Pablo Moreno Cadena recibe Premio Nansen de la ACNUR por inclusión laboral

ACNUR y MABE impulsaron integración y oportunidades laborales para refugiados.


Por Gabriela Díaz | Reportera                                                       

La Agencia de la ONU para los Refugiados (ACNUR) otorgó el Premio Nansen para las Américas a Pablo Moreno Cadena, directivo de la empresa mexicana MABE, por su liderazgo en ampliar oportunidades de inclusión laboral para personas refugiadas en México. Este reconocimiento resaltó la capacidad transformadora del sector privado para generar soluciones sostenibles en contextos de desplazamiento forzado. La iniciativa de Moreno Cadena puso de manifiesto cómo las empresas pueden contribuir a la integración y desarrollo social.

Creado en 1954, el Premio Nansen honró a individuos, grupos u organizaciones que realizaron labor extraordinaria para proteger a personas refugiadas, desplazadas internas y apátridas. Desde su posición en MABE, Pablo Moreno Cadena facilitó que personas refugiadas de diversas nacionalidades accedieran a empleo formal, estabilidad y oportunidades de crecimiento. Su estrategia demostró que la integración laboral es viable y beneficiosa para empresas, comunidades y personas que reconstruyen su vida en México.

El directivo decidió donar la totalidad del premio monetario a la Casa del Migrante de Saltillo, organización que brinda alojamiento, asesoría legal y apoyo en procesos de naturalización a refugiados y solicitantes de asilo. Saltillo fue la ciudad donde nació el Programa de Integración Local (PIL) de ACNUR, lo que otorgó un valor simbólico adicional a la donación. La acción destacó el compromiso social de Moreno Cadena y su vínculo con iniciativas locales de apoyo a personas refugiadas.

Impacto en América Latina

Mientras en otras regiones el acceso al asilo enfrentó crecientes restricciones, América Latina avanzó con un modelo distinto, impulsado por la colaboración del sector privado con programas como el PIL de ACNUR. Más de 650 empresas en México participaron activamente en procesos de contratación inclusiva. Desde 2016, más de 53.000 personas refugiadas accedieron al PIL, consolidando un modelo de integración laboral sostenible.

La experiencia mexicana reflejó una tendencia creciente en América Latina, donde el sector privado se consolidó como socio estratégico para la inclusión. En Brasil, el Foro Empresas con Refugiados promovió la contratación inclusiva a gran escala. En Ecuador, el Sello Empresa Inclusiva reconoció a compañías que integraron refugiados en su fuerza laboral, mientras que en Costa Rica, el programa “Vivir la Inclusión” articuló alianzas público-privadas que generaron valor tanto para empresas como para refugiados. –sn–

Sociedad Noticias

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Quando le esportazioni rallentano, il PIL crolla

Tanto tuonò che piovve. Il terzo trimestre chiude con un Prodotto interno lordo (PIL) in calo dello 0,5% rispetto al trimestre precedente. I dati del settore chimico-farmaceutico sono quelli balzati subito all’occhio: –7,9%. Però se guardiamo bene dentro i numeri, la storia interessante non è solo la frenata delle esportazioni: i consumi privati riescono ancora a dare un contributo positivo, mentre gli investimenti mostrano una debolezza sempre più strutturale. Soprattutto quelli in macchinari.

I consumi privati crescono dello 0,4%. Può sembrare poco, ma in un trimestre in cui la principale locomotiva industriale è ferma è un risultato importante. Le famiglie spendono di più per casa, energia e sanità, ma tornano anche a frequentare ristoranti e hotel. Non è un “boom”, ma è il segnale di una domanda interna resiliente, che compensa l’assenza di slancio dall’estero. È una crescita migliore di quella di molti Paesi europei e, soprattutto, costante.

Il problema rimangono gli investimenti. Da tempo vediamo che la parte più innovativa e produttiva dell’economia svizzera fatica a mettere risorse in nuovi strumenti di lavoro: quelli in beni di equipaggiamento scendono ancora, –0,1%, dopo un trimestre già negativo (il terzo di fila). E la voce più debole è proprio l’informatica, che dovrebbe essere l’area più dinamica. Se le imprese investono poco in tecnologia dell’informazione, lo fanno per due ragioni: o perché non vedono prospettive di crescita, o perché il contesto internazionale è troppo incerto. In entrambi i casi, non è un buon segnale per il 2026.

Anche le costruzioni non mostrano un buon andamento: –0,2% negli investimenti e –0,6% come settore. È un comparto che normalmente anticipa i cambiamenti economici e che ora mostra, di nuovo, un raffreddamento. E qui torna utile incrociare il quadro macro con i dati del commercio estero appena pubblicati. Non basta dire che le esportazioni scendono dello 0,3% a ottobre: il rallentamento internazionale è esattamente il contesto in cui le imprese decidono se rinviare investimenti, assumere con prudenza o ridurre la spesa in innovazione.

Il risultato è un’economia che sta in equilibrio grazie alle famiglie, mentre le imprese evitano mosse impegnative. La domanda interna regge, spinge, tiene il ritmo. Gli investimenti invece frenano la dinamica futura: senza un cambio di passo, rischiamo un 2026 con più stabilità che crescita.

Non siamo davanti a un’economia malata, ma a una che si muove con cautela. I consumi fanno il loro dovere e lo fanno bene. Ma non sappiamo fino a quando. Ogni giorno leggiamo di grandi gruppi, anche internazionali, che annunciano licenziamenti e la cancellazione di migliaia di posti di lavoro. Gli investimenti raccontano un Paese che aspetta di capire dove va il vento. E finché le imprese restano prudenti, l’unico motore davvero acceso resta quello delle famiglie. Che però cominciano a chiedersi se avranno ancora un posto di lavoro tra qualche mese. L’incertezza è il male peggiore per l’economia, ma al momento non abbiamo alternative. Almeno sul fronte dei dazi la partita è andata a buon fine: altrimenti i guai sarebbero stati ancora più grandi.

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