📺 #ProgettoRazzia
Filosofia di Fabrizio Corona: L’ANTIGIORNALISTA
https://www.youtube.com/watch?v=x7lxuYYdSBc
#filosofia #comunicazione #Corona #antigiornalista #giornalismo #controinformazione #populismo #corruzione

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Filosofia di Fabrizio Corona: L’ANTIGIORNALISTA
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Il coinvolgimento della Rosa dei Venti nella realizzazione della strage alla Questura di Milano appare dunque evidente
La strage, che costituisce uno degli episodi più oscuri della strategia della tensione, giunse al termine di una lunga serie di attentati che avevano insanguinato il paese a partire dal ‘69 di cui i più rilevanti, oltre naturalmente a piazza Fontana, furono la strage di Gioia Tauro del 22 luglio del ‘70 e quella di Peteano del 31 maggio del ‘72. L’attentato avvenne giovedì 17 maggio 1973, alle ore 10:55, presso la Questura di via Fatebenefratelli quando Gianfranco Bertoli lanciò una bomba contro il portone d’ingresso del palazzo. Il bilancio fu di quattro morti e cinquantatré feriti. Quella mattina si era da poco conclusa la commemorazione del primo anniversario dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi. Dopo l’arresto Bertoli si professò anarchico sostenendo di aver compiuto l’attentato per vendicare Pinelli; le sue dichiarazioni, a cui si sarebbe sempre attenuto, seguivano alla lettera le istruzioni che gli erano state impartite nei mesi antecedenti da alcuni dei più importanti membri di Ordine Nuovo durante i giorni di indottrinamento trascorsi a Verona dove l’uomo, in vista dell’imminente attentato, era stato tenuto sotto stretta osservazione. Il coinvolgimento della figura di Calabresi naturalmente serviva ad occultare meglio la mano degli ideatori rendendo più credibile la paternità anarchica della strage. L’obbiettivo dell’attacco, poi mancato, era il ministro dell’interno Mariano Rumor colpevole, secondo gli ordinovisti, di non aver proclamato lo stato di emergenza dopo la bomba del 12 dicembre del ‘69. L’eliminazione del ministro, nei piani degli ideatori della strage, avrebbe dovuto servire anche ad evitare una riedizione del centro-sinistra che si stava profilando come altamente probabile sulla base degli equilibri politici interni alla DC.
[…] I principali attentati che precedettero l’attacco alla Questura di Milano furono, come sopra ricordato, essenzialmente due. In primo luogo si ricorda il fallito attentato del 7 aprile del 1973 sul direttissimo Torino-Genova-Roma ad opera del gruppo La Fenice. <32 L’esecutore materiale, Nico Azzi, giovane missino, nel tentativo di controllare l’ordigno, temendo che questo non fosse stato impostato correttamente, aveva fatto scoppiare inavvertitamente un detonatore tra le sue gambe, rendendo impraticabile l’innesco dell’ordigno. Nell’ipotesi iniziale all’attentato avrebbe dovuto seguire la solita operazione di attribuzione della paternità a sinistra. In quell’occasione si era deciso di far
ricadere la responsabilità del gesto sul gruppo genovese “XXII ottobre”, collegato significativamente all’editore Giangiacomo Feltrinelli. Secondo il progetto iniziale, a questa strage doveva far seguito una seconda sul treno Monaco-Roma che poi non venne attuata a causa del fallito attentato sul primo treno, considerato che Azzi, colto in flagrante, era chiaramente di destra, per cui la messa in scena non poteva più essere orchestrata.
Un secondo snodo significativo nella strategia perseguita prima dell’attentato a Rumor fu il cosiddetto “giovedì nero di Milano”. Il 12 aprile 1973 era stata indetta dall’MSI e dal Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile del partito, una manifestazione di protesta che, a causa dei fatti dei giorni precedenti, era stata limitata dal prefetto Libero Mazza al solo comizio. Nonostante ciò, centinaia di militanti del Movimento Sociale Italiano e delle principali organizzazioni dell’estrema destra scesero in piazza e si scontrarono con le forze dell’ordine. Nel corso della manifestazione rimase ucciso l’agente di polizia Antonio Marino, in seguito all’esplosione di una bomba a mano lanciata da Vittorio Loi, giovane missino che venne immediatamente identificato. Dalle testimonianze di Loi, che sentendosi abbandonato dal suo partito cominciò a parlare, si comprese che i disordini erano stati volontariamente provocati dalla dirigenza missina. <33
Al di sopra degli attentatori, come è stato ormai accertato dalla Magistratura, operava il già citato gruppo golpista la Rosa dei Venti che svolgeva una funzione di coordinamento tra i diversi gruppi eversivi. <34 Si trattava di un’organizzazione atlantica intersecata con gli apparati dello stato, il cui nome conteneva un chiaro richiamo al simbolo della NATO, oltre ad evocare il numero dei gruppi di estrema destra associati alla stessa organizzazione. <35 Facevano parte dell’organizzazione diversi militari, quali ad esempio il maggiore Amos Spiazzi e il generale Francesco Nardella, oltre ad estremisti neri: tra i nomi più rilevanti ricordiamo il principale promotore del gruppo Dario Zagolin – informatore degli americani e del SID -, Eugenio Rizzato, Sandro Sedona e Sandro Rampazzo. Tra i membri risultavano anche diversi industriali ed esponenti del Fronte nazionale che avevano preso parte al golpe Borghese, tra cui occorre ricordare l’avvocato Giancarlo De Marchi, che come noto aveva già giocato un ruolo rilevante in qualità di collettore dei finanziamenti per il progetto golpista del principe Borghese.
La figura di De Marchi ricompare proprio nel marzo 1973 quando, nell’ambito della riproposizione di un piano eversivo, venne contattato dal maggiore Amos Spiazzi, su indicazione di un agente del SID. Il compito era quello di valutare affidabilità e la serietà dell’avvocato genovese, che si era dichiarato disponibile a reperire fondi a sostegno della strategia stragista, rassicurandolo al contempo sulla concretezza e fattibilità del disegno golpista, stante l’esistenza di un rilevante numero di militari disposti a proseguire il fallito golpe Borghese.
L’esistenza di un nuovo progetto golpista è stata confermata d’altra parte anche dalle indagini del giudice Giovanni Tamburino, dalle quali si evince chiaramente che la Rosa dei Venti nel 1973 aveva come obbiettivo quello di promuovere interventi tesi all’istaurazione di un regime autoritario in Italia attraverso la realizzazione di un colpo di stato. Secondo le dichiarazioni di Remo Orlandini, uomo di fiducia del principe Borghese, ai già citati eventi dell’aprile-maggio 1973 – l’attentato al treno Torino-Roma, la manifestazione del 12 aprile e la bomba alla Questura – doveva seguire, l’instaurazione di un clima di forte tensione sociale in Valtellina alla cui direzione avrebbe dovuto esserci il leader del Movimento di azione rivoluzionaria (MAR) Carlo Fumagalli, altro nome di fondamentale importanza nel mondo dell’estrema destra in quella stagione. Altro passaggio teso a creare un clima adatto ad un colpo di stato.
Nell’aprile del 1973 l’attività della Rosa Dei Venti era strettamente connessa alle attività di Ordine Nuovo. Da fonti provenienti dai carabinieri e dal SID risulta infatti che il giorno della strage Bertoli era atteso da Sandro Rampazzo fuori dalla questura, che come abbiamo già sottolineato avrebbe dovuto farlo scappare a bordo della sua auto. <36 Il coinvolgimento della Rosa dei Venti nella realizzazione della strage alla Questura di Milano appare dunque evidente e questo conferma il fatto che la strage di Bertoli si inserisse in un disegno di ben più ampia portata di quanto per lungo tempo abbiano voluto far credere sia parte dei Servizi Segreti sia una parte della stampa. Come avvenuto con il golpe Borghese, l’opinione pubblica sarebbe però venuta a conoscenza del progetto ordito dalla Rosa dei Venti, peraltro in modo parziale, solo nell’autunno del 1974 grazie all’evoluzione dell’inchiesta condotta dal giudice Tamburino.
Al compimento dell’attentato avrebbe dovuto seguire l’intervento delle Forze Armate, in modo analogo a quanto era stato previsto dopo la strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano. Nonostante l’atto stragista non avesse raggiunto gli obbiettivi che si era prefissato, – Rumor rimase illeso – la Rosa dei Venti avrebbe comunque allertato le strutture civili e militari per passare all’azione il 2 giugno del 1973. Anche in questa occasione l’esecuzione del golpe rientrò soltanto a causa di un intervento esterno.
Contrariamente a quel che sperava la destra, la bomba alla questura non determinò comunque uno spostamento a destra del governo, ma finì anzi per rafforzare all’interno della DC la linea favorevole ad una riedizione del centro-sinistra.
Rispetto alle altre stragi che hanno insanguinato il nostro paese, l’attentato alla questura costituisce uno snodo rilevante nella storia della strategia della tensione. Come ha sottolineato in modo chiaro Dondi, esso costituì «l’ultima strage costruita cercando di attuare il meccanismo di provocazione con lo scambio di attribuzione». <37
Contrariamente a quanto avevano sperato gli ordinovisti e diversamente da quanto era accaduto con la strage di Piazza Fontana, gran parte dell’opinione pubblica diffidò da subito della paternità anarchica dell’attentato. Probabilmente la lunga scia di sangue che aveva attraversato il Paese e l’attività sempre più incisiva della controinformazione avevano cambiato in modo profondo la sensibilità degli italiani. D’altro canto anche la stampa d’opinione, sia pure con le dovute eccezioni, non poté non ravvisare le evidenti incongruenze di una riconduzione della strage alla pista anarchica. Troppi erano gli elementi che non tornavano. Innanzitutto il profilo biografico-politico dell’attentatore, le cui frequentazioni di uomini e organizzazioni della destra eversiva erano difficilmente occultabili. «L’Unità» e «Paese Sera» già dal 18 maggio avevano rilevato i legami del Bertoli con Pace e Libertà, l’organizzazione finanziata dalla Cia.
In secondo luogo, non si capiva come Bertoli avesse potuto sapere della commemorazione di Calabresi con una settimana di anticipo, cioè al momento di lasciare Israele, quando invece la cerimonia era stata resa pubblica soltanto il 15 maggio. Era evidente che ci doveva essere un coinvolgimento di qualcuno all’interno delle istituzioni. Risultava infine decisamente poco credibile non ipotizzare una trama internazionale alla luce dei numerosi spostamenti di Bertoli. Come era stato possibile infatti che il Mossad non fosse stato in grado di identificare un pregiudicato che operava sul suo territorio, che intratteneva rapporti con uomini dell’estrema desta francese e che andava e veniva dallo stato ebraico con un passaporto falso?
Insomma, troppi elementi non quadravano nella strage di via Fatebenefratelli. Proprio per questo si può dire che l’attentato costituisce in senso tecnico la fine della strategia della tensione, almeno come era stata delineata nell’ambito del convegno dell’Istituto Pollio tenuto all’hotel Parco dei Principi di Roma del maggio 1965.
[NOTE]
32 A. Giannuli, E. Rosati, Storia di ordine nuovo. La più pericolosa organizzazione neo-fascista degli anni settanta, cit., p. 162. La Fenice fu un’organizzazione dell’estrema destra milanese fondata da Giancarlo Rognoni nel 1971. Il gruppo nel febbraio 1973, rientrò sotto l’ombrello del MSI, grazie all’accordo con Franco Servello, cosa avvenuta anche per Ordine Nuovo alla vigilia della strage di Piazza Fontana. Ai membri de La Fenice erano state infatti promesse alcune cariche all’interno del partito. Tra i principali militanti ricordiamo Nico Azzi, Francesco De Min e Mauro Marzorati. Il gruppo godeva della protezione di Pino Rauti.
33 M. Dondi, op. cit., p.308-309.
34 G. Tamburino, La Rosa dei Venti nel quadro dell’eversione stabilizzante, https://memoria.cultura.gov.it (consultato il 20 novembre 2024).
35 M. Dondi, op. cit., p. 330. Le organizzazioni legate alla Rosa dei Venti, inizialmente venti, divennero poi ventitré. Tra queste ricordiamo Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo, Fronte nazionale, Mar.
36 Cfr. S. Ferrari, Le stragi di stato. Piccola enciclopedia del terrorismo nero da piazza Fontana alla stazione di Bologna, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2006, p. 95.
37 M. Dondi, op. cit., p. 327.
Marta Cicchinelli, Stampa e strategia della tensione: la strage alla Questura di Milano sui settimanali italiani, Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2023-2024
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Guerra in Ucraina: le ragioni e le soluzioni secondo Noam Chomsky
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Traduzione a cura di Valentina Nicolì e Vincenzo Ostuni. Premessa di Valentina Nicolì.
La guerra in Ucraina sembra essere nata dal nulla, viene raccontata dai media in tempo reale ma non è permesso spiegarne la complessità delle ragioni storiche. Noam Chomsky lo fa egregiamente in questo libro senza cercare giustificazioni o attenuanti per il crimine di guerra che rappresenta l’invasione intrapresa da Putin.
Perché l’Ucraina?
Perché l’Ucraina è un libro straordinario per diverse ragioni. Innanzitutto il libro è la raccolta di sette interviste a Noam Chomsky, quasi tutte realizzate tra il febbraio e la fine di marzo del 2022. Perché l’Ucraina è il punto di vista di un grande pensatore su temi attualissimi, realizzato in tempo reale. Dall’ultima intervista (24 marzo) alla pubblicazione (21 aprile) è passato meno di un mese.
In secondo luogo Noam Chomsky è uno dei massimi esperti sul ruolo dei media in occidente ed uno dei maggiori critici della politica estera statunitense. Il suo è un pensiero lucidissimo, nonostante i suoi 93 anni, ed utilissimo a comprendere il ruolo degli Stati Uniti nella guerra russo-ucraina. Chomsky si definisce anarchico.
Le interviste che vanno a comporre questo libro, uscito in italiano in anteprima mondiale, sono sette. La prima intervista è di Valentina Nicolì realizzata nel dicembre 2018. Le altre sei interviste sono realizzate da C.J. Plychroniou per la rivista indipendente Truthout, dal 4 di febbraio, periodo precedente all’invasione russa, al 24 marzo 2022 e ci portano gradualmente dentro la guerra in Ucraina.
Ruolo dell’Europa e della NATO nella guerra in Ucraina
L’intervista del 2018 di Valentina Nicolì riguarda il ruolo dell’Europa e della Nato. Chomsky ripercorre la storia dell’Europa dal secondo dopoguerra ad oggi passando per De Gaulle, Willy Brandt e Gorbačëv. L’accordo che si raggiunse per l’unificazione della Germania prevedeva che la NATO non si espandesse verso Est. Era l’unica ragione per cui l’Unione Sovietica potesse fare questa concessione alla Germania divisa.
L’allargamento della NATO fino ai confini russi
Gli accordi furono mantenuti fino al 2008 quando Bill Clinton allargò la Nato fino ai confini con la Russia. Con Bush e Obama ci furono anche degli inviti all’Ucraina ad entrare nella NATO. Secondo Chomsky la NATO è consapevole che l’Ucraina non farà mai parte dell’alleanza militare atlantica. Neanche dopo un’eventuale vittoria nella guerra russo-ucraina. La Russia non lo accetterebbe mai.
Il ruolo della Nato
Secondo Chomsky la NATO non avrebbe più senso di esistere, come alleanza militare, dopo la fine dell’Unione Sovietica. Chomsky riporta il pensiero dello storico inglese Richard Sakwa, professore di Politica europea e russa all’Università del Kent, secondo cui la Nato si giustifica col bisogno di gestire le minacce provocate dal suo allargamento.
In questo modo la NATO si è trasformata in un’alleanza che ha lo scopo di controllare le risorse energetiche mondiali ed è funzionale come supporto agli Stati Uniti nelle diverse operazioni speciali e missioni di pace occidentali.
Europa indipendente dalla NATO
Il più grande regalo che Putin ha fatto agli Stati Uniti con la guerra in Ucraina è stato quello di compattare gli stati europei nella NATO e di rafforzare l’egemonia statunitense nell’alleanza atlantica. Un’Europa indipendente dalla Nato, forza terza rispetto agli altri blocchi era il sogno di De Gaulle. Ma anche l’aspirazione di Michail Gorbačëv (Gorbaciov) che immaginava un sistema di sicurezza europeo che comprendesse la Russia.
Gli Stati Uniti hanno sempre osteggiato un’emancipazione europea dall’egemonia americana che spinge l’Europa verso un’economia caratterizzata da un capitalismo estremo. Chomsky ricorda il caso del Cile del 1973 quando gli Stati Uniti insediarono il dittatore Pinochet e uccisero il presidente Allende. Lo scopo, secondo Kissinger, era quello di eliminare quell’esperienza di riforme sociali che poteva diventare un modello per Italia e Spagna.
Eppure un precedente dell’affrancamento potrebbe essere costituito oggi dall’iniziativa diplomatica di alcuni leader europei, Macron in particolare, per la ricerca di una soluzione che getti le basi per la pace tra Ucraina e Russia.
Putin nella guerra in Ucraina
La posizione della Russia è molto chiara. Putin non può accettare che Georgia e Ucraina entrino nella NATO, che ospitino esercitazioni militari NATO e vengano militarizzate dalla NATO. Se succedesse qualcosa del genere in Messico con forze armate russe o cinesi, sarebbe ugualmente inaccettabile per gli Stati Uniti.
Crimini di guerra e nazisti
Chomsky dichiara, senza nessuna ambiguità, che l’invasione russa dell’Ucraina è un crimine di guerra. Come l’invasione statunitense dell’Iraq e come l’invasione tedesca di Hitler della Polonia. Un crimine per il quale i gerarchi nazisti sono stati condannati all’impiccagione al Processo di Norimberga.
Guerra evitabile e soluzioni per la pace
La guerra, secondo Chomsky, era evitabile. Le condizioni che porteranno alla fine della guerra ed alla pace saranno le stesse che se realizzate prima, la guerra avrebbero potuto evitarla. A Putin non ci si deve arrendere e non bisogna concedere tutto. Ma le condizioni che si devono accettare a guerra in corso sono sicuramente peggiori di quelle che potevano cercarsi prima.
Tra le condizioni di pace ci saranno l’attuazione dei protocolli di Minsk che riconoscano una forma di autonomia per le repubbliche del Donbass all’interno di un’organizzazione federalista dell’Ucraina. Sistema federalista simile a quello statunitense. La smilitarizzazione e la neutralità dell’Ucraina sono parte essenziale delle condizioni.
Escalation: la guerra nucleare e la terza guerra mondiale
Non ci si deve arrendere ma bisogna concedere a Putin una via di fuga che gli permetta di uscire dalla guerra non completamente umiliato. La Russia è il paese con il maggior numero di testate nucleari ed una escalation della guerra sarebbe disastrosa e non avrebbe vincitori. Se vogliamo evitare la terza guerra mondiale o una guerra nucleare una soluzione, un compromesso va cercato. E non va cercato molto lontano da quelli che erano gli accordi di Minsk.
La politica di Biden con la Cina ed il rischio di un’altra guerra
Le sanzioni alla Russia hanno l’effetto di avvicinare la Russia alla Cina e di favorire, invece, gli Stati Uniti come fornitore di petrolio per i paesi europei. Nei confronti della Cina, inoltre, Biden sta portando avanti una politica di accerchiamento militare, simile a quello della Nato nei confronti della Russia.
Le ultime leggi di Biden in materia economica (National Defense Authorization Act del 27 dicembre 2021) hanno riservato, infatti, notevoli finanziamenti per l’acquisto di navi ed aerei e per la Pacific Deterrence Initiative per la difesa di Taiwan.
Chomsky ci invita a chiederci come si sentirebbe la Cina nel momento in cui gli Stati uniti raddoppiano la spesa per l’anno 2022 per l’installazione di missili ad alta precisione lungo la prima catene di isole (Giappone, Taiwan e Filippine).
L’Europa è decisiva sia con la Russia che con la Cina
Il ruolo dell’Europa è fondamentale in questo scenario internazionale. Se i paesi europei smettessero di accettare qualsiasi strategia militare e politica statunitense, avrebbero i requisiti per rappresentare una terza forza, di avere una propria politica internazionale e forse di scoraggiare i presidenti statunitensi da giochi pericolosi, sfruttando supremazia militare americana.
Inoltre, un affrancamento dell’Europa dagli Stati Uniti e dalla Nato libererebbe i paesi europei da quella morsa che li costringe a perseguire politiche economiche ispirate ad un estremo capitalismo neoliberista a favore, invece, di una socialdemocrazia con uno stato sociale che garantisca a lavoratori e fasce più deboli diritti essenziali e assistenza.
#chomsky #controinformazione #Europa #guerra #nato #Russia #ucraina #usa
Conflitto Israelo-Palestinese: cause della guerra e soluzioni
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L’ultimo picco di violenza nel conflitto israelo-palestinese, iniziato con un attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre 2023, ha riacceso preoccupazioni internazionali e attenzione mediatica. Questa escalation ha portato a gravi perdite umane e a una crisi umanitaria acuta, con accuse reciproche di violazioni del diritto internazionale. Amnesty International, sottolineando la gravità degli attacchi da entrambe le parti, chiama a un rispetto rigoroso delle leggi umanitarie internazionali. Inoltre chiede a Israele di interrompere il blocco illegale di Gaza che dura da 16 anni e al procuratore della Corte penale Internazionale di accelerare le indagini cominciate nel 2021 per verificare se sia stato commesso crimine contro l’umanità di apartheid.
Contesto storico e geopolitico
Il contesto storico e geopolitico del conflitto tra Israele e Palestina è complesso, con radici che affondano in decenni di storia, politica e tensioni religiose. La regione di Gaza, in particolare, è stata al centro di queste dispute per la sua posizione strategica e la sua densa popolazione palestinese.
Le radici del conflitto
La storia di Israele e Palestina è segnata da periodi di dominazione straniera, migrazioni e scontri per il controllo territoriale. Dopo la fine del mandato britannico nel 1948, la creazione dello Stato di Israele ha innescato la prima guerra arabo-israeliana, dando inizio a un lungo ciclo di conflitti. La Striscia di Gaza è diventata una zona particolarmente contesa, con una popolazione principalmente palestinese che vive sotto varie forme di controllo e assedio.
Hamas e la Striscia di Gaza
Hamas, nato nel 1987, è un’organizzazione palestinese che si oppone all’esistenza di Israele come Stato. È considerata un’organizzazione terroristica da Israele, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e altre nazioni, a causa dei suoi attacchi contro civili e l’uso di tattiche di guerriglia e terrorismo. Il controllo di Hamas sulla Striscia di Gaza dal 2007 ha portato a un severo blocco da parte di Israele e all’isolamento economico della regione, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria per i residenti di Gaza.
Questo contesto storico e geopolitico fornisce il background per comprendere la complessità del conflitto israelo-palestinese e l’importanza strategica di Gaza nel cuore di questa disputa duratura. La storia di violenza, resistenza e negoziazioni fallite sottolinea la sfida di raggiungere una soluzione pacifica e duratura che possa soddisfare le aspirazioni di entrambe le parti.
Il modello curdo come proposta di soluzione
Confederalismo democratico curdo e potenziale applicazione al conflitto israelo-palestinese.
Il modello curdo di confederalismo democratico offre un approccio innovativo alla risoluzione dei conflitti, basato sulla governance di base, il pluralismo etnico e religioso, e il forte impegno per l’uguaglianza di genere e la sostenibilità ambientale. Questo sistema, implementato in parti del Kurdistan siriano, potrebbe offrire spunti per il conflitto israelo-palestinese, proponendo una struttura di convivenza che superi le tradizionali divisioni statali. La sua applicazione richiederebbe adattamenti specifici al contesto locale, ma potrebbe fornire una base per una coesistenza pacifica, riconoscendo le diversità culturali e religiose e promuovendo una governance condivisa e inclusiva. Questo modello potrebbe anche incoraggiare il dialogo tra le comunità, la condivisione delle risorse e la cooperazione in ambiti chiave come l’educazione, la salute e l’economia, creando un terreno comune per la pace e la prosperità.
Dinamiche attuali del conflitto
Cause della guerra
Le cause del conflitto israelo-palestinese possono essere analizzate attraverso una prospettiva di lungo e breve termine.
Il movimento sionista emerse alla fine del XIX secolo in risposta all’antisemitismo europeo, promuovendo l’immigrazione ebraica in Palestina. I conflitti tra ebrei e arabi iniziarono durante l’Impero ottomano e si acuirono con il mandato britannico. Il piano ONU di partizione nel 1947 proponeva la creazione di uno stato ebraico e uno arabo, accettato dagli ebrei ma rifiutato dagli arabi. Dopo la dichiarazione d’indipendenza israeliana nel 1948, scoppiò una guerra che portò a un massiccio esodo di rifugiati palestinesi.
A breve termine, specifici eventi possono innescare escalation di violenza, come l’attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre 2023, che ha segnato l’inizio dell’ultima ondata di violenza. Questi eventi sono spesso alimentati da tensioni preesistenti, azioni provocatorie e la mancanza di progressi significativi verso una soluzione pacifica del conflitto.
L’occupazione delle terre palestinesi e le accuse di genocidio
L’accusa di genocidio contro Israele alla Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aia, avviata dal Sudafrica, rappresenta un punto di svolta nell’attenzione internazionale verso il conflitto israelo-palestinese. Questi procedimenti evidenziano come la condotta del conflitto debba essere valutata alla luce del diritto internazionale, con molteplici attori che chiedono un’indagine approfondita sui possibili crimini di guerra commessi da tutte le parti. Per un approccio di base alla questione, si veda l’articolo: La guerra è un crimine: verso un’alleanza internazionale dei popoli.
L’Irlanda, annunciando la sua costituzione di parte civile, sottolinea ulteriormente la gravità delle azioni militari intraprese da Israele. Questi sviluppi segnalano un crescente desiderio della comunità internazionale di vedere valutate e, se necessario, sanzionate le violazioni del diritto internazionale, aprendo la strada a possibili nuove dinamiche diplomatiche e legali nel trattamento del conflitto.
Dinamica del conflitto
La dinamica del conflitto israelo-palestinese è caratterizzata da una serie di eventi chiave che hanno acuito le tensioni, tra cui i bombardamenti degli ospedali e di abitazioni civili. Questi attacchi hanno sollevato preoccupazioni internazionali riguardo alla violazione del diritto internazionale umanitario, che protegge le strutture mediche in tempo di guerra. La distruzione di infrastrutture critiche aggrava la crisi umanitaria, limitando l’accesso a cure mediche essenziali per la popolazione civile. Questi eventi sottolineano l’urgenza di fermare la cieca violenza israeliana e la reazione sproporzionata.
L’accordo di cessate il fuoco di Ottobre 2025
Accordo di Cessate il Fuoco (Ottobre 2025): Tregua o Farsa per la Libertà?
A inizio ottobre 2025, dopo intense negoziazioni mediate da Stati Uniti, Egitto e Qatar, è stato raggiunto un accordo tra Israele e Hamas, culminato con l’entrata in vigore di un cessate il fuoco a Gaza il 10 ottobre 2025. L’accordo, concepito in fasi, ha come punti salienti iniziali:
Nonostante l’enorme sollievo per la popolazione civile e per i prigionieri scambiati, l’intesa è stata accolta con scetticismo e criticata come una “farsa” rispetto all’obiettivo di una vera libertà palestinese. La critica principale riguarda il fatto che l’accordo è una tregua temporanea e non un vero trattato di pace.
Le incertezze maggiori riguardano le fasi successive, che prevedono la creazione di un’amministrazione di transizione a Gaza e il disarmo di Hamas (punto che Hamas ha già respinto con forza). Pertanto, l’accordo non solo non affronta i nodi strutturali del conflitto (come la fine del blocco totale su Gaza o la questione della sovranità palestinese), ma porta con sé un alto rischio di rottura e ripresa delle ostilità nel breve termine.
Impatto umanitario della guerra
Bambini e civili
Secondo le Nazioni Unite l’impatto umanitario del conflitto a Gaza è devastante, con il 40% delle vittime composte da bambini. La situazione degli sfollati è critica, con il 75% della popolazione civile, circa 1,7 milioni di persone, costretta a lasciare le proprie case. La carestia affligge l’intera popolazione, mentre solo un terzo dei 36 ospedali di Gaza rimane operativo. Le stime indicano circa 29.700 palestinesi uccisi dall’inizio del conflitto il 7 ottobre, aggiungendo un grave tributo di vite perse alla tragica situazione.
La questione dei rifugiati
La situazione dei rifugiati nella Striscia di Gaza è gravemente critica. L’UNRWA il 17 ottobre, dopo solo 9 giorni di conflitto, ha confermato la morte di 14 membri del proprio staff e che 24 delle sue installazioni siano state colpite da attacchi aerei. Si stima che 1 milione di persone siano state sfollate, con circa 600.000 concentrate in aree specifiche e quasi 400.000 rifugiate nelle installazioni dell’UNRWA. Le cliniche sanitarie gestite dall’UNRWA stanno affrontando una carenza imminente di medicinali, aggravando ulteriormente le condizioni di vita già precarie dei rifugiati. La violenza e le restrizioni in Cisgiordania continuano parallelamente, con un bilancio di vittime e feriti in aumento.
Risposta internazionale e sforzi diplomatici
Risoluzioni ONU e interventi internazionali
La risposta internazionale al conflitto tra Israele e Palestina include risoluzioni ONU e appelli all’azione da parte dell’Unione Europea e delle ONG. Queste entità chiedono il rispetto del diritto internazionale, la protezione dei civili e l’accesso umanitario. Le ONG, in particolare, sottolineano l’urgenza di un cessate il fuoco e di misure per affrontare la crisi umanitaria. L’UE ha espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani, sostenendo l’importanza di una soluzione pacifica e sostenibile.
L’intensa diplomazia condotta da Stati Uniti, Egitto e Qatar ha portato al fragile accordo di cessate il fuoco di ottobre 2025. Sebbene l’intesa rappresenti un successo nella de-escalation immediata e nello scambio di prigionieri, i negoziati futuri dovranno affrontare le questioni più complesse, quali l’accusa di genocidio alla CIG e la mancanza di un orizzonte politico credibile basato sulla soluzione a due Stati. La comunità internazionale rimane divisa sulla necessità di imporre condizioni equilibrate e vincolanti per garantire una pace sostenibile.
Riflessioni sulla ricerca di pace e giustizia per tutte le parti coinvolte
La ricerca di pace e giustizia per tutte le parti coinvolte nel conflitto israelo-palestinese richiede un impegno concertato e una visione a lungo termine che superi gli interessi immediati e le divisioni profonde. La soluzione dovrà essere inclusiva, rispettando i diritti e le aspirazioni sia degli israeliani che dei palestinesi, e fondarsi su principi di uguaglianza, dignità umana e coesistenza pacifica. La comunità internazionale, insieme alle ONG e alle istituzioni multilaterali, ha un ruolo cruciale nel facilitare il dialogo e sostenere iniziative che promuovano la comprensione reciproca e la fiducia tra le parti. La strada verso la pace è complessa e piena di ostacoli, ma è l’unico percorso possibile per garantire un futuro di stabilità e prosperità per la regione.
Una soluzione duratura al conflitto israelo-palestinese può emergere solo con un impegno internazionale deciso verso l’imposizione di condizioni equilibrate, che costringano Israele a porre fine all’uso della forza contro i palestinesi e incoraggino la popolazione palestinese a distanziarsi da organizzazioni politiche estremiste. La cooperazione internazionale e una pressione congiunta sono essenziali per creare un ambiente in cui entrambe le parti possano negoziare in buona fede, verso una pace sostenibile che riconosca e rispetti i diritti e le sovranità di entrambi i popoli.
Domande e risposte
Chi c’era prima, Israele o Palestina?La terra conosciuta oggi come Israele e Palestina ha una storia lunga e complessa, con radici che si intrecciano nelle antiche civiltà e nei periodi storici. Prima della fondazione dello stato di Israele nel 1948, la regione era abitata da una popolazione araba palestinese con presenze ebraiche sparse. Questa domanda apre a dibattiti storici e interpretazioni che riflettono la profondità e la complessità del conflitto.
Cosa rivendicano i palestinesi?I palestinesi rivendicano il diritto alla sovranità e all’autodeterminazione sui territori occupati da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, ovvero la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza. Essi aspirano alla creazione di uno stato palestinese indipendente e al riconoscimento dei diritti dei rifugiati palestinesi.
Per quale motivo c’è la guerra in Israele?La guerra in Israele e Palestina è radicata in conflitti storici, religiosi, e territoriali. Le tensioni tra le aspirazioni nazionali israeliane e palestinesi, il controllo dei luoghi santi, e le dispute territoriali hanno alimentato decenni di violenze e confronti.
Che differenza c’è tra palestinesi e israeliani?Le differenze tra palestinesi e israeliani sono principalmente di natura nazionale, culturale e religiosa. Israele è uno stato a maggioranza ebraica, mentre i palestinesi sono prevalentemente arabi musulmani, con significative minoranze cristiane e altre. Oltre alle distinzioni etniche e religiose, esistono profonde divisioni politiche e ideologiche.
Cosa vuole Hamas da Israele?Hamas, che governa la Striscia di Gaza, chiede la fine dell’occupazione israeliana e il riconoscimento dei diritti palestinesi, inclusa la creazione di uno stato palestinese. Tuttavia, le sue posizioni variano da richieste di cessazione totale delle ostilità a obiettivi più estremi, compresa la distruzione di Israele, secondo alcuni dei suoi documenti fondativi.
Chi ha iniziato la guerra tra Gaza e Israele?Le ostilità tra Gaza e Israele hanno radici profonde e complesse, con cicli di violenza che si susseguono da anni. È difficile attribuire l’inizio del conflitto a un singolo evento o azione, dato che si tratta di una serie di risposte a provocazioni e azioni da entrambe le parti.
Perché Gaza è importante?Gaza detiene un’importanza che va oltre l’aspetto strategico, storico e simbolico, estendendosi anche alle risorse naturali. Le acque al largo della Striscia di Gaza sono note per la presenza di giacimenti di petrolio e gas naturale, un fattore che aggiunge un ulteriore livello di complessità al conflitto israelo-palestinese. La questione energetica rappresenta una dimensione poco discussa ma fondamentale, che incide sulle dinamiche geopolitiche della regione. Queste risorse potrebbero rappresentare un’opportunità economica significativa per i palestinesi, ma l’accesso e il controllo di tali risorse sono fortemente influenzati dalle tensioni e dalle restrizioni imposte. La presenza di petrolio e gas nelle acque di Gaza evidenzia quindi come le motivazioni economiche e le questioni di sovranità sui naturali giacimenti energetici possano avere un ruolo nel perpetuare il conflitto.
Chi governa Gaza oggi?Attualmente, la Striscia di Gaza è governata da Hamas, un’organizzazione politica e militante palestinese che ha preso il controllo del territorio nel 2007, dopo aver vinto le elezioni legislative nel 2006 e successivamente sconfitto le forze fedeli a Fatah in violenti scontri.
Economia del genocidio: aziende complici, rapporti ONU e boicottaggio dei prodotti israeliani
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Il dibattito sulla complicità aziendale nel conflitto israelo-palestinese ha ricevuto un nuovo impulso con la pubblicazione del rapporto “From the Economy of Occupation to the Economy of Genocide” (2025), redatto da Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati.
Questo rapporto, chiave per la comprensione di chi finanzia la guerra a Gaza, ha delineato la transizione da una semplice economia dell’occupazione a una vera e propria economia del genocidio. Il rapporto analizza in dettaglio le aziende coinvolte nel genocidio a Gaza, evidenziando come i flussi economici globali contribuiscano al mantenimento dell’assedio e alla distruzione delle infrastrutture civili palestinesi.
Parallelamente, il database indipendente Who Profits e il movimento BDS – Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni hanno documentato i legami di numerose aziende globali con l’occupazione israeliana e gli insediamenti illegali.
Questa lista aggiornata di aziende complici dell’occupazione israeliana incrocia i dati fondamentali per il consumo critico e consapevole in Italia:
L’obiettivo è offrire una panoramica verificata delle aziende complici dell’occupazione israeliana, permettendo ai cittadini di orientare le proprie scelte economiche e adottare un consumo realmente consapevole.
⚠️ Avvertenza importante:
La presenza di un’azienda in queste fonti non implica una condanna legale, ma indica segnalazioni o campagne pubbliche basate su analisi indipendenti, inchieste giornalistiche o rapporti di ONG. Molte aziende contestano le accuse o hanno modificato le proprie politiche.
Settore alimentare e beni di consumo
In questa sezione si concentrano i marchi di largo consumo e i prodotti più facilmente individuabili nei supermercati italiani, al centro del boicottaggio alimentare etico.
Azienda / MarcaProdotti e Marchi in ItaliaLegame ContestatoFonteNestléBaci Perugina, KitKat, Nescafé, S.Pellegrino, Levissima, Buitoni, PurinaDetiene una quota di controllo (>50%) del gruppo israeliano Osem, attivo anche nei Territori Occupati.Who Profits – Osem GroupPepsiCoLay’s, Gatorade, 7Up, Quaker, TropicanaJoint venture con Strauss Group (israeliana), accusata di sostegno economico all’esercito israeliano.BDS Movement – SabraMcDonald’s / Coca-ColaFast food / BevandeLe filiali israeliane hanno fornito pasti e supporto logistico alle forze armate.Al JazeeraSodaStreamMacchine per bibite gassateEx fabbrica in insediamento in Cisgiordania (chiusa nel 2015, ma simbolo storico del boicottaggio).Who Profits – SodaStreamProdotti agricoli israeliani (Jaffa, Carmel)Datteri, avocado, agrumiProduzioni provenienti da insediamenti nella Valle del Giordano.Who Profits – Agricultural ExportsLe aziende italiane e la Difesa
Sebbene in misura minore rispetto ai colossi internazionali, esistono aziende italiane coinvolte nel conflitto israelo-palestinese, sia per collaborazioni industriali sia per progetti di difesa congiunti. Il loro ruolo è stato oggetto di indagine nel Rapporto ONU Francesca Albanese (2025).
Azienda ItalianaSettoreSegnalazione / CoinvolgimentoLeonardo S.p.A.Aerospazio e difesaCitata nel Rapporto Albanese per partnership con Elbit Systems e programmi congiunti di difesa (droni e radar).BarillaAlimentareNon risulta citata né in Who Profits né tra i target BDS.Tecnologia, logistica e sponsorizzazioni
Molte aziende che finanziano Israele lo fanno attraverso partnership tecnologiche, servizi cloud o infrastrutture di sicurezza, rendendo il boicottaggio tecnologico una delle aree più discusse del movimento BDS.
AziendaTipo di CoinvolgimentoFonteMicrosoft, Amazon Web Services, Google (Alphabet)Fornitura di servizi cloud e AI per il Progetto Nimbus, a supporto delle infrastrutture militari israeliane.The InterceptHewlett-Packard (HP)Servizi IT per database e sistemi biometrici nei checkpoint.Who Profits – HPCaterpillarFornitura di bulldozer usati nella demolizione di case palestinesi.Who Profits – CaterpillarPuma e ReebokSponsorizzazione della Israel Football Association (IFA), che include squadre in insediamenti illegali.BDS Movement – PumaAirbnb, Booking.comPromozione di strutture turistiche negli insediamenti.Who Profits – TourismTeva PharmaceuticalsMultinazionale israeliana boicottata per il suo ruolo economico nei territori occupati.Who Profits – TevaInfrastrutture, energia e finanza B2B
Questa sezione include aziende essenziali per l’infrastruttura israeliana e gli investimenti nelle colonie, menzionate nel Rapporto ONU 2025 di Francesca Albanese per il loro ruolo nel sostegno strutturale all’occupazione.
Azienda / SettoreTipo di CoinvolgimentoFonteGlencore / Drummond CompanyEnergia e carbone: principali fornitori di carbone per Israele.UN Report, 2025 – A/HRC/59/23ChevronEstrazione di gas naturale dai giacimenti di Leviathan e Tamar.UN Report, 2025 – A/HRC/59/23SiemensCoinvolta in progetti elettrici come l’Interconnettore Euro-Asia.BDS MovementBanche e Fondi d’InvestimentoInvestimenti in aziende attive negli insediamenti.UN Report, 2025 – A/HRC/59/23CAF (Spagna)Costruzione della ferrovia leggera di Gerusalemme.Who Profits – CAFEnergia e logistica marittima
Azienda / SettoreTipo di CoinvolgimentoFonteEni S.p.A. (Italia)Esplorazione Gas: Ha ottenuto licenze per l’esplorazione di gas (Blocco 9/Alon D) nel Mediterraneo orientale, per conto di Israele, vicino alle aree marittime contese.[Rapporto Greenpeace / Stampa Italiana]ZIM Integrated Shipping (Israele)Logistica Marittima: Principale compagnia di navigazione israeliana, considerata vitale per l’economia israeliana e obiettivo primario del boicottaggio logistico per le sue operazioni globali.[BDS Movement]APL, ZIM, OOCL (Logistica Container)Assicurazione/Riasicurazione: Molte compagnie marittime e assicurative sono citate per il trasporto di merci da/per insediamenti o per la copertura di rischi di infrastrutture militari.[Who Profits / Rapporto Albanese]Axon Enterprise (Taser)Sicurezza/Polizia: Fornitura di bodycam e armi non letali utilizzate dalle forze di sicurezza israeliane (Polizia, IDF, Amministrazione Penitenziaria).[Who Profits]Guida al consumo critico e consapevole
Il boicottaggio etico dei prodotti israeliani è oggi uno strumento di pressione civile sempre più utilizzato.
Per i consumatori che cercano di agire tramite il consumo consapevole, queste indicazioni pratiche possono essere d’aiuto:
#LIHOP 7 OTTOBRE 2023: chi lo ha voluto?
https://www.youtube.com/watch?v=21d2I-bc_aY

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