Intanto nel 1958 il Parlamento approva la legge per l’introduzione del Consiglio superiore della magistratura
Verso la fine del decennio, d’altra parte, la vita associativa comincia a fare emergere anche divisioni in seno all’associazione tra le giovani leve ed i gradi più alti, divisioni legate essenzialmente al problema dell’indipendenza interna e, in particolare, alla richiesta di abolizione dei concorsi previsti per i passaggi di categoria dei giudici che comportano un certo livello di controllo dell’intero corpo da parte dei cassazionisti. Tale frattura emerge in maniera netta nel corso del congresso dell’Associazione del 1957 a Napoli, durante il quale viene votata una mozione che si richiama, appunto, all’abolizione delle carriere. La reazione dei magistrati di cassazione è decisa e la scissione è inevitabile: gli alti gradi della magistratura costituiscono, nel 1960, l’Unione delle corti, poi ribattezzata Unione magistrati italiani (1961), che condurrà una propria esistenza completamente separata dall’Anm ed anzi spesso in contrasto con essa, fino alla fine degli anni Settanta.
Intanto nel 1958 il Parlamento approva la legge per l’introduzione del Consiglio superiore della magistratura; si tratta però di una legge che scontenta molti magistrati (nel congresso di Napoli già ricordato il disegno di legge presentato dal guardasigilli Aldo Moro era stato abbondantemente criticato) e giuristi a causa del grado, considerato non sufficiente, di indipendenza che assicura ai giudici nei confronti del potere politico. Secondo la legge del 1958 infatti il ministro mantiene il potere di iniziativa per quanto riguarda l’assegnazione dei magistrati, la loro promozione e, in generale il loro status. Altro aspetto della legge profondamente criticato è la rappresentatività della composizione del Csm: in base alla legge elettorale vengono sovra-rappresentati i magistrati di Corte d’appello e, ancor di più quelli di Cassazione, che in sostanza hanno la possibilità di dominare il Consiglio <27. Anche Maranini si esprime negativamente, affermando che la legge è ben lontana dal garantire l’indipendenza dell’ordine giudiziario prevista dalla Costituzione <28.
Al conflitto interno alla magistratura tra “innovatori” e “tradizionalisti” non sono estranei anche alcuni politici. Nel giugno del 1959, poco prima di un nuovo congresso dell’Anm, previsto per ottobre a Sanremo, vi è una presa di posizione da parte dell’on. Rocchetti, democristiano, futuro vicepresidente del Csm e membro della Corte costituzionale; questi in Parlamento critica il sistema elettorale interno dell’Anm, nell’ambito della quale stanno emergendo posizioni di rottura rispetto alla tradizione, denunciando il sistema delle deleghe e affermando la necessità di regole interne <29.
Con la scissione da parte dei cassazionisti, gli equilibri interni dell’associazione dei magistrati divengono più favorevoli agli “innovatori” e ciò comporta una maggior pressione nei confronti del Parlamento e dei partiti verso una riforma dei sistemi interni di promozione. Un primo importante successo arriva nel 1963, quando viene promulgata una legge che introduce i “ruoli aperti” (ma si tratta in realtà di un compromesso in cui l’Anm sacrifica parte delle proprie rivendicazioni), ovvero le promozioni in soprannumero rispetto ai posti disponibili e abolisce i detestati concorsi per titoli (uno degli strumenti di controllo da parte degli alti gradi in passato). La strada non è però tutta in
discesa: già l’anno successivo infatti Giallombardo su “La Magistratura”, organo dell’Anm, condanna l’operato del Csm, sostenendo che le commissioni per gli scrutini dei magistrati stanno, nella pratica concreta, annullando gli effetti della legge <30. Ma il 1963 è un anno importante anche per la trasformazione dell’organo di autogoverno: una sentenza della Corte costituzionale dichiara illegittima la legge istitutiva del 1958 nella parte che richiede l’iniziativa del ministro guardasigilli per la maggior parte degli atti più significativi del Consiglio, ritenendola lesiva dell’indipendenza della magistratura.
Il 1964 è un anno decisivo per l’associazionismo dei magistrati: l’assemblea dell’Anm decide di adottare il sistema proporzionale per l’elezione del direttivo; la conseguenza probabilmente più importante è lo sviluppo dei gruppi di riferimento interni, presto battezzati “correnti” dalla stampa, che presentano le loro liste e, grazie ai risultati elettorali, consentono di identificare con una certa precisione le tendenze ideologiche ed il rispettivo peso, fra i magistrati italiani. Si delineano tre grandi schieramenti: uno di maggioranza raccolto intorno alla rivista “Terzo potere”, che darà il nome alla corrente, dotato di un programma definito da alcuni “corporativo” e certamente molto attento alle problematiche più tipicamente sindacali; al tempo stesso la corrente stava dando un grande contributo all’innovazione dell’ordinamento e disponeva di un leader come Salvatore Giallombardo, un punto di riferimento di molti giudici italiani e futuro animatore del congresso dell’Anm di Gardone l’anno successivo. Alla destra dello schieramento vi è Magistratura indipendente <31, che mette al centro del proprio programma il principio dell’apoliticità del giudice, la riforma delle carriere in materia di retribuzione e l’autogoverno della magistratura anche sotto il profilo economico. La base culturale di Magistratura indipendente appare molto simile a quella tradizionalista dell’Unione magistrati italiani ed in effetti ciò che realmente distanzia le due associazioni è la rappresentanza dei magistrati di tribunale e di appello, a cui la seconda non provvede. Gli aderenti a “Mi” dimostrano una scarsa propensione alla partecipazione ed una notevole riluttanza a rilasciare deleghe in occasione delle votazioni <32. Infine vi è Magistratura democratica, fondata a Bologna nel mese di luglio. Nella corrente convivono, almeno fino alla scissione del 1969, elementi ricollegabili alla tradizione liberale, a quella cattolica (ne fa parte, ad esempio, Carlo Moro, fratello del Presidente del consiglio) a quella radicale e a quella marxista; i suoi aderenti mettono al centro la questione del rinnovamento di quella parte dell’ordinamento di origine liberale o fascista e la necessità che il giudice eserciti la giurisdizione utilizzando un’interpretazione della legge ispirata ai principi della Costituzione. Fondamentale nel bagaglio culturale di Magistratura democratica nella fase iniziale anche il controllo della giurisdizione da parte dell’opinione pubblica e, in generale, l’abbandono di quella “separatezza” tra giudice e società che, in qualche modo, costituisce un retaggio culturale ancora assai vivo nella categoria <33. Per molti militanti di Magistratura democratica, in particolare nel periodo compreso tra il 1964 ed il 1977, l’adeguamento del giudice alla società moderna si spinge ben oltre il mero superamento del positivismo giuridico, fino a teorizzare la “giurisprudenza alternativa”, che avrebbe dovuto essere, in primo luogo, uno strumento per affermare scelte che sottolineassero la prevalenza degli interessi delle classi subalterne e per la transizione al socialismo, sfruttando tutte le possibilità offerte dall’ordinamento <34.
Secondo Giorgio Freddi è in questo periodo che, in generale, si sovrappongono alle tradizionali istanze tipicamente corporative della magistratura, anche «controvalori universalistici, i quali si pongono in alternativa ai valori tradizionali. Avviene che emerge una nuova leadership associativa, la quale, diversamente dalla precedente è consapevole da un canto che se si vogliono portare avanti con successo le istanze sindacali occorre uscire dal chiuso dell’ordine giudiziario e articolare quelle istanze in modo da renderle comprensibili e politicamente rilevanti…» <35. La competizione fra le correnti diviene immediatamente molto accesa <36; nel corso delle elezioni per il Comitato Direttivo Centrale dell’Anm del dicembre 1964 appare un libello dal titolo “Compagno giudice”, attribuito ad aderenti a Magistratura indipendente, che attacca, da destra, con espressioni anche pesanti, le altre due correnti, ritenute eccessivamente “rivoluzionarie”. In quella circostanza “Terzo potere” si afferma come gruppo associativo maggioritario con il 41 per cento dei consensi, seguito da Magistratura Indipendente, con il 33 per cento e da Magistratura Democratica con il 19 (altre liste minori conseguono l’8 per cento in totale) <37.
[NOTE]
27 Secondo la legge del 1958, dei 14 membri “togati” (7 erano invece quelli eletti dal Parlamento secondo il dettato costituzionale) 6 dovevano essere di cassazione, 4 di appello e 4 di tribunale. A questi si devono aggiungere 2 membri di diritto, anch’essi magistrati di Cassazione.
28 G. Maranini, Storia del potere in Italia 1848-1967, Vallecchi, Firenze, 1968. Pag. 458
29 Vedi R. Canosa e P. Federico, La magistratura in Italia. Cit, Pag. 235. Secondo gli autori ciò segna l’inizio di uno stretto collateralismo tra settori della Dc e gli alti gradi della magistratura poi rappresentati dall’Umi.
30 Ibid. Pag 273
31 Non tutti coloro che aderiscono a questa corrente però accettano completamente questa collocazione: «Dire come fa Romano Canosa che Magistratura indipendente è la corrente di destra, è una verità parziale. E’ vero se la si distingue da Magistratura democratica (sinistra) e da Unità per la costituzione (centro-sinistra). Non è vero se la qualificazione è intesa in senso assoluto. In magistratura esiste una sinistra giudiziaria. Non esiste una destra giudiziaria. La ragione fondamentale di quest’assenza sta nel fatto che, nella visione dello stato di un uomo di destra (non del centro-destra liberal) la giurisdizione è funzione neutrale, con la conseguenza che i magistrati orientati a destra rifiutano di collocarsi in una delle classificazioni politiche usuali» in R. Ricciotti, Sotto quelle toghe. Le radici delle correnti nella magistratura, Edizioni Settecolori, Lamezia Terme, 2007. Pag. 44
32 Vedi R. Canosa e P. Federico, La magistratura in Italia. Cit, Pag.279
33 Vedere L. Ferrajoli, “Per una storia delle idee di Magistratura Democratica”, in N. Rossi (a cura di), Giudici e democrazia: la magistratura progressista nel mutamento istituzionale, Franco Angeli, Milano, 1994.
34 V. Zagrebelsky, “La magistratura ordinaria dalla costituzione ad oggi”. Cit. Pag. 773
35 Giorgio Freddi, “La magistratura come organizzazione burocratica”, in Politica del diritto, del 1972.
36 Per rendere l’idea di quanto le proposte dei settori progressisti, in particolare di Magistratura democratica, fossero considerate eversive si consideri il seguente passaggio scritto da un giudice moderato che, dopo aver ricordato le dottrine nazionalsocialista e sovietica del diritto, afferma che «Il terzo momento di crisi del diritto in Europa ha origine nel 1964 con la pubblicazione del programma di Magistratura democratica. Un gruppo di magistrati culturalmente dotati e politicamente determinati si fece sostenitore della giurisdizione come funzione di indirizzo politico», R. Ricciotti, Sotto quelle toghe. Le radici delle correnti nella magistratura, Edizioni Settecolori, Lamezia Terme, 2007. Pag. 50.
37 Le cifre sono tratte da C. Guarnieri, Magistratura e politica in Italia. Pesi senza contrappesi, Il Mulino, Bologna, 1992. Pag. 101.
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013
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