.

Se interroghi una scocca il parafango brandisce dubbi.
Dentro l’uovo cresce un velociraptor: TRRRRRR…
Spaccherà il guscio dell’Europa

Cosa vuoi che sia un trapano?
Toc..Toc… fa l’inizio di un bussare alla serranda:

che ci fanno i Cristi nella banda?
C’è sempre il lancio dal quinto piano

Previsto per il 15 dicembre.
Si aprono i lapsus e nel fuggi-fuggi dei violini
Beethoven azzanna un violoncello:

per i figli-dice- quelli che verranno.
Sulla bacchetta spunta una rapa
tra le orecchiette, le acciughe al sale
e patacche d’oro da inghiottire all’alba.


Mimmo Pugliese

LA TRAIETTORIA DELL’OMBELICO

La traiettoria dell’ombelico si denuda
prima di sera incrocia l’alluminio coibentato
che si porta dietro bucce di mela come sposa
in cerca di un filo di rimmel per non perdersi
L’arroganza del gallo è un disco a 78 giri
una zattera con problemi di alopecia tossisce
sorvola una scala a chiocciola e
si sdraia sotto il ponte di Brooklyn
L’arrivo della fase lunare disorienta il detersivo
strappa la giacca ai gerani
svegliatisi gli hamburger dopo l’alluvione
allineati agli orari dei dirigibili
Nella sala d’attesa si lucidano rivoltelle
il domatore arriva in motoslitta
è già morto 11 volte
ma il corridoio non ha mai cambiato spartito
Al battesimo di Sofocle non c’è nessuno
il cortile condominiale ha le gambe asimmetriche
tiene per mano la madre
e gli basta che abbia più anni di lei*

* da Papaveri neri freschi a colazione, in corso di stampa

Antonio Sagredo

Ancora ci sposiamo con Isotta

Ancora ci sposiamo con Isotta e le sue note.
Dei preludi in deliquio e da specchi notturni
vediamo i suoni di pentagrammi viola,
e dai calici fra sponsali e attori

tracima un mancamento dal nero legno,
e mi rimprovera Pamina che la commedia
è ferma per un mio errore di spartito e di vocali
impastati a una partitura in disaccordo .

Che l’armonia io non so che sogni-accordi esegue
e non so quali strumenti in rivolta tacciono
se i suoni come trucioli certo non si spargono sul palco,
ma dal capestro dondola pigro il canto di una folle sinfonia.

Non accusatemi se la commedia da sola s’è ripresa
da quando accesi con gli occhi di Pamina i fatui fuochi
e le paludi e gli stagni mi hanno eletto un Senza Corona.
Non ho da offrire nemmeno un cuore in contumacia.

(Roma, 9 giugno 2025, da Nuove poesie)

Giorgio Linguaglossa

Oggi qui, domani là

Menelao si presenta all’esame di maturità a Mar-a-Lago.
Proclama:
«Whatever it takes».
«Troia è il nostro cortile di casa».

Diomede ed Euriloco sperano che le vacanze di Troia non finiscano più.
Odisseo mette il caricatore nel kalashnikov di Agamennone il quale, beato lui, si prende la tintarella sulla spiaggia.
Odisseo, Menelao, Agamennone si spalmano l’abbronzante sul corpo sotto l’ombrellone.

Gli achei cucinano vermicelli all’istrice sulla spiaggia.
Nel frattempo Elena ha ripudiato Paride,
dice che vuole tornare da Menelao.

Il Signor K. si mette una gardenia all’occhiello,
si presenta dal critico Linguaglossa con un frac inappuntabile.
Dice: «sulla pista ciclabile c’è posto anche per i Tank».

Col gioco delle tre carte Paride ci beve sopra un bicchierino di vodka, recita il rosario, maneggia granate e timbri con lo scolapasta.
Scambia uncini per gondole, lucciole per lanterne.

*

“Nel 1949 Richard Feynman mi parlò della sua versione della meccanica quantistica chiamata ‘sum over histories’. Mi diceva:

«l’elettrone fa tutto ciò che vuole. Va in qualsiasi direzione con qualsiasi velocità, avanti e indietro nel tempo, fa come gli pare, e poi si sommano le ampiezze e si ottiene la funzione d’onda». Gli dissi: «Sei un pazzo». Ma non lo era”.

Freeman Dyson mentre racconta dell’idea di Feynman dei path integral (integrale sui cammini). La citazione si trova un po’ ovunque, ma io l’ho presa dal libro “Quantum Field Theory for the Gifted Amateur” di Lancaster e Blundell.

La mia variante è questa:

«la parola fa tutto ciò che vuole. Va in qualsiasi direzione con qualsiasi velocità, avanti e indietro nel tempo, fa come gli pare, e poi si sommano le ampiezze e si ottiene la funzione poetica»

(Giorgio Linguaglossa)

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Ermeneutica di Marie Laure Colasson

La poetry kitchen di Francesco Paolo Intini, Mimmo Pugliese e la poesia distopica di Antonio Sagredo e Giorgio Linguaglossa sono una hilarocomoedia burlesque. Intini la sua meravigliosa lingua di plastilina la impiega e la piega in quanto lingua miserabile che emana un odore di fritto misto di pesce. È la lingua del commercio degli affari propri; questa lingua, o meglio, questo linguaggio, quello che desertifica il logos, quello della poesia del neoermetismo del quotidiano è qualcosa contro cui occorre gridare vendetta.  Intini usa questo linguaggio spiegazzato, miserrimo, ipoveritativo e lo fa deflagrare in autentici colpi di scena apoplettici di riso amaro. Intini, Mimmo Pugliese sono, a mio avviso, un classico della poesia kitchen perché loro sono arrivati a tanto accettando il linguaggio miserabile e spiegazzato che troviamo nelle discariche delle refurtive parolaie-mediatiche.

L’enunciato kitchen e quello distopico agiscono in uno spazio che è diventato mera superficie, mero nastro di Möbius; in questo spazio o, più propriamente, in questo «campo dinamico», si inscrive il nuovo discorso poetico «superficiario» nella quale la scrittura poetica si presenta in formazioni dis/locate e dis/articolate.

Ma questa dislocazione è ben più che un artificio retorico, si tratta invece d’una petizione di sopravvivenza in virtù della quale il discorso poetico agisce come all’interno di una «griglia campodinamica». Attraverso queste griglie e queste dis/locazioni gli enunciati assumono la connotazione di significato. Ed ecco emergere il senso e il significato. Foucault asserisce che è possibile che a volte queste griglie vengano momentaneamente infrante, allora soltanto si dà l’opportunità fugace di fare «esperienza» di qualcosa di «proprio» per il tramite di questa frattura. È in tal modo ammissibile esperire l’esistenza in sé di qualcosa come un ordine di senso o di non senso, ma si tratta di un pensiero antropizzante. Infrangere questo ordine di senso o di non senso è il compito precipuo della poesia distopica e del kitchen.

Ordine del discorso e ordine del pensiero sono disconnessi, lo spazio in cui pensiamo e parliamo può essere infranto in qualsiasi momento. E il significato va a farsi benedire. È la situazione limite delle eterotopie, ovvero, quella sorta di «contro-spazi» di cui le culture sono munite e «in cui gli spazi reali, tutti gli altri spazi reali che possiamo trovare all’interno della cultura, sono, al contempo, rappresentati, contestati e rovesciati».1

La poesia distopica è una eterotopia, una reazione allergica all’ordine del senso e del significato. Occorre fare in fretta: il panorama poetico italiano invaso dai poeti elegiaci con i loro compitini educati e lucidati deve essere al più presto rigettato. I tavoli delle conferenze culturali sono fatti dello stesso legno di quello delle bare della cultura ammuffita che ha orchestrato quelle confidenze. È vero invece che la poesia nuova scaccia la vecchia per una legge ontologica e biologica. Prima o poi la nuova poesia prevarrà, è solo una questione di tempo. È una questione eventuale, una modalità dettata dalla necessità storica. Prima o poi l’evento accadrà. Whatever it takes.

 1 Id., Eterotopie, in Archivio Foucault III , a cura di A. Pandolfi, trad. it. di S. Loriga, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 310.

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Notizie biobibliografiche

 Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per la poesia con Progetto Cultura, Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE è in preparazione. È uno degli autori presenti nelle Antologie Poetry kitchen 2022, Poetry kitchen 2023 e nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022), nonché nel volume di saggi di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. È presente nella antologia kitchen Exodus e nel dialogo distopico a due voci con Giorgio Linguaglossa, Excalibur (2024). È membro della redazione della rivista on line lombradelleparole.wordpress.com

Giorgio Linguaglossa è nato nel 1949 e vive e Roma. Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re, Roma), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce, Roma). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il “Manifesto della Nuova Poesia Metafisica”, pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle). Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italiano/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce  l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). È il curatore delle Antologie Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023 nonché dei volumi Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022), del saggio L’Elefante sta bene in salotto, Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2024 pubblica Due dialoghi Excalibur (dialogo distopico tra Giorgio Linguaglossa e Francesco Paolo Intini), Expiravit (dialogo distopico tra Giuseppe Talia e Giorgio Linguaglossa), ed Exodus  (undici voci di Avatar disseminati nel cosmo) con Progetto Cultura (2024). Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista on line lombradelleparole.wordpress.com  con la quale insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, la poesia buffet o distopica perseguita dalla rivista rappresenta l’esito letterario del Collasso del Simbolico, uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo di oggi.

Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nelle Antologie Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023,nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022), nonché nel volume di saggi di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. È presente nella antologia kitchen, Exodus (2024). È presente nella antologia kitchen Exodus (2024). Nel 2025 pubblica Papaveri neri freschi a colazione.

Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola), ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: “Malvis” (n.1) e “Turia” (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in “Gradiva”, ed. Yale Italia Poetry, USA, 2002, e in Il Teatro delle idee, Roma, Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022,2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in “La Zagaglia”: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in “Rivista di Psicologia Analitica”, 1984, (pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj Le memorie di un folle; in “Il caffè illustrato”, n.11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il “Teatro degli Skomorochi”, 1971-74. (A. Di Paola). Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in “L’ozio”, ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e Kateřina Zoufalová; i poemi: Edison (in L’ozio, 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in “L’ozio”, 1988) di Vitĕzslav Nezval, (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová). Traduzioni di poesie scelte di Kateřina Rudčenková, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di Jirí Kolár, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista “Poesia” (settembre 2013, n. 285), ha pubblicato per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori di Otokar Březina, La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Otokar Březina ad Antonio Sagredo), traduzione di A. Di Paola e K. Zoufalová. È presente nella antologia kitchen Exodus  (undici voci di Avatar disseminati nel cosmo) con Progetto Cultura (2024).

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, ha insegnato danza classica e coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologie Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023, nonché nella  Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022),  nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, (2022), nonché nella antologia di undici autori kitchen Exodus del 2024,  Progetto Cultura, Roma. È componente della redazione della rivista on line l’ombradelleparole.wordpress.com e della rivista trimestrale di poesia e contemporaneistica “Il Mangiaparole”. Sulla sua pittura hanno scritto, tra gli altri, Mario Lunetta, Edith Dzieduszycka, Lucio Mayoor Tosi, Gino Rago e Giorgio Linguagloss

#AntonioSagredo #burlesque #FrancescoPaoloIntini #giorgioLinguaglossa #MarieLaureColasson #MimmoPugliese #poesiaDistopica #poetryKitchen

La poesia non è una logoterapia. I versi di Mimmo Pugliese “sul retro di una fotografia si accampa una bomba a mano” “l’isola di Pasqua chiede asilo al giro d’Italia” non sono logoterapici, non mirano ad agevolare la lettura, non mirano alla riconoscibilità, non intendono convincere il lettore, non intendono presentare il reale perché il reale è scomparso, affondato assieme al pensiero razionale.

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Inedito di Mimmo Pugliese

GRIDA MACISTE

“E’ solo il mio pensiero” gridò Maciste rinchiudendosi in un segreto
le parole del ragno alloggiano altrove
spesso i figli dei figli intralciano l’umore delle fake-news
la pioggia gocciola sulle zampe del cavallo di Caligola
bibite fluorescenti portano a passeggio cromosomi
manichini insabbiano le prove della morte dei punti cardinali
sul retro di una fotografia si accampa una bomba a mano
agitavi il ginocchio per schivare le frecce degli indiani
il catrame aggiunge un’altra ruga alla carta dei vini
il bersaglio è stato ritrovato nudo sulla spiaggia
l’isola di Pasqua chiede asilo al giro d’Italia
pigne perfettamente rasate salgono sul carro del vincitore voltato di spalle
una Torpedo trasloca in un tiramisù di contrabbando
hai completato la collezione di punti esclamativi
alberi sempreverdi tirano su il bavero della giacca
lampare controllano la pressione ai vasi cinesi
dopotutto era sufficiente girare la manopola per ritirare la lingua
stasera la strada incrocia fuochi d’artificio
è difficile per il labrador specchiarsi nel girovita
sul ponte della nave si svolge una gara di tango
un porcellino d’india si guarda attorno chiude la porta e va via

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La poesia non è una logoterapia

I versi di Mimmo Pugliese

sul retro di una fotografia si accampa una bomba a mano

l’isola di Pasqua chiede asilo al giro d’Italia

non sono logoterapici, non mirano ad agevolare la lettura, non mirano alla riconoscibilità, non intendono convincere il lettore, non intendono promuovere il lettore alla condizione di lettore privilegiato, non intendono presentare il reale perché il reale è scomparso, affondato assieme al pensiero razionale. L’autore resta fuori della porta, fuori della significazione. Tra l’autore e il testo si situa il vuoto, il vuoto di significazione. La poesia di Pugliese è esattamente una metapoesia perché si situa fuori (prima) della poesia. Non è poesia ragionamento il cui il primo e più illustre esponente in Europa è stato Giacomo Leopardi, è un testo palesemente irragionevole, che mira a indicare come la ragione non coincide più con il reale. Il testo fa del disvalore semantico (una bomba a mano) un valore aggiunto per il verso, che deflagra nel primo emistichio: «sul retro di una fotografia si accampa», che rimanda al secondo emistichio come disvalore in combutta con il valore. L’inedito di Mimmo Pugliese non è un testo logoterapico, ormai parla Maciste il suo linguaggio da obitorio pornografico è il linguaggio dei nostri giorni, il linguaggio di Trump e di Putin tradotto in linguaggio poetico. Così il testo viene desemantizzato e riconfigurato in una nuova semantica da obitorio. Il reale è il nuovo obitorio delle parole morte, il reale non è più da un dato razionale. Il reale ci è sfuggito tra le mani, non è più possibile condividerlo, in maniera ingenua, in un testo letterario. Il testo (narrativo e/o poetico) di oggi non ha più niente da condividere con il concetto di mimesis. I testi della neoavanguardia obbedivano ancora al concetto di mimesis, né più né meno della poesia del minimalismo, del massimalismo e del neoorfismo che sono stati di moda negli ultimi cinquanta anni, un testo della nuova ontologia estetica non obbedisce più al concetto aristotelico di mimesis che ha guidato il paradigma letterario per duemilacinquecento anni.

Dicevo che la poesia non è una logoterapia, agisce sì attraverso le parole, ma certo non per convincere e/o promuovere il lettore alla condizione privilegiata di eletto, tantomeno il pubblico degli uditori, non agisce sul piano politico immediato. La parola che usa Pasternak è ontologicamente diversa da quella che usa Stalin. Il politico impiega parole logoterapiche perché vuole convincere il suo uditorio della bontà del suo logos, il poeta no. Quando Leopardi scrive “l’Infinito”, non vuole convincere nessuno, tantomeno il lettore, della bontà delle sue spiegazioni, l’intento del recanatese è altro, si pone in un’altra dimensione ontologica. Leopèardi è un figlio adottivo dell’Illuminismo ma è al tempo stesso il maggior critico dell’Illuminismo e delle ragioni che reggono il progresso irresistibile delle umane genti. Dunque, può sembrare pleonastico dire, dopo Freud e Lacan, noi siamo Logos, noi siamo Ragione, perché siamo al contempo anche il prodotto della Irragione, dell’inconscio, dei significanti in libera uscita, del significante primordiale. Siamo tutti figli adottivi del tabù e del totem. È l’uso che facciamo delle parole che è diverso a secondo dei piani ontologici. Inoltre, il logos poetico non agisce tramite i concetti, tramite testi a tesi religiose e/o ideologiche (anche nobili come la tesi della bontà della pace perpetua come quella di Kant), bensì attraverso i significanti, ovvero la parte opaca e sfuggente che sta nella dimensione sottostante a quella dei concetti e delle tesi politiche. Il significante è un ente ambiguo. È un attore ambiguo e sibillino. Ha qualcosa del logos e qualcosa della cosità. Qualcosa della luce e qualcosa della opacità. Il significante è una linea di fuga, un vettore, una tangente sulla sfera dell’essere destinata a restare immutabilmente se stessa, cioè una tangente, un vettore energetico. Da qui lo slogan princeps di Lacan : “L’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Ma si tratta di un linguaggio altro rispetto al linguaggio della coscienza. Si tratta di due piani ontologici diversi e distinti.

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Il video sulla spiaggia della Nuova Gaza è un significante che agisce nel sottosuolo

Il video sulla spiaggia della Nuova Gaza ricostruita come Dubai con grattacieli, alberghi di lusso, vetrine, donne bellissime, palme, luxury, luci abbaglianti e bon ton che Trump ha pubblicato qualche settimana fa, è una delle immagini più abominevoli e deliranti che abbia visto. Ma è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più ampio e complesso, è un significante che agisce nel sottosuolo, che si scava un tunnel nel sottosuolo delle immagini archiviate nell’inconscio, è una bomba H che uccide tutti i viventi e lascia indenni gli edifici, le merci: altro che recessione alla “nuda vita”, la nota categoria di Agamben è ormai inappropriata alla nuova realtà della condizione umana nell’epoca della spartizione patteggiata del globo terracqueo. Quella categoria andava bene per San Francesco e i francescani ma non per gli umani di oggi, i quali agognano alla recessione, senza se e senza ma, sono guidati e sopraffatti da un istinto (Trieb) che li sospinge verso la recessione allo stadio animale. In questo, chiamiamolo progetto, Trump Putin, Kim Jong-un, Miley, Kameney, Xi, Erdogan, e da noi Salvini e la Meloni sono personalità che perseguono il percorso all’indietro tracciato dalla recessione verso l’animalità e la depoliticizzazione. La recessione non ha mai fine, per la legge della sua autoconservazione, la recessione si arresta solo dinanzi alla pura animalità. Ed eccoci arrivati allla recessione dell’homo sapiens a scimmione in/sapiens.

(Giorgio Linguaglossa)

Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nelle Antologie Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023,nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022), nonché nel volume di saggi di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. È presente nella antologia kitchen, Exodus (2024).

#Dubai #Erdogan #Gaza #giacomoLeopardi #GiorgioAgamben #giorgioLinguaglossa #Kameney #KimJongUn #Meloni #Miley #MimmoPugliese #nudaVita #Pasternak #recessione #salvini #Significante #Stalin #TrumpPutin #Xi

La poesia della nuova ontologia estetica è indicativa per il suo essere costruita con giunture di discorsi e giustapposizioni, perifrasi, sintagmi estraniati e ultronei, sovrapposizioni, effetti traumatici; la punteggiatura stigmatizza gli stop ma senza i «go», sono stop e basta; la poesia è costipata di interruzioni, come per arrestare e depistare la fluenza musical-pentagrammatica di un tempo, Non c’è più alcun canone da mettere in discussione, L’oblio della verità e l’oblio della memoria. Poesie di Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa, Mimmo Pugliese, di Marie Laure Colasson, présence, 30×30, acrilico, 2024

Francesco Paolo Intini

PIZZINI VII

Con l’andar dell’onda gli uomini forti resuscitarono.
Vennero fuori le monetine da cinque o poco più
Croce sotto testa sopra

Il 2025 le salutò cortesemente
Nessun sospetto, nessun pericolo
Per chi approda sulla Luna
Una mano salutò dalla pelata
Armstrong, ovvio!
E quelli non fischiarono
Né fecero ressa
Ma dissero all’istante di voltarsi indietro
E quello obbedì.

La rabbia mutò in allegria
Approvarono le fabbriche
Per la Triplice ci fu intesa

Tempo che fai?

Rimasto immerso nel pasticciaccio di via Botteghe oscure
Berlinguer -chi era costui?-continuava a dire:
Questio morale…Questio morale…

Ah! No, il Tempo non è a disposizione
di tomisti e comunisti.

PIZZINI VIII

Due colombi si abbracciano sul mandorlo.
Kalashnikov e carrarmati tirano un sospiro di sollievo.

-Pronto?

Le gemme fremono nei cannoni.
Sullo stesso ramo- ancora da sintonizzare-
l’amore del dopoguerra ci prova col dopobarba.

Tutto è pronto per un trasferimento di informazioni.
Ma tocca alla zebra la relazione sul terrore.

C’è un rincorrere di tycoon a pellerossa
ma fa niente se stanno nell’ algoritmo della savana.

-A me l’Africa
-A te l’Australia

Lo sguardo è minaccioso
il sorriso un po’ corrotto-colpa del tuning
Se leoni e poeti s’azzuffano per la crusca.

Il prezzo è salito alle stelle
il colon si è bloccato.
Quanto vale il Mexico? Più dell’appendice
Ma su Saturno minano gli anelli

-A me l’Antartide
-A te l’Artico.

Prendere il fegato al banchetto dell’Eurasia
Bypassare il retto con l’astuzia di Valentino

E dunque
si ruoti la manopola della Luna
diamo inizio all’accoppiamento.

-A me Giove
-A te Plutone

Giorgio Linguaglossa

The poet Jerzy Hordynski si è chiesto se l’opzione giusta fosse piantare fiori di tantalio su Titano, minare le margherite di Encelado con del plastico o cantare la grandezza del’Urbe
Fatto sta che il Politburo ha deliberato per entrambe le opzioni contemporaneamente, dichiarando: «This is what Victory feels like»
Il Guardasigilli ha ingoiato le metafore e le catacresi

A me Antares!
A te l’Astrakan!

Chi avrebbe mai immaginato dover deglutire un rospo con il disprosio?
«Hic Rhodus hic salta», gridò Azazello

Le campanule ebbero un sussulto sulla cima dei pantaloni
Sui rami dei mandorli cinguettavano ancora le cinciallegre

A me l’America!
A te l’Alaska!

Alla fine, il poeta lituano Andrius Kubilius ha dichiarato la bancarotta della poesia elegiaca perché il prezzo delle pantofole era salito alle stelle. «Quomodo», commentò in latino

Azazello osservò il bicchiere mezzo vuoto e disse: «Il bicchiere è mezzo pieno, le cinciallegre dovrebbero imparare a nuotare, piuttosto»

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Mimmo Pugliese
ALLA FINE DEL CERCHIO

Alla fine del cerchio sono in saldo le lucertole,
Cleopatra ha un bouquet nell’occhio

è indecisa se svenire o telefonare al pianeta Enotryx
che gioca alla play-station con un apriscatole

Il petto del millepiedi è una bandiera,
scarabocchi fanno sparire cannoni

adirare chitarre in retromarcia e spilli
impiccati al traffico africano

Restituire gelati o ferri di cavallo?
la Sfinge ha una colazione di lavoro con il segretario generale,

è scaduto il contratto con i coccodrilli
dalle nervature dei bollitori sgomitano pennarelli

C’è spazio tra l’eclissi e le biciclette
mulini a vento affogano nel burro di arachidi,

per decreto i bastoni possono ballare il twist
chele rinnovare il passaporto

Giorni quadrati si rimestano,
aiutano rizomi a sparigliare lavatrici

bicchieri a recuperare la memoria,
Itaca è una canoa gialla

Per una «nuova idea di poesia»

Riflettevo sopra queste ultime poesie kitchen di Francesco Paolo Intini, mie, di Alfonso Cataldi, Marie Laure Colasson e di Tiziana Antonilli etc., le definirei un festival dell’ibrido linguistico che dichiara apertamente che non si può più fare una poesia che parla della poesia (che finisce sempre nell’onanismo della parole e nel soggettivismo), in realtà la poesia che qui stiamo facendo (e che resta nel gozzo dei poetini di mestiere), non è affatto una meta-poesia (che ricade sempre nel luogo comune della poesia che riflette sulla poesia), ma una poesia che celebra il decesso già avvenuto della poesia (elegiaca e no). In questa accezione, la poesia e la meta-poesia che si fanno oggi sono poesie da obitorio perché nascono in obitorio, una scrittura da vivisezione degli organi vitali di un cadavere, una sorta di operazione medico legale fatta su un cadavere. I poeti radiofonici fanno come Azazello nella poesia sopra postata: dichiarano che il bicchiere è mezzo pieno, quando invece è mezzo vuoto. I poeti radiofonici «dovrebbero imparare a nuotare, piuttosto». La poesia kitchen è una poesia che presuppone il decesso della poesia da accademia.

Perdita dell’Origine (Ursprung) e spaesatezza (Heimatlosigkeit) si danno la mano amichevolmente. Se manca l’Origine, c’è la spaesatezza. E siamo tutti deiettati nel mondo senza più una patria (Heimat). Ed ecco l’Estraneo che si avvicina. Ed ecco i Fantasmi che fanno ingresso. E, all’approssimarsi dell’Estraneo, (Unheimlich) le nottole del tramonto singhiozzano. Il poeta è diventato il Luogotenente del Nulla (Platzhalter des Nichts). È ormai privo di linguaggio. È rimasto «senza parole». Gli è rimasta la «Voce» ma non ha più alcun linguaggio.

La poesia della nuova ontologia estetica è indicativa per il suo essere costruita con giunture di discorsi e giustapposizioni, perifrasi, sintagmi estraniati e ultronei, sovrapposizioni, effetti traumatici; la punteggiatura stigmatizza gli stop ma senza i «go», sono stop e basta; la poesia è costipata di interruzioni, come per arrestare e depistare la fluenza musical-pentagrammatica di un tempo, Non c’è più alcun canone da mettere in discussione, L’oblio della verità e l’oblio della memoria.

Ascoltavo ieri su youtube una spiegazione della fisica delle particelle elementari; lo scienziato proponeva un semplice esempio : se immaginiamo di poter ingrandire il nucleo di un atomo alla dimensione di una arancia, troveremmo l’elettrone più vicino che gli ruota intorno a 12 Km di distanza. In mezzo c’è il vuoto (o il nulla, fate voi). Dunque, siamo fatti di vuoto. La materia è un condensato di vuoto. E in questo vuoto noi ci stiamo a cavalcioni.

Così eliminiamo con un colpo di spazzola tutte le metafisiche, le misticherie e le speculazioni religiose e politiche: noi abitiamo il vuoto in quanto siamo fatti della stessa stoffa del vuoto. E allora: Sia benedetto il grembo del vuoto e sia benedetta la sua generosità onde per cui noi esistiamo. Ergo, tutte le ideologie, le credenze, le religioni, convinzioni etc. sono il prodotto del grembo del vuoto. L’uomo è secondo le parole di Heidegger, il «luogotenente (Platzhalter) del nulla».

Christoph Türcke ha di recente introdotto un paradigma interpretativo, che ben si lega alle considerazioni fin qui svolte, il sociologo oppone al paradigma formulato da GuyDebord nel 1967, vale a dire quello della «società dello spettacolo», il nuovo paradigma di una «società eccitata», paradigma poi radicalizzato da Baudrillard nella nozione di «società della simulazione e dei simulacri». La società eccitata va a rimorchio del «sensazionale», vive di «traumi», di shock e di «oblio» che si alternano ripristinando sempre di nuovo il meccanismo della rimozione e dell’oblio. Il mondo del tardo capitalismo macchinizzato ha ormai fagocitato la società dello spettacolo e della simulazione, oggi siamo dinanzi ad una società perennemente «eccitata» dai fantasmi e dai traumi della comunicazione. Ciò che conta, ciò che vale di più, ciò che valutiamo positivamente negli altri e ciò che noi stessi cerchiamo di realizzare, è il produrre sensazioni, shock percettivi, comunicazionali, input. Si tratta di un mondo di sensazioni, di istanti, di affetti momentanei consentanei al nostro modo di vita che richiede continue sollecitazioni, continui zoom e continui scarti, un universo di notizie che si accavalla e implode su se stesso. Il sensazionale non produce esperienze, quanto simulacri di esperienze ed oblio.

Heidegger nel 1924 ha scritto: «Quando ci sentiamo spaesati, iniziamo a parlare».

Marie Laure Colasson
18 gennaio 2025 alle 19:14 
tanto più viviamo in un mondo spettacolarizzato, spaesato, eccitato, quanto più tornano in vigore i romanzetti rosa, le autobiografie romanzate, le poesie dei buoni sentimenti… c’è tutto un vocabolario dei buoni sentimenti… del piccolo mondo antico, del piccolo mondo amico con tutta la falsa coscienza che contraddistingue questa ideologia, perché di ideologia si tratta e della peggior specie, della ideologia del vittimismo, che è l’altra faccia dell’arroganza e del sopruso, dove a vicnere sono sempre i forti, i ricchi

(giorgio linguaglossa)

Francesco Paolo Intini (1954), Marie Laure Colasson (1955), Mimmo Pugliese (1965) e Giorgio Linguaglossa  (1949) sono  poeti della nuova ontologia estetica, e precisamente, nella variante attuale, della poetry kitchen.

#FrancescoPaoloIntini #giorgioLinguaglossa #MimmoPugliese #nuovaOntologia #nuovaOntologiaEstetica #poetryKitchen #senzaParole

In realtà una composizione kitchen ha due porte: una di entrata e una di uscita

Il magistero della poesia di Francesco Paolo Intini rappresenta  una rivoluzione e una esplosione del linguaggio, indica che il soggetto è da sempre stravolto dalla machinerie del linguaggio, e dalla machinerie del montaggio ed è costretto a vagare di qui e di là, senza un fine, senza una finalità, ma dalla fatalità stessa del linguaggio, congegno peraltro magico per eccellenza. In realtà, una composizione kitchen ha due porte: una di entrata e una di uscita, non ha mai veramente fine, la fine è posta d’autorità dall’Autorità scrivente, ma ricomincia subito dopo in un’altra composizione. L’Autorità scrivente non ha altra autorità che quella di interrompere lo scorrere frastico delle parole.
Il linguaggio si serve del parlante per mantenere in funzione la macchina del linguaggio.
È la machinerie del linguaggio ciò che trascina il poeta kitchen nelle sue divagazioni condotte sul filo del piano metonimico mediante continui scarti dalla linea prestabilita dalla sintassi e mediante uno o più scarti dalla linea prestabilita del metro, che peraltro risulta assente nella poetry kitchen. Così, si ha una metricità anziché un metro, e una distassia anziché una sintassi, una dismetria anziché un metro che diventa a sua volta il metodo principe di composizione della poetry kitchen.

Una volta Lacan si è chiesto: Che cos’è che muove la machinerie del linguaggio?, e si è dato una risposta: è la Cosa, Das Ding, ovvero, il desiderio della Cosa, di Das Ding. Ma allora, qual è la differenza tra la Cosa (Das Ding) e le cose?. Si tratta di una sostituzione. Sul piano linguistico abbiamo sempre a che fare con le cose concrete e reali (la Sache), mai con la Cosa, con Das Ding, che è una Cosa mentale.
La differenza fra la Sache (la Cosa che sta nel linguaggio) e la Ding (la Cosa che che sta fuori dal linguaggio) dà luogo a una funzione produttiva, questa differenza installa nel linguaggio e nell’animale che parla, nella phonè, una tensione, una direzione di movimento, che può esplicarsi per via metonimica e per via di quella differenza originaria tra Sache e Ding, grazie alla quale soltanto v’è linguaggio. E ciò è ben esemplificato nella poesia di Francesco Paolo Intini e nella poesia kitchen in generale che procede per via metonimica e non programmatica, seguendo il principio della non programmazione del non programmatico.

(Giorgio Linguaglossa)

Per quanto riguarda queste composizioni, di Giorgio Linguaglossa e di Mimmo Pugliese, ci troviamo invece davanti ad un analogon di un “quartetto per archi ed elicotteri” di Stockausen. Il rumore dell’elicottero introduce nella composizione musicale delle discrasie, delle difformità dei suoni dei violini, stirati e allungati all’inverosimile; per così dirla parafrasando Stockhausen, nella poesia di Mimmo Pugliese non c’è frastuono interlinguistico (come invece avviene nella poesia di Intini); i singoli pezzi sono ipotonici, lessico ipotonico e dismetrico, privo di metrica, la sintassi è ottimale e ottimizzata versus il significato, solo che il significato ti sfugge tra le dita come sabbia, e alla fine ti accorgi che il significato a cui il lettore viene indirizzato è uno specchietto per le allodole, un riflesso, un effetto di linguaggio, che ci sono altri significati possibili e probabili, inintenzionali e imprevedibili e che il significato altro non è che una convenzione, ad excludendum piuttosto che ad inclusione. Che il significato è una illusione, una costruzione ideologica, una costrizione.

(Marie Laure  Colasson)

Mimmo Pugliese

SETTEMBRE DEI RAGNI

Ma dove dormono i ragni?
non è stato un bel sabato

Il glucosio si arrampica sui gioielli della corona
incroci di starnuti polverizzano vagoni letto

L’arrivo è da applausi
hai dato l’acqua ai fiori?

Lo zodiaco soffre di sonnambulismo
i solstizi fotografano vichinghi

Hanno mille anni i tuoi piedi
chi ha sconvolto i papaveri?

Gli scorpioni sono in deshabillè

ieri il fondotinta zoppicava
L’estate aveva le ginocchia sbucciate

Socrate non risponde al telefono
Polifemo alleva cani da slitta

l’insalata di mare gioca a poker
Rose ridono guardandosi allo specchio

l’altra faccia della luna beve uno spritz
Una nave contrae matrimonio

in fondo alla città è sera

Francesco Paolo Intini

IL PREGIO DELLE SUPPOSTE SENZA EFFETTI COLLATERALI

Ma sì, che vuoi che siano due sigari sui cieli di Mosca!
Prendere e fumare, dicono, questo è il calumet di pace.

E dunque!
Tutti alle illustrazioni del signor Verchovenskij.
Una locusta di tipo invasivo.

Questio: come adattare Stavrogin a Paperino?

Versa tritolo in una suppostiera
Il mondo capirà perché non ci sono effetti collaterali.

Il polo Nord dà un bacio in bocca a Breznev
-Belli i tempi in cui si giocava col West
spegnendo i vulcani di Reykjavik per accenderli sotto Allende.

Il polo Sud spenna due pinguini e li arrostisce sul Plutonio!
Per rabbia credo, non avendo Islande a disposizione
Ma neanche un surrogato di Gano o di un cavallino a dondolo.

Ecco Kirillov al prezzo di due senza un Dio di mezzo
con solo una pallottola di senso nella beretta.

Chiamatelo Totò vantandone il rigore logico!

Perdinci dove trovare un muro come si deve?
Qualcosa che assomigli a un Vopos
Una versione precedente dell’AI.

Buchi invece sovrastati da marabù
Pronti a beccare la prima salma che emerge dai morti.

1(sono stati omessi tre versi iniziali per ovvie ragioni)

Tiziana Antonilli
13 settembre 2024 alle 10:32

DIS-PACE

Le armi hanno allargato il fai da te
delle piaghe ulcerate.

Nel deserto i segnali stradali boicottano
i parafulmini e la penicillina

reclama la legittima difesa.
La sabbia cura i grilletti facili

ma complica il lavoro dei cimiteri
sempre più in crisi abitativa.

Un Nobel per la dis-pace non si nega a nessuno
basta che i giovani imparino a disinnescare

la finestra sul naso dei cecchini.

Glossa

Penso che la poesia DIS-PACE di Tiziana sia autentica poesia Kitchen. Ritengo il titolo davvero potente ad indicare la situazione attuale in cui a volere la pace sono solo le anime belle dei bambini e affini.

Ciò che ne risulta è una situazione di stallo -una dis-pace appunto!- in cui non si trova alcuna soluzione al teorema invasoinvasore variamente coniugato e condito da sanzioni e schieramenti, offensive e controffensive, pronunciamenti di tribunali internazionali e violazioni sistematiche dei diritti elementari, stragi e controstragi senza fine e senza scopo se non quello di avvitare il mondo in un clima d’odio.

Nel tema della pace i versi si intingono come in un piatto indigeribile l’uno dopo l’altro e si rincorrono in immagini sorprendenti,  per conficcarsi efficacemente nella mente del lettore e dare l’idea della confusione che regna in questo mondo sempre più a colabrodo.

(Francesco Paolo Intini)

https://lombradelleparole.wordpress.com/2024/09/20/in-realta-una-composizione-kitchen-ha-due-porte-una-di-entrata-e-una-di-uscita-il-kitchen-rappresenta-una-rivoluzione-e-una-esplosione-del-linguaggio-indica-che-il-soggetto-e-da-sempre-stravo/

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In realtà una composizione kitchen ha due porte: una di entrata e una di uscita, il kitchen rappresenta  una rivoluzione e una esplosione del linguaggio, indica che il soggetto è da sempre stravolto dalla machinerie del linguaggio e dalla machinerie del montaggio, Poesie di Francesco Paolo Intini, Mimmo Pugliese, Tiziana Antonilli, Glosse di Marie Laure Colasson e Giorgio Linguaglossa Quartetto per archi ed elicotteri di Karlheinz Stockhausen

In realtà una composizione kitchen ha due porte: una di entrata e una di uscita Il magistero della poesia di Francesco Paolo Intini rappresenta  una rivoluzione e una esplosione del linguaggio, ind…

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