50 anni dal Trattato di Osimo che stabilì definitivamente il confine tra #Italia e #Jugoslavia. E questo il principale oggetto del contendere: #Trieste - Video - RaiPlay https://www.raiplay.it/video/2016/11/Trieste-la-contesa-2adfd266-23e7-453a-a978-578f9b670957.html

@cultura

Trieste la contesa - Video - RaiPlay

Con la caduta dell’Impero Asburgico Trieste, per la sua posizione, è stata una città contesa. Passata di mano in mano, ha vissuti sulla sua pelle il travaglio di un clima d’odio strisciante e crescente: il fascismo che si è scagliato prima contro la popolazione di lingua slovena, poi contro gli ebrei; la dominazione, tanto breve quanto lacerante, della Jugoslavia; gli americani e la linea Morgan tracciata arbitrariamente; l’esodo istriano.

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Tanja Petrovic, "Utopia of the Uniform: Affective Afterlives of the Yugoslav People's Army" (Duke UP, 2024)

Podcast Episode · New Books in Eastern European Studies · 21/09/2025 · 43m

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A perdifiato e voltandosi indietro

di Luca Baiada Francesco Troccoli, Dugo e le stelle, L’asino d’oro edizioni, Roma 2025, pp. [...]

Carmilla on line

Nel 1946 gli americani vedevano una minaccia russo-jugoslava di invasione dell’Italia

Il risultato elettorale della consultazione per l’Assemblea costituente del 2 giugno è1946], benché avesse mostrato una forte affermazione della Democrazia Cristiana, non aveva fornito rassicurazioni in merito al futuro politico del paese considerando che i voti raggiunti dai due partiti della sinistra, sommati insieme, rappresentavano la maggioranza. Come sottolineava Stone in un telegramma del 5 giugno per il vertice del servizio segreto militare in Italia, il G-5, a commento dei risultati elettorali, sette milioni e mezzo di italiani si erano espressi per la Dc, ma otto milioni e mezzo avevano dato il voto a Pci e Psi <302. Il nuovo governo scaturito dal risultato elettorale si insediò il 13 luglio dello stesso anno, mostrando la fine dell’equilibrio politico frutto del periodo della Resistenza basato sul governo dei sei partiti del CLN: il partito d’Azione infatti, che già aveva ritirato i suoi due ministri, La Malfa e Lombardi, dal governo De Gasperi, non avrebbe partecipato, così come i liberal-democratici. Si trattava di una coalizione tripartita, che si trovava a governare una situazione in divenire, in cui ogni risultato futuro era possibile. I vertici americani ritenevano ormai necessaria ed imprescindibile una rottura da parte del partito di De Gasperi con i due partiti social-comunisti, poiché la loro stessa partecipazione al governo era considerata un costante pericolo sia dal punto di vista del loro conseguente rafforzamento, sia dal punto di vista di un loro possibile via libera all’ordine di insurrezione, che sarebbe stata facilitata dalla loro presenza all’interno del governo.
Come sottolineava il console americano a Firenze, il fatto stesso che la Democrazia Cristiana non avesse ancora operato una rottura ufficiale mostrava la debolezza intrinseca del partito, svigorito dal progressivo aumento di consenso nazionale dei socialisti e dei comunisti. “I cristiano-democratici sono indubbiamente arrivati ad un crocevia dal quale devono essere raggiunte importanti decisioni di politica fondamentale velocemente se il partito vuole continuare a giocare un ruolo maggioritario nelle politiche italiane. Si trovano adesso di fronte al problema se dare corso o no ad un’aperta rottura con i socialisti e i comunisti con cui sono stati associati nel presente e nei passati governi di
coalizione. La loro riluttanza ad operare tale rottura mostra una debolezza organica all’interno del partito stesso” <303.
Trieste al centro di una nuova crisi internazionale.
L’arrivo dell’estate riportò il problema delle frontiere con la Yugoslavia alla ribalta delle questioni internazionali. La possibilità di un’imminente invasione della Venezia-Giulia da parte dell’esercito di Tito divenne l’argomento principale delle riunioni dei vertici militari americani in Italia e a Washington. A partire da luglio il comandante supremo alleato nel Mediterraneo, il generale Morgan, aveva proposto al Joint Chief of Staff statunitense la “partecipazione dell’esercito italiano nell’eventualità di ostilità con la Yugoslavia nell’Italia settentrionale”. La commissione congiunta tra dipartimento di Stato, il ministero della Guerra e il ministero della Marina, recentemente creata su ordine di Truman, prendendo una posizione ancora più apertamente ostile nei confronti degli yugoslavi rispetto a quella espressa dai comandi britannici in proposito, si dichiarò a favore dell’utilizzo dei reparti italiani “nell’eventualità di un attacco generale yugoslavo”, proprio in considerazione delle stesse “finalità politiche evidenziate dal comandante supremo per il Mediterraneo”, relative alle ricadute positive in termini di immagine del nuovo governo De Gasperi sull’opinione pubblica italiana <304.
Pertanto, stabiliva la Commissione, il Sacmed (comando supremo alleato per il Mediterraneo) era autorizzato ad utilizzare tutte le forze italiane disponibili, in caso di attacco da parte di Tito. Inoltre, “al recente incontro del Consiglio dei ministri degli esteri a Parigi – si legge nel documento – il segretario di Stato e il ministro degli Esteri britannico si sono accordati informalmente sulla sostanza delle istruzioni proposte sopra” <305. La situazione al confine giuliano si aggravò nel mese di agosto: il 10 e il 19 agosto aerei da combattimento yugoslavi attaccarono aerei da trasporto statunitensi, abbattendoli ed uccidendo l’equipaggio, poiché avevano violato lo spazio aereo nazionale. La reazione dei militari americani fu di estrema indignazione, soprattutto perché, come sottolineato da Offner, “essi vedevano il maresciallo Tito (…) come una maschera per l’espansione sovietica” <306. Il 25 agosto una direttiva del Joint Chiefs of Staff statunitense ordinava al generale Morgan di “prepararsi per un attacco generale organizzato yugoslavo”: nei suoi piani avrebbe dovuto “includere l’utilizzo di tutte le forze presenti in Italia”, che avrebbero dovuto essere rese “disponibili per le operazioni”. Tutte le obiezioni britanniche all’utilizzo dell’esercito italiano in funzioni attive inoltre, informava il Joint Chiefs of Staff, erano state rimosse in seguito alla discussione del tema con il dipartimento di Stato, che aveva insistito sul punto proprio “in considerazione dell’attuale attitudine yugoslava, esemplificata dall’abbattimento dei velivoli statunitensi e dalla serie di incidenti che hanno coinvolto le truppe di terra e le manifestazioni organizzate” <307. Il 29 agosto un memorandum del Pentagono ribadiva: “L’U.S. Chiefs of Staff ritiene fortemente, e il dipartimento di Stato concorda con questo, che nell’eventualità dell’aggressione yugoslava il Comandante Supremo Alleato per il Mediterraneo dovrebbe essere autorizzato ad utilizzare ogni forza militare che possa essere fisicamente disponibile per il compimento della sua missione” <308.
L’11 settembre la Chiefs of Staff Committee avvisava con urgenza l’AFHQ [quartier generale responsabile del controllo delle forze alleate – occidentali – nel teatro del Mediterraneo] di un considerevole rinforzo delle truppe yugoslave al confine con l’Italia, segno della possibilità di realizzazione di un imminente attacco da parte delle forze di Tito. Nel documento redatto dalla commissione si analizzavano le probabili modalità di attacco da parte della Yugoslavia, sottolineando che “le forze aeree yugoslave avrebbero probabilmente una parte di rilievo nelle prime fasi di qualsiasi tipo di operazione gli yugoslavi possano intraprendere contro inglesi e americani” <309. Si tratta di un documento interessante, che mostra la percezione statunitense della minaccia russo-yugoslava di un’invasione dell’Italia, per lo meno della Venezia-Giulia. Il rapporto infatti sottolineava la sicura partecipazione di divisioni sovietiche nel preventivato attacco yugoslavo: “La Russia in ogni circostanza garantirebbe tutta la possibile copertura d’aiuto alla Yugoslavia, probabilmente nella forma di truppe M.V.D.” <310.
L’arrivo del rapporto Clifford-Elsey, il 24 settembre, segnò un altro momento cruciale nella considerazione statunitense della penisola. Le ottantadue pagine del “Russian report”, prodotte su ordine di Truman dai due assistenti alla Casa Bianca, vertevano interamente sui piani di espansione preparati dai sovietici, che a giudizio dei due analisti americani si concentravano proprio sull’ottenimento di un’influenza nell’Europa occidentale: in particolar modo l’obiettivo sovietico si focalizzava sull’Italia, che avrebbe dovuto essere portata sotto l’ombrello sovietico tramite l’azione del partito comunista, e sulla ricerca di un controllo della Grecia, da attuare attraverso l’instaurazione di un governo simile in tutto ai regimi imposti nell’Europa dell’Est <311.
I rapporti provenienti dalla penisola delineavano un crescente pericolo per la stabilità del governo, e soprattutto per la potenziale crescita politica del blocco social-comunista che minacciava di portare legalmente l’Italia fuori dall’ambito atlantico. La percezione statunitense della situazione si concentrava sul rafforzamento dei due partiti della sinistra a danno della Dc, che avrebbe potuto provocare lo scivolamento del paese verso un governo guidato dal Pci e quindi verso un orientamento in politica estera favorevole al blocco sovietico. Il 22 novembre Key inviò un una sorta di avvertimento ai vertici di Washington: la situazione nella penisola si deteriorava ogni giorno di più, e la possibilità di garantire un governo stabile così come la permanenza della presidenza del Consiglio nelle mani di De Gasperi erano a rischio. L’incaricato d’affari presso l’ambasciata di Roma riferiva con preoccupazione i continui “tentativi di screditare il governo” da parte “del partito comunista, sebbene partecipi ad esso” <312. De Gasperi inoltre, riferiva Key, aveva “definitivamente perso la speranza di ottenere una genuina collaborazione inter-partito”, a causa della volontà dei due partiti dell’ala sinistra di provocare uno stravolgimento degli equilibri politici. Il rapporto del CIC, il servizio di controspionaggio militare dell’AFHQ, allegato al telegramma di Key per Byrnes illumina chiaramente la percezione statunitense della prospettiva politica del paese. Il risultato dell’analisi del vertice del servizio segreto militare gettava un’ombra scura sulle possibilità del paese di mantenere un assetto democratico senza essere risucchiato nell’orbita sovietica tramite l’instaurazione di un governo dominato dai comunisti filo-Urss, come nei paesi dell’Europa orientale, o tramite lo scoppio di una guerra civile, come gli avvenimenti greci stavano mostrando proprio in quelle settimane. “L’obiettivo delle sinistre [Leftists] è di forzare la nazione in convulsioni interne provocate dall’insicurezza sociale ed economica, e allo stesso tempo di accreditare la responsabilità al programma dei democristiani, ed eventualmente costringerli a lasciare la posizione di maggior partito all’interno del governo” <313. In linea con l’interpretazione circolante all’interno dell’amministrazione Truman circa i veri obiettivi del partito di Togliatti, l’analisi del Cic evidenziava l’eterodirezione operata sul Pci da parte di potenze straniere: “il programma del partito è stato deciso fuori dalla sfera nazionale”, sottolineava il rapporto. “Nel frattempo, le sinistre organizzano l’opposizione [alla D.C.] tramite la propaganda, l’agitazione sindacale e la provocazione dei gruppi economicamente insicuri”, e tuttavia, a causa del forte radicamento nel tessuto sociale, economico e produttivo del paese di Pci e Psi non era possibile provocare un’espulsione dal governo di alcuna delle due forze politiche, opzione che da quanto espresso nel rapporto era stata chiaramente presa in considerazione a Washington. “I comunisti e i socialisti sono fortemente impiantati non solo nel governo, ma sono ben radicati in gran parte degli strati sociali e produttivi del paese. (…) Per questa ragione, eliminare un importante partito dal governo, sarebbe un invito ad attivare opposizione e sabotaggio politico-economico. Ciò è particolarmente vero relativamente ai comunisti” <314.
Pochi giorni più tardi il segretario di Stato in persona ritenne opportuno concentrare l’azione del suo dipartimento sui segnali sempre più preoccupanti che arrivavano relativamente alla situazione italiana: un’agenzia del governo aveva infatti sottolineato una nuova attività in corso tra il partito comunista e l’ambasciata sovietica, foriera di nuove indicazioni provenienti da Stalin per l’azione del Pci. L’ipotesi di un’azione insurrezionale era fortemente presa in considerazione da Byrnes, che decise di mettere in allerta l’ambasciata a Roma: “Il segretario di Stato – si legge nel telegramma inviato da Byrnes a Key – inoltra per informazione dell’incaricato d’affari un rapporto, con allegato, fornito al Dipartimento da un’altra agenzia del Governo sui contatti tra il Partito Comunista Italiano e l’ambasciata sovietica” <315. Purtroppo l’allegato non è presente nella documentazione conservata, ma è interessante notare come l’attenzione di Byrnes si concentrasse sul legame tra il Pci e l’Urss.
In quel periodo l’attenzione dei policy-makers statunitensi a Washington era concentrata sugli sviluppi della politica interna italiana. Il nuovo turno di consultazioni locali, che si era concluso il 10 novembre con le votazioni di Roma, Napoli, Genova, Torino, Firenze e Palermo, aveva mostrato la tendenza ad un evidente aumento di voti a sinistra, con un predominio del Pci sui socialisti. La Dc ne usciva ridimensionata a vantaggio dei partiti della destra, soprattutto dall’Uomo Qualunque. A Roma la lista democristiana passava dai 218.000 voti registrati il 2 giugno a 103.000 voti, meno della metà. Agli occhi degli analisti del dipartimento di Stato la sconfitta mostrava come la strategia di De Gasperi di governare con le sinistre, cercando di mantenerle in posizione secondaria, avesse finito per alienare al suo partito i consensi dei settori della destra. Il 2 dicembre il capo dell’Ufficio Affari Europei Hickerson inviò un memorandum al dipartimento di Stato per fare un’analisi della situazione creatasi dopo le elezioni amministrative: “Come sapete, le recenti elezioni municipali in Italia hanno mostrato impressionanti guadagni dei Comunisti alle spese dei moderati cristianodemocratici. Questi guadagni riflettono il successo dei costanti attacchi comunisti contro De Gasperi e le potenze occidentali”. <316 Nel memorandum il responsabile per gli Affari Europei continuava poi osservando come la strategia dei comunisti fosse quella di screditare De Gasperi, allo scopo di formare un nuovo governo più spostato a sinistra, e come essi non aspettassero altro che un fallimento del premier DC su qualche questione per poterlo attaccare apertamente. Dunque sollecitava il dipartimento a prendere misure concrete per sostenere il leader democristiano, altrimenti il rischio che l’Italia diventasse un paese comunista sarebbe diventato eccessivamente alto.
[NOTE]
302 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma a firma di Stone per il G-5, presso l’AFHQ, datato 5 giugno 1946.
303 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma segreto del console generale americano a Firenze datato 18 novembre 1946.
304 NARA, RG 165, Entry 421, Box 87, relazione del Joint Chiefs of Staff intitolata “Use of Italian Army in Event of Hostilities in Northern Italy”, datata 25 luglio 1946.
305 Ivi.
306 A. Offner, Another Such Victory, cit., pp. 170-171.
307 NARA, RG 165, Entry 421, Box 88, direttiva top-secret del Joint Chiefs of Staff, datata 25 agosto 1946.
308 NARA, RG 165, Entry 421, Box 88, memorandum dell’U.S. Chiefs of Staff datato 29 agosto 1946.
309 NARA, RG 84, Entry 2790, Box 3, rapporto del Chiefs of Staff Committee datato 11 settembre 1946, intitolato “Appreciation of the Available Reinforcement for the Yugoslav Forces in North-West Yugoslavia”.
310 Ivi.
311 Cfr. M. Leffler, A Preponderance of Power, cit., pp. 130-138.
312 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma di Key per il segretario di Stato intitolato “Evaluation of Italian Government by a Military Intelligence Agency”, datato 22 novembre 1946.
313 Ibidem, rapporto del CIC allegato al dispaccio di Key del 22 novembre.
314 Ivi.
315 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma segreto del dipartimento di Stato a firma di Byrnes per lo Chargé d’Affaires Key, datato 29 novembre 1946.
316 FRUS, 1946, vol. V Italy, cit., p. 948, Memorandum segreto inviato dal direttore dell’Ufficio Affari Europei Hickerson al Dipartimento di Stato il 2 dicembre 1946.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno accademico 2009-2010

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La Osoppo e il MACI sono da ritenersi le principali strutture segrete anticomuniste a carattere armato sorte in Italia prima del 1956

Se il compito essenziale di Gladio era quello di attuare: “attività di informazione, infiltrazione/esfiltrazione, propaganda, guerriglia, sabotaggio in parti del territorio occupate dal nemico” <16, siamo oggi in possesso di numerosi documenti che testimoniano come fin dal 1945 nel territorio italiano nacquero una molteplicità di organizzazioni che si erano fatte carico degli stessi identici compiti che in quel 1956 vennero assegnati a Gladio. Il 26 novembre 1956 (giorno del varo ufficiale della Stay Behind italiana) in sostanza, non segnò la data di nascita di un servizio parallelo a quello ufficiale quale mai l’Italia aveva conosciuto, ma di una sorta di riorganizzazione di tutte quelle strutture nate per essere in grado di reagire ad una aggressione straniera ed operanti fin dall’immediato dopoguerra.
In base ai documenti oggi disponibili è inoltre possibile dimostrare che le radici profonde di tali strutture risalgono ad un momento storico ancora precedente e precisamente al periodo che fece seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943. Fu infatti durante le settimane successive a tale data che i neonati servizi segreti del governo di Brindisi ritennero che, nell’ottica della guerra all’invasore nazista, costituisse un supporto di grande importanza riuscire a creare una rete clandestina in grado di operare al di là del fronte nemico e capace di porsi in sinergia con le nascenti formazioni partigiane. Alcuni degli uomini che in quegli anni operarono all’interno dei servizi segreti del governo Badoglio, adoperandosi nel sostenere la guerra dietro le linee dell’esercito di invasione nazista, li ritroveremo poi nel dopoguerra tra gli artefici della creazione di strutture paramilitari occulte in funzione anticomunista ed infine anche dentro la stessa Gladio.
Nell’indagare sulle origini di Gladio si dovrà perciò partire dai convulsi e concitati giorni post-armistizio, quando la nuova intelligence al servizio del Governo del Sud, valutò positivamente l’idea secondo la quale, accanto alle Forze Armate regolari, dovessero operare bande di “irregolari”, capaci di agire contro il nemico mettendo in atto forme di guerriglia e sabotaggio. L’attenzione dovrà poi essere rivolta al cruciale momento del passaggio dalle prime strutture segrete sorte in funzione antinazista a quelle che, nell’immediato dopoguerra, cominciarono ad operare in funzione anticomunista e per far questo sarà necessario soffermarsi in modo particolare su quanto accadde in una precisa regione geografica, il Friuli Venezia Giulia. E’ qui infatti che si possono trovare i presupposti, tanto politico-ideologici quanto operativi, delle formazioni Stay Behind anticomuniste, le cui radici affondano nel drammatico ed insanabile contrasto che, a partire dall’autunno del 1944, si venne a creare dentro alla Resistenza friulana fra i partigiani comunisti filo-titini delle Brigate Garibaldi e i “partigiani bianchi” che militavano nella Brigata cattolica Osoppo.
Queste primordiali strutture, nate in modo pressoché spontaneo fin dai primi giorni dell’estate del 1945 per volontà di quegli osovani che erano decisi a difendere il Friuli dal pericolo di aggressione titina, ricevettero ben presto un decisivo supporto “istituzionale” da parte dei massimi vertici politici e militari della nuova Italia democratica, i quali garantirono agli osovani finanziamenti, armi, nonché la possibilità di essere addestrati alla tecniche di guerriglia e sabotaggio sotto l’egida di ufficiali dell’Esercito americano. Ad inizio 1947 così, una volta aumentata la consistenza numerica ed affinato l’addestramento, da queste embrionali organizzazioni segrete potè nascere la più importante struttura di tipo Stay Behind sorta in Italia prima del 1956, ovvero la “Osoppo-Organizzazione O”, la cui vicenda dovrà essere seguita con particolare attenzione, poiché essa a tutti gli effetti può essere considerata la vera e propria progenitrice di Gladio, all’interno della quale andò a costituire la branca principale.
Se il Friuli fu indiscutibilmente il “laboratorio” in cui vennero sperimentate e portate a compimento le principali entità prodromiche a Gladio, nel corso degli anni quaranta anche in altre zone dell’Italia settentrionale numerosi partigiani cattolici e liberali, una volta conclusa la lotta contro il nazifascismo, rimasero in armi ed entrarono a far parte di strutture segrete create in funzione anticomunista. Di assoluta rilevanza da questo punto di vista fu il ruolo giocato nell’area lombarda da una organizzazione denominata: “Movimento Avanguardista Cattolico Italiano” (MACI), originariamente fondata nel 1919 per iniziativa dell’allora arcivescovo di Milano, Monsignor Andrea Ferrari. Sotto il fascismo però, il MACI era stato costretto a sciogliersi e soltanto nel novembre 1945, per espressa volontà del cardinale Ildefonso Schuster e della curia milanese, esso rivide la luce. Ufficialmente si trattava di una organizzazione impegnata nella difesa del cattolicesimo e dei valori cristiani e che alle elezioni politiche dell’aprile 1948, di concerto con i “celebri” Comitati Civici di Luigi Gedda, si distinse per il grande zelo propagandistico profuso in favore dei candidati democristiani in Lombardia e Piemonte. Accanto a questo suo ruolo pubblico tuttavia, il MACI fin dai primi anni post-bellici aveva sviluppato una vera e propria attività sotterranea attraverso la creazione di una struttura segreta, che fu posta sotto il “comando” di un ex partigiano bianco di nome Pietro Cattaneo ed i cui compiti essenziali erano quelli di sorvegliare il “nemico comunista”, cercare di scoprirne eventuali piani insurrezionali per essere pronti a reagire qualora fossero stati messi in atto. A Milano vi era il “comando centrale” di tale struttura, alla quale facevano capo numerose cellule dislocate in quasi tutte le provincie lombarde le quali, disponendo di infiltrati sia nelle sezioni comuniste, sia in vari luoghi di lavoro, tenevano costantemente informato Cattaneo su ogni possibile “azione sovversiva” dei comunisti. Il MACI non può essere “tout court” definito una organizzazione di tipo Stay Behind, poiché le sue caratteristiche erano più consone a quelle di una sorta di servizio segreto parallelo capace di avere un capillare controllo del territorio al fine di prevenire eventuali atti ostili del “nemico”. Tuttavia, anch’esso disponeva di una dimensione prettamente militare e la assoluta maggioranza dei suoi componenti erano ex partigiani anticomunisti pronti a riprendere le armi (molte delle quali vennero occultate anche nelle sacrestie) qualora ciò servisse ad impedire che in Italia si affermasse un regime di tipo sovietico. Rispetto a quella della “Osoppo-Organizzazione O” e di Gladio, la vicenda del MACI è molto meno nota, eppure la sua importanza deve essere considerata assoluta in quanto tale struttura, come si vedrà, aveva come diretti referenti sia la Democrazia Cristiana, sia le più alte autorità ecclesiastiche. Di enorme interesse da questo punto di vista appare una missiva riservata che nel 1948 l’allora segretario provinciale della DC milanese, Vincenzo Sangalli, inviò a Pietro Cattaneo, e nella quale era scritto che la DC riconosceva proprio il MACI quale unica organizzazione armata legittimata ad agire in suo nome.
Per consistenza numerica e diffusione nel territorio, la Osoppo e il MACI sono da ritenersi le principali strutture segrete anticomuniste a carattere armato sorte in Italia prima del 1956. Se della Osoppo è certa la continuità con Gladio, la stessa cosa non la si può affermare con sicurezza per quanto riguarda il MACI, anche se non sembra essere un caso che gli ultimi documenti in cui si parla dell’esistenza di tale rete militare cattolica siano risalenti alla metà degli anni cinquanta. Dal 1956 in poi infatti, della organizzazione militare del MACI non si hanno più notizie ed è perciò verosimile ipotizzare che anch’essa, come la Osoppo, sia stata sciolta all’atto della nascita di Stay Behind, avvenuta nel novembre di quell’anno.
Nella ricostruzione della storia di Gladio e delle strutture ad essa prodromiche c’è infine un altro importante aspetto che deve essere affrontato ed è quello relativo ai supposti “misteri” ed alle presunte trame oscure che ancora oggi graverebbero intorno all’esistenza di tali entità. Sebbene infatti Stay Behind in sede giudiziaria sia stata assolta, è oggettivamente da riconoscere, senza per questo fare della facile dietrologia, che la sua vicenda presenta ancora svariati nodi da sciogliere. Si renderà quindi necessario cercare di rispondere anche ad alcuni cruciali quesiti quali, tra gli altri, quello relativo alle eventuali collusioni fra le suddette strutture e il neofascismo, sui possibili sconfinamenti nell’illegalità di cui alcuni elementi ad esse organici potrebbero essersi resi responsabili, nonché all’interrogativo, che come vedremo è verosimilmente quello di maggiore rilevanza, se davvero oggi conosciamo per intero la storia delle organizzazioni Stay Behind o se in realtà non vi sia un altro livello, parallelo alla stessa Gladio, che non è ancora venuto alla luce. Al tempo stesso però, allorchè verranno affrontate tali questioni, sarà fondamentale ricordare che Gladio (così come le organizzazioni ad essa affini) è uscita totalmente assolta da ogni procedimento penale. Se è quindi pur vero che permangono zone d’ombra ed aspetti non ancora perfettamente chiariti, è tuttavia imprescindibile avere presente quella che è ad oggi la verità giudiziaria. Questo non significa ovviamente che essa sia di riflesso una verità in senso assoluto, ma non si può non tenere conto che, secondo la magistratura, una prova concreta ed inconfutabile di un coinvolgimento di Gladio in atti di tipo eversivo non è mai emersa.
Fino a questo momento si è avuto modo di parlare di strutture anticomuniste, ma c’è un altro tema la cui conoscenza si deve considerare una integrazione essenziale ai fini di redigere una ricostruzione realmente completa della storia delle organizzazioni segrete a carattere paramilitare presenti sul territorio italiano dal dopoguerra in poi. Se è infatti indiscutibile che fin dal 1945 in Italia nacquero una molteplicità di formazioni armate “nemiche” del PCI e la cui esistenza era ignota non solo all’opinione pubblica, ma anche a gran parte del Parlamento, è oggi altrettanto dimostrato che in quegli stessi anni anche il Partito Comunista Italiano possedeva una sua organizzazione militare segreta.
Si trattava di quella che, con una dicitura impropria ma divenuta ormai di uso comune, è stata chiamata “la Gladio Rossa” <17. Questo termine fu usato per la prima volta nel maggio 1991 in una inchiesta del settimanale l’Europeo firmata dai giornalisti Romano Cantore e Vittorio Scutti, i quali, basandosi in gran parte su quanto loro dichiarato da un ex dirigente toscano del PCI di nome Siro Cocchi, “rivelarono” che per anni, a partire dal 1945, era esistito un apparato militare facente capo al PCI e che di fatto avrebbe costituito una sorta di “contraltare” di Gladio. La “Gladio Rossa” sarebbe infatti stata una specie di quinta colonna dei paesi comunisti dislocata in Italia ed essa, in caso di invasione del territorio italiano da parte di truppe sovietiche, avrebbe dovuto operare in loro favore, agendo attraverso forme di guerriglia da attuare contro gli Eserciti Alleati. Sebbene la descrizione che la suddetta inchiesta giornalistica fornì di tale struttura armata fosse oggettivamente piuttosto generica, quell’articolo dell’Europeo ebbe un effetto dirompente, poiché pochi giorni dopo la sua pubblicazione, la Procura di Roma decise di aprire un fascicolo di indagine in relazione alla presunta esistenza di una organizzazione paramilitare organica al PCI, sui suoi possibili collegamenti coi paesi del blocco sovietico e su suoi eventuali piani insurrezionali. Fu così che ebbe inizio l’inchiesta su quella che da quel momento si cominciò a chiamare convenzionalmente “la Gladio Rossa”. Dopo che nei mesi precedenti il dibattito politico era stato in gran parte monopolizzato dal caso di Stay Behind e dalle dure invettive che “da sinistra” vennero rivolte alla Democrazia Cristiana, colpevole, si disse, di aver dato copertura ad una struttura eversiva, nelle settimane seguenti a quel maggio 1991, a finire sul “banco degli imputati” furono gli ex comunisti, a loro volta accusati di aver strumentalmente utilizzato l’esistenza di Gladio per dare una falsa immagine della storia d’Italia. Proprio la vicenda della “Gladio Rossa”, fu allora detto, dimostrava quanto fossero fasulle le ricostruzioni storiche che fino a quel momento erano comparse nella “stampa progressista” e che avevano descritto il PCI quale partito che mai deflettè dal rispetto della Costituzione e dei valori democratici, cui dall’altra parte si sarebbe invece opposta una DC asservita agli interessi americani e con loro complice di qualunque artificio pur di non mandare al potere i comunisti <18.
[NOTE]
16 SRACS, Relazione Andreotti, cit., pag. 5.
17 Ovviamente la struttura militare del PCI non si chiamò mai Gladio Rossa, che è solo un nome che si cominciò ad usare nei primi anni novanta (quando uscirono i primi documenti attestanti l’esistenza di tale struttura) per analogia con l’altra Gladio, quella anticomunista.
18 A distinguersi in modo particolare in questa campagna di stampa tesa a “rivalutare” Gladio e ad accusare i post-comunisti di strumentalità politica, fu soprattutto il Giornale all’epoca diretto da Indro Montanelli. Rievocando quei giorni, Montanelli ha scritto: “Gladio divenne un’arma preziosa per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dallo sfascio dell’ideologia e dei partiti comunisti e per avvalorare la tesi che l’Italia fosse vissuta in una falsa democrazia, viziata da presenze poliziesche, autoritarie e golpiste (….) con il risultato che unico partito rispettabile, in tanto sfascio, rimaneva il PCI poi divenuto PDS, sconfitto dalla storia recente; ma che si pretese fosse rivalutato, grazie ad un’abile operazione trasformistica (…)” (I. Montanelli, M.Cervi, L’Italia degli anni di piombo, in Storia d’Italia, Vol. XI, RCS Libri, Milano 2004, pag. 39).
Giacomo Pacini, Le organizzazioni paramilitari segrete nell’Italia Repubblicana (1945-1991), Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2005-2006

Nel 2001 Gianni Donno, docente di storia contemporanea all’Università di Lecce e consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, ha pubblicato una corposa raccolta di documenti, corredata da brevi commenti, riguardanti la cosiddetta «Gladio rossa», ossia la presunta struttura paramilitare del Pci che avrebbe avuto non scopi difensivi, ma rivoluzionari ed offensivi in vista del ribaltamento dello Stato democratico [cfr. G. Donno, La Gladio rossa del Pci (1945-1967), Rubbettino, Soveria Mannelli 2001]. La credibilità dell’impianto del volume, stante anche l’impostazione fieramente anticomunista dell’autore (che giunge a suggerire dei fili di collegamento non solo culturale e politico ma persino organizzativo tra il Pci e le Brigate rosse), è tuttavia, a mio avviso, piuttosto dubbia. Donno, infatti, si basa su pochi documenti, spesso provenienti dal Sifar o da altre fonti informative – non meglio identificate – del ministero dell’Interno: gli stessi estensori delle relazioni, del resto, usano il tempo condizionale nei loro scritti, incerti dell’attendibilità delle fonti e, in almeno un caso, è lo stesso ministro Tambroni a commentare la nota come generica e quindi inutile. Per non parlare, poi, della ventilata esistenza di un «archivio segreto del Pci», di cui Donno parla per pagine senza avere prove (Ivi, pp. 67-72).
Ilenia Rossini, Conflittualità sociale, violenza politica e collettiva e gestione dell’ordine pubblico a Roma (luglio 1948-luglio 1960), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 2014-2015

Sono necessarie due premesse: la prima nel merito e la seconda nel metodo. Innanzitutto è verosimile che il Pci disponesse di una solida tradizione in attività di intelligence, variamente definite come riservate o addirittura paramilitari, volte a tutelare il partito nel teso clima del secondo dopoguerra <1222.
1222 Maurizio Caprara, Lavoro riservato: i cassetti segreti del Pci, Feltrinelli, Milano 1997. Si veda anche il lavoro storico, ma attraversato dalle ragioni della polemica politica, di Carmelo Giovanni Donno, La “Gladio rossa” del Pci 1945-1967, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001.
Andrea Tanturli, La parabola di Prima linea. Violenza politica e lotta armata nella crisi italiana (1974-1979), Tesi di dottorato, Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”, Anno Accademico 2016-2017

Praticamente una fotografia della situazione italiana in quegli anni con un partito Comunista cosciente di essere destinato ad un’eterna opposizione per le probabili conseguenze golpiste di un’eventuale salita al potere, come anche del diffuso e sottaciuto italico sentimento di indipendenza dall’Occidente e dall’Oriente che avrebbe impedito o reso difficile qualunque invasione. Infatti anche la famosa “Gladio Rossa”, che avrebbe teoricamente contato su migliaia di individui, è ampiamente infiltrata dai servizi segreti delle Forze Armate <272.
272 Pelizzaro G.P., Gladio Rossa, edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1997
F. Marco Valli, Strategia, strateghi e pop culture nella guerra fredda: da Hiroshima alla Luna (1945-1969), Tesi di dottorato, Sapienza Università di Roma, Anno Accademico 2020-2021

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Crollo dell’URSS e Guerra del Golfo

Fin dai primi anni ‘70 il sistema comunista dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche entra in una crisi che diverrà irreversibile <1. Tra le maggiori cause troviamo lo “shock petrolifero” del 1973, che comprometterà seriamente anche le economie dell’Est, producendo un grave deterioramento dell’aspettativa di vita, già di per sé modesta. Politici e commentatori occidentali confermarono che il sistema economico comunista si rivelò “disastrosamente inefficiente <2”: l’industria e l’agricoltura convivevano la stessa tragica situazione e si era costretti ad importare beni alimentari dall’estero, ma a prezzi crescenti dato l’effetto della “stagflazione” di quegli anni. I beni di prima necessità poi divennero un inglorioso trofeo dopo ore e ore di attesa in fila fuori dai negozi, per chi aveva la fortuna di trovarne ancora. Il disagio complessivo era accentuato dall’invasione militare sovietica dell’Afghanistan nel 1979 <3, pianificata per appoggiare il partito comunista che l’anno precedente aveva preso il controllo del paese con un colpo di Stato ma che successivamente si ritrovò minacciato dai mujaheddin, i guerriglieri musulmani locali, largamente finanziati dagli USA. Presto la guerra si rivelò la “Vietnam dell’URSS <”4, in quanto i sovietici, nonostante la massiccia presenza armata palesemente superiore, non riusciranno ad imporsi sui guerriglieri islamici. Le truppe dell’Armata Rossa si ritirarono definitivamente nel 1989. Nel frattempo, la situazione interna stava precipitando: a Danzica, in Polonia, degli operai avevano creato un sindacato libero di ispirazione non comunista, il “Solidarność” (“Solidarietà”) <5, che ebbe presto il sostegno della Chiesa Cattolica polacca e poi una risonanza internazionale grazie a Papa Giovanni Paolo II, Karol Józef Wojtyła, ex Arcivescovo di Cracovia.
Il sistema sovietico venne “salvato” dalla crisi con la nomina, nel 1985, di Michail Gorbačëv come nuovo segretario del Partito Comunista (PCUS). Egli era convinto che solo una liberalizzazione economica e politica potesse scongiurare il crollo dell’URSS. Il leader divenne famoso, infatti, per le due “parole d’ordine” del suo programma politico: “Glasnost” e “Perestroika” <6. La prima, che significa “trasparenza”, era stata lanciata nel 1986 e alludeva ad una serie di misure rivolte a limitare la censura e rendere relativamente criticabili le decisioni politiche di governo. Ma l’anno sopra citato ricorda inevitabilmente il terribile incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, che provocò vittime e danni ambientali devastanti anche al di fuori dell’Unione Sovietica, con nubi tossiche in tutta l’Europa centrale, oltre che rendere noto a tutto il mondo le scarse misure di sicurezza e i già accennati obsoleti stabilimenti industriali del paese dei Soviet. Proprio per questo motivo entrò in scena la seconda parola, “Perestroika” (“ristrutturazione”), che è forse la più famosa dichiarata da Gorbačëv, puntando ad un radicale rinnovamento del sistema economico sovietico, con l’introduzione di innovazioni tecnologiche e attraverso il miglioramento della qualità degli impianti. Dopo l’approvazione, nel 1988, di una nuova Costituzione, nel marzo del 1990 Michail Gorbačëv viene eletto dal Congresso Presidente dell’Unione Sovietica <7, ma questo sarà solo l’inizio della fine, dato che la libertà di discussione aveva rilanciato il nazionalismo all’interno dell’URSS, soprattutto nelle repubbliche periferiche, che chiedevano l’autonomia se non addirittura l’indipendenza. Nel giugno del 1991 i riformisti di Boris Eltsin vinsero le elezioni della Repubblica russa, battendo i sostenitori di Gorbačëv <8. L’ala più conservatrice del governo tentò un colpo di Stato, che però fallì dopo la proclamazione di stato d’assedio e la deposizione di Gorbačëv. Boris Eltsin divenne il “nuovo paladino” contro il vecchio mondo comunista in rovina, facendo sciogliere il Partito Comunista (PCUS) e la famigerata polizia segreta del KGB. Nel frattempo, l’URSS si stava dissolvendo definitivamente: Russia, Ucraina e Bielorussia proclamarono la loro indipendenza, seguite da Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Moldavia, Polonia, Georgia e molti altri paesi. Il trionfo delle istituzioni democratiche post-Unione Sovietica, nate nella maggior parte dei casi in modo pacifico e incruento, segnarono l’inefficienza, l’ipocrisia e l’ingiustizia dell’intero sistema comunista, che implose insieme a tutto il blocco Est dopo aver minacciato l’Occidente per oltre 50 anni, facendo finire ufficialmente la Guerra Fredda <9.
Parallelamente, in Medio Oriente vi fu una svolta. L’Iran, che fino al febbraio del 1979 aveva un governo autoritario guidato dallo Shah (imperatore) Reza Pahlavi, subì e un radicale cambiamento con la cosiddetta “Rivoluzione islamica”, avvenuta in corrispondenza all’arrivo trionfale dello Ayatollah (una delle massime autorità religiose sciite) Ruhollah Khomeini, un leader carismatico che fece diventare l’Iran una Repubblica islamica, fondata sul predominio politico ed etico di una élite religiosa <10. La nascita di uno stato islamico non era tuttavia gradita dal mondo musulmano, dopo il lungo processo della decolonizzazione, che ha visto nascere nuovi stati guidati da politici e militari. In particolare, l’Iraq di Saddam Hussein <11 (paese in maggioranza sunnita) era particolarmente contrario alle politiche sciite di Khomeini, temendo che la minoranza irachena potesse ribellarsi vedendone l’esempio iraniano. Allora nel 1980 Hussein attacca militarmente l’Iran; nonostante il principale obiettivo di rafforzare la coesione del popolo iracheno, egli voleva anche impadronirsi dei pozzi petroliferi iraniani. Ma l’offensiva si trasformò in 8 lunghi anni di guerra, nei quali non ci furono vincitori o vinti, ritornando ai confini pre-conflitto. Saddam Hussein spostò la sua attenzione su un obiettivo geograficamente più modesto ma qualitativamente migliore: il Kuwait <12. Paese con 600 mila abitanti, piccolo ma ricchissimo grazie ai numerosi pozzi petroliferi nella zona. Il 2 agosto 1990 l’esercito iracheno invase il Kuwait <13, prospettandosi un’azione rapida e vittoriosa. Ma l’iniziativa suscitò invece una violentissima reazione internazionale, facendo credere che la minaccia potesse allargarsi all’intera Penisola araba. Le Nazioni Unite, con la Risoluzione 660, ordinarono l’immediato e incondizionato ritiro di tutte le forze irachene sulle posizioni che occupavano in Kuwait <14. Nel frattempo, l’8 agosto, gli Stati Uniti inviarono un loro corpo di spedizione in Arabia Saudita, pronto ad intervenire in Kuwait. Divenuta inutile la via diplomatica, l’ONU, con l’appoggio dell’URSS di Gorbačëv, autorizzò l’intervento militare di un corpo di spedizione multinazionale (truppe britanniche, francesi e in parte anche italiane), guidato dagli USA, per bloccare l’offensiva di Saddam Hussein <15. Iniziò ufficialmente la Guerra del Golfo, con pesanti bombardamenti aerei da parte delle Nazioni Unite e contrattacchi iracheni, che bombardarono anche l’Arabia Saudita ed Israele. Il 17 gennaio 1991 venne attuata, nella notte, l’imponente operazione “Desert Storm” da parte della spedizione multinazionale, che mandò in rotta le truppe di Saddam Hussein <16. Nel mese di febbraio l’Iraq fu ufficialmente sconfitto, ma l’Occidente, in particolare gli USA di George Bush Sr, si trattenne dall’invadere il territorio iracheno, dato che se il governo sunnita di Hussein fosse caduto, la minoranza sciita avrebbe potuto prendere il potere ed instaurare un altro stato islamico come l’Iran <17.
Rimaneva il fatto che gli Stati Uniti d’America, dopo la vittoria in Iraq e il definitivo crollo dell’Unione Sovietica -e in generale quello di tutto il blocco dell’Est-, si confermarono come superpotenza dominante sulla scena mondiale. La guerra tornerà però in Europa, con lo sgretolamento della Repubblica Federale Jugoslava tra il 1989 e il 1991 <18, dal quale nasceranno pacificamente la Slovenia, la Croazia e la Macedonia. Ma il conflitto inizierà quando, nel 1992, toccherà alla Bosnia, paese formato da più etnie e soprattutto fedi religiose diverse. Principalmente la controversia, che diverrà violenta, è tra bosniaci (musulmani), serbi (ortodossi) e croati (cattolici) per la scelta della religione dello stato nascente <19. Scoppierà una sanguinosissima guerra, che si concluderà solo nel 1995, con un accordo di pace che farà costituire lo Stato unitario di Bosnia-Erzegovina, articolato però in due unità statali tra loro distinte: la Federazione Croato-Musulmana e la Repubblica Serba. Quest’ultima avrà ulteriori problemi e conflitti in seguito, sulla questione del Kosovo <20.
[NOTE]
1 Banti Alberto Mario, L’età contemporanea: dalla grande guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 389.
2 Idem, p. 389.
3 Idem, p. 390.
4 Idem, p. 390.
5 Idem, p. 390.
6 Banti Alberto Mario, L’età contemporanea: dalla grande guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 391.
7 Idem, p. 391.
8 Idem, p. 392.
9 Banti Alberto Mario, L’età contemporanea: dalla grande guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 392.
10 Idem, p. 455.
11 Idem, p. 456.
12 Idem, p. 456.
13 Varsori Antonio, L’Italia e la fine della guerra fredda: la politica estera dei governi Andreotti (1989-1992), Bologna, il Mulino, 2013, p. 54.
14 Ganser Daniele et al., Gli eserciti segreti della Nato: operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Roma, Fazi, 2005, p. 23.
15 Banti Alberto Mario, L’età contemporanea: dalla grande guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 457.
16 Varsori Antonio, L’Italia e la fine della guerra fredda: la politica estera dei governi Andreotti (1989-1992), Bologna, il Mulino, 2013, p. 83.
17 Banti Alberto Mario, L’età contemporanea: dalla grande guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 457.
18 Varsori Antonio, L’Italia e la fine della guerra fredda: la politica estera dei governi Andreotti (1989-1992), Bologna, il Mulino, 2013, p. 130.
19 Banti Alberto Mario, L’età contemporanea: dalla grande guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 396.
20 Banti Alberto Mario, L’età contemporanea: dalla grande guerra a oggi, Bari, Laterza, 2009, p. 397.
Daniele Pistolato, “Operazione Gladio”. L’esercito segreto della Nato e l’Estremismo Nero, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2023-2024

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1946: fobie statunitensi circa l’Italia

L’arrivo dell’estate [1946] riportò il problema delle frontiere con la Yugoslavia alla ribalta delle questioni internazionali. La possibilità di un’imminente invasione della Venezia-Giulia da parte dell’esercito di Tito divenne l’argomento principale delle riunioni dei vertici militari americani in Italia e a Washington. A partire da luglio il comandante supremo alleato nel Mediterraneo, il generale Morgan, aveva proposto al Joint Chief of Staff statunitense la “partecipazione dell’esercito italiano nell’eventualità di ostilità con la Yugoslavia nell’Italia settentrionale”. La commissione congiunta tra dipartimento di Stato, il ministero della Guerra e il ministero della Marina, recentemente creata su ordine di Truman, prendendo una posizione ancora più apertamente ostile nei confronti degli yugoslavi rispetto a quella espressa dai comandi britannici in proposito, si dichiarò a favore dell’utilizzo dei reparti italiani “nell’eventualità di un attacco generale yugoslavo”, proprio in considerazione delle stesse “finalità politiche evidenziate dal comandante supremo per il Mediterraneo”, relative alle ricadute positive in termini di immagine del nuovo governo De Gasperi sull’opinione pubblica italiana <304. Pertanto, stabiliva la Commissione, il Sacmed (comando supremo alleato per il Mediterraneo) era autorizzato ad utilizzare tutte le forze italiane disponibili, in caso di attacco da parte di Tito. Inoltre, “al recente incontro del Consiglio dei ministri degli esteri a Parigi – si legge nel documento – il segretario di Stato e il ministro degli Esteri britannico si sono accordati informalmente sulla sostanza delle istruzioni proposte sopra” <305. La situazione al confine giuliano si aggravò nel mese di agosto: il 10 e il 19 agosto aerei da combattimento yugoslavi attaccarono aerei da trasporto statunitensi, abbattendoli ed uccidendo l’equipaggio, poiché avevano violato lo spazio aereo nazionale. La reazione dei militari americani fu di estrema indignazione, soprattutto perché, come sottolineato da Offner, “essi vedevano il maresciallo Tito (…) come una maschera per l’espansione sovietica” <306. Il 25 agosto una direttiva del Joint Chiefs of Staff statunitense ordinava al generale Morgan di “prepararsi per un attacco generale organizzato yugoslavo”: nei suoi piani avrebbe dovuto “includere l’utilizzo di tutte le forze presenti in Italia”, che avrebbero dovuto essere rese “disponibili per le operazioni”. Tutte le obiezioni britanniche all’utilizzo dell’esercito italiano in funzioni attive inoltre, informava il Joint Chiefs of Staff, erano state rimosse in seguito alla discussione del tema con il dipartimento di Stato, che aveva insistito sul punto proprio “in considerazione dell’attuale attitudine yugoslava, esemplificata dall’abbattimento dei velivoli statunitensi e dalla serie di incidenti che hanno coinvolto le truppe di terra e le manifestazioni organizzate” <307. Il 29 agosto un memorandum del Pentagono ribadiva: “L’U.S. Chiefs of Staff ritiene fortemente, e il dipartimento di Stato concorda con questo, che nell’eventualità dell’aggressione yugoslava il Comandante Supremo Alleato per il Mediterraneo dovrebbe essere autorizzato ad utilizzare ogni forza militare che possa essere fisicamente disponibile per il compimento della sua missione” <308. L’11 settembre la Chiefs of Staff Committee avvisava con urgenza l’AFHQ di un considerevole rinforzo delle truppe yugoslave al confine con l’Italia, segno della possibilità di realizzazione di un imminente attacco da parte delle forze di Tito. Nel documento redatto dalla commissione si analizzavano le probabili modalità di attacco da parte della Yugoslavia, sottolineando che “le forze aeree yugoslave avrebbero probabilmente una parte di rilievo nelle prime fasi di qualsiasi tipo di operazione gli yugoslavi possano intraprendere contro inglesi e americani” <309. Si tratta di un documento interessante, che mostra la percezione statunitense della minaccia russo-yugoslava di un’invasione dell’Italia, per lo meno della Venezia-Giulia. Il rapporto infatti sottolineava la sicura partecipazione di divisioni sovietiche nel preventivato attacco yugoslavo: “La Russia in ogni circostanza garantirebbe tutta la possibile copertura d’aiuto alla Yugoslavia, probabilmente nella forma di truppe M.V.D.” <310.
L’arrivo del rapporto Clifford-Elsey, il 24 settembre, segnò un altro momento cruciale nella considerazione statunitense della penisola. Le ottantadue pagine del “Russian report”, prodotte su ordine di Truman dai due assistenti alla Casa Bianca, vertevano interamente sui piani di espansione preparati dai sovietici, che a giudizio dei due analisti americani si concentravano proprio sull’ottenimento di un’influenza nell’Europa occidentale: in particolar modo l’obiettivo sovietico si focalizzava sull’Italia, che avrebbe dovuto essere portata sotto l’ombrello sovietico tramite l’azione del partito comunista, e sulla ricerca di un controllo della Grecia, da attuare attraverso l’instaurazione di un governo simile in tutto ai regimi imposti nell’Europa dell’Est <311.
I rapporti provenienti dalla penisola delineavano un crescente pericolo per la stabilità del governo, e soprattutto per la potenziale crescita politica del blocco social-comunista che minacciava di portare legalmente l’Italia fuori dall’ambito atlantico. La percezione statunitense della situazione si concentrava sul rafforzamento dei due partiti della sinistra a danno della Dc, che avrebbe potuto provocare lo scivolamento del paese verso un governo guidato dal Pci e quindi verso un orientamento in politica estera favorevole al blocco sovietico. Il 22 novembre Key inviò un una sorta di avvertimento ai vertici di Washington: la situazione nella penisola si deteriorava ogni giorno di più, e la possibilità di garantire un governo stabile così come la permanenza della presidenza del Consiglio nelle mani di De Gasperi erano a rischio. L’incaricato d’affari presso l’ambasciata di Roma riferiva con preoccupazione i continui “tentativi di screditare il governo” da parte “del partito comunista, sebbene partecipi ad esso” <312. De Gasperi inoltre, riferiva Key, aveva “definitivamente perso la speranza di ottenere una genuina collaborazione inter-partito”, a causa della volontà dei due partiti dell’ala sinistra di provocare uno stravolgimento degli equilibri politici. Il rapporto del CIC, il servizio di controspionaggio militare dell’AFHQ, allegato al telegramma di Key per Byrnes illumina chiaramente la percezione statunitense della prospettiva politica del paese. Il risultato dell’analisi del vertice del servizio segreto militare gettava un’ombra scura sulle possibilità del paese di mantenere un assetto democratico senza essere risucchiato nell’orbita sovietica tramite l’instaurazione di un governo dominato dai comunisti filo-Urss, come nei paesi dell’Europa orientale, o tramite lo scoppio di una guerra civile, come gli avvenimenti greci stavano mostrando proprio in quelle settimane. “L’obiettivo delle sinistre [Leftists] è di forzare la nazione in convulsioni interne provocate dall’insicurezza sociale ed economica, e allo stesso tempo di accreditare la responsabilità al programma dei democristiani, ed eventualmente costringerli a lasciare la posizione di maggior partito all’interno del governo” <313. In linea con l’interpretazione circolante all’interno dell’amministrazione Truman circa i veri obiettivi del partito di Togliatti, l’analisi del Cic evidenziava l’eterodirezione operata sul Pci da parte di potenze straniere: “il programma del partito è stato deciso fuori dalla sfera nazionale”, sottolineava il rapporto. “Nel frattempo, le sinistre organizzano l’opposizione [alla D.C.] tramite la propaganda, l’agitazione sindacale e la provocazione dei gruppi economicamente insicuri”, e tuttavia, a causa del forte radicamento nel tessuto sociale, economico e produttivo del paese di Pci e Psi non era possibile provocare un’espulsione dal governo di alcuna delle due forze politiche, opzione che da quanto espresso nel rapporto era stata chiaramente presa in considerazione a Washington. “I comunisti e i socialisti sono fortemente impiantati non solo nel governo, ma sono ben radicati in gran parte degli strati sociali e produttivi del paese. (…) Per questa ragione, eliminare un importante partito dal governo, sarebbe un invito ad attivare opposizione e sabotaggio politico-economico. Ciò è particolarmente vero relativamente ai comunisti” <314.
Pochi giorni più tardi il segretario di Stato in persona ritenne opportuno concentrare l’azione del suo dipartimento sui segnali sempre più preoccupanti che arrivavano relativamente alla situazione italiana: un’agenzia del governo aveva infatti sottolineato una nuova attività in corso tra il partito comunista e l’ambasciata sovietica, foriera di nuove indicazioni provenienti da Stalin per l’azione del Pci. L’ipotesi di un’azione insurrezionale era fortemente presa in considerazione da Byrnes, che decise di mettere in allerta l’ambasciata a Roma: “Il segretario di Stato – si legge nel telegramma inviato da Byrnes a Key – inoltra per informazione dell’incaricato d’affari un rapporto, con allegato, fornito al Dipartimento da un’altra agenzia del Governo sui contatti tra il Partito Comunista Italiano e l’ambasciata sovietica” <315. Purtroppo l’allegato non è presente nella documentazione conservata, ma è interessante notare come l’attenzione di Byrnes si concentrasse sul legame tra il Pci e l’Urss.
In quel periodo l’attenzione dei policy-makers statunitensi a Washington era concentrata sugli sviluppi della politica interna italiana. Il nuovo turno di consultazioni locali, che si era concluso il 10 novembre con le votazioni di Roma, Napoli, Genova, Torino, Firenze e Palermo, aveva mostrato la tendenza ad un evidente aumento di voti a sinistra, con un predominio del Pci sui socialisti. La Dc ne usciva ridimensionata a vantaggio dei partiti della destra, soprattutto dall’Uomo Qualunque. A Roma la lista democristiana passava dai 218.000 voti registrati il 2 giugno a 103.000 voti, meno della metà. Agli occhi degli analisti del dipartimento di Stato la sconfitta mostrava come la strategia di De Gasperi di governare con le sinistre, cercando di mantenerle in posizione secondaria, avesse finito per alienare al suo partito i consensi dei settori della destra. Il 2 dicembre il capo dell’Ufficio Affari Europei Hickerson inviò un memorandum al dipartimento di Stato per fare un’analisi della situazione creatasi dopo le elezioni amministrative: “Come sapete, le recenti elezioni municipali in Italia hanno mostrato impressionanti guadagni dei Comunisti alle spese dei moderati cristianodemocratici. Questi guadagni riflettono il successo dei costanti attacchi comunisti contro De Gasperi e le potenze occidentali”. <316 Nel memorandum il responsabile per gli Affari Europei continuava poi osservando come la strategia dei comunisti fosse quella di screditare De Gasperi, allo scopo di formare un nuovo governo più spostato a sinistra, e come essi non aspettassero altro che un fallimento del premier DC su qualche questione per poterlo attaccare apertamente. Dunque sollecitava il dipartimento a prendere misure concrete per sostenere il leader democristiano, altrimenti il rischio che l’Italia diventasse un paese comunista sarebbe diventato eccessivamente alto.
[NOTE]
304 NARA, RG 165, Entry 421, Box 87, relazione del Joint Chiefs of Staff intitolata “Use of Italian Army in Event of Hostilities in Northern Italy”, datata 25 luglio 1946.
305 Ivi.
306 A. Offner, Another Such Victory, cit., pp. 170-171.
307 NARA, RG 165, Entry 421, Box 88, direttiva top-secret del Joint Chiefs of Staff, datata 25 agosto 1946.
308 NARA, RG 165, Entry 421, Box 88, memorandum dell’U.S. Chiefs of Staff datato 29 agosto 1946.
309 NARA, RG 84, Entry 2790, Box 3, rapporto del Chiefs of Staff Committee datato 11 settembre 1946, intitolato “Appreciation of the Available Reinforcement for the Yugoslav Forces in North-West Yugoslavia”.
310 Ivi.
311 Cfr. M. Leffler, A Preponderance of Power, cit., pp. 130-138.
312 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma di Key per il segretario di Stato intitolato “Evaluation of Italian Government by a Military Intelligence Agency”, datato 22 novembre 1946.
313 Ibidem, rapporto del CIC allegato al dispaccio di Key del 22 novembre.
314 Ivi.
315 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma segreto del dipartimento di Stato a firma di Byrnes per lo Chargé d’Affaires Key, datato 29 novembre 1946.
316 FRUS, 1946, vol. V Italy, cit., p. 948, Memorandum segreto inviato dal direttore dell’Ufficio Affari Europei Hickerson al Dipartimento di Stato il 2 dicembre 1946.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno accademico 2009-2010

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Così, ad occhio: meglio dei dinari 🤭. Com'è che #Kosovo e #Montenegro usano l'#euro - Il Post https://www.ilpost.it/2025/07/20/come-che-kosovo-e-montenegro-usano-leuro/ #Jugoslavia