Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

#EugenioMontale #poesiaitaliana #poesia #Montale #poetry #letteratura #letteraturaitaliana #literature #cultura #12settembre

Visto che in questi giorni si è tornato a parlare di decoro e dei suoi nemici...
Da #Terrestridadozione (#EdizioniProgettoCultura, 2021)... #poesia #poesiaitaliana #poesiacontemporanea #poesiaitalianacontemporanea #decoro #occupazioni #sindaci
Online il mio contributo alla rubrica "La poesia prima della fine del (o di un) mondo" a cura di #RitaPacilio sul blog #Lapoesiaelospirito di #FabrizioCentofanti. Fin da molto piccolo ho avvertito fini di mondi e sono spesso stato tentato di crederle fini del mondo. Da questo parto per la mia riflessione in prosa. Seguono due inediti in versi...
P.S.: E buon Ferragosto fatto! #poesia #poesiaitaliana #poesiacontemporanea #poesiaitalianacontemporanea #spirito https://www.lapoesiaelospirito.it/2025/08/14/la-poesia-prima-della-fine-del-o-di-un-mondo-a-cura-di-rita-pacilio-stefano-taccone/
Rivelazione

Rivelazione di Emilio Remogna

Minuto spazio

Minuto spazio di Emilio Remogna

Stroncatura di una poesia di Maurizio Cucchi. Lettura di Giorgio Linguaglossa. Un testo che non conosce gli oggetti. Non gli interessano gli oggetti. Retropensieri di una retropia, o retropie di retropensieri…

(Marie Laure Colasson, présence, acrilico, 30×30, 2025)

Giorgio Linguaglossa
(12 giugno 2019 alle 11:16)

Siamo inesorabilmente invasi dalle parole «piene», le parole comunicazionali che troviamo in tutti i libri di poesia e di narrativa che si stampano oggi, analoghe a quelle che usiamo tutti i giorni nei nostri commerci quotidiani. Le parole «piene», quelle di Salvini, dei Vannacci, di Telemeloni, le parole della propaganda politica, della pubblicità & company vogliono essere seduttive, si rivolgono al proprio elettorato, al proprio uditorio, ai propri followers, chiamano a raccolta, imperative in quanto soliloquiali, piene di significato soliloquiale, piene di steccati soliloquiali.

No, le parole della poesia sono un’altra cosa, esse sanno di essere deboli e fragili, sanno di non poter contare sul proprio statuto di verità ontologica, sanno di poggiare su una ontologia meta stabile, soggetta alla mutazione, soggetta al toglimento, alla de-coincisione.

A me francamente fanno sorridere le certezze dei poeti della domenica, quelli che mi dicono: «ma come fai a togliere l’io da una poesia?».

Ecco, dinanzi a questa domanda da commercialista io non ho nulla da dire. Cosa potrei dire? Tutti gli ultimi libri di Maurizio Cucchi sono il discorso di un io plenipotenziario che parla di se stesso e con se stesso: io di qua, io di là, io così, io colà. Penso che se l’autore mette dappertutto l’io, ne sarà pur convinto, sarà in buona fede, forse pensa che l’io sia un passepartout che apre tutte le porte. Io invece penso che l’io chiuda tutte le porte. Chiude tutti i discorsi invece di aprirli.  Li chiude in quanto convinto della coincidenza tra l’io e l’esserci, perché crede ingenuamente nell’eternità e nella bontà glossologica dell’io. Cucchi adotta il senso comune del volgo. Infatti, l’io si basa su questa credenza popolare: l’io è vero e degno di fiducia, tutto il resto è falso, o può risultare falso. Opinione accettabilissima per il senso comune acritico, ma priva di qualsiasi significato filosofico.

È chiaro che un “io” di questo genere userà soltanto parole «piene», parole «vere»; dividerà le parole: di qua le parole vere e piene, di là le parole non-vere e non-piene.

Oggi la poesia la si scrive avendo in mente i propri followers

Questa che segue è una poesia di un noto poeta italiano, autore di 11 libri di poesia, Maurizio Cucchi. La prendo come parametro di quello che dicevo sopra. La composizione inizia con la descrizione del pensiero dell’io, poi passa alla auto fustigazione di «noi animali» (sic), per poi proseguire con una ruminazione mentale oziosa e peregrina, vacua, irrisoria, che vorrebbe additare ad un pensiero profondo, alla eternità del dopo la morte: «E laggiù dove andrò, remoto», cui segue tutta una infiorettatura di pensierini irrisori, irrisolti e gratuiti estrapolati dalla camera più segreta «nell’ultimo conato» dell’io.

Ecco, qui siamo in presenza di quello che intendevo dire quando parlavo di «parole piene», di parole ad uso di tutti, di parole faccendiere, affaccendate in quanto proiezione di un “io” che non nutre neanche del beneficio del dubbio cartesiano; un “io” nascosto, ascoso in chissà quale profondità della mente. Lo dice il testo stesso, all’io «piace… assaporare la più elementare forma di dominio». Sì, è vero, questa volta ha ragione Cucchi, qui si tratta del «dominio» vero e proprio, del dominio delle «parole piene», risolutorie che si rivelano, al contrario, nei testi essere parole vacue, ingorde, irrisorie, fideiussorie: Le parole della poeticità debole nell’epoca del presentismo mediatico.

di Maurizio Cucchi

Troppo spesso – pensavo – troppo,
troppo spesso noi animali ci affidiamo
alla bontà curiosa della nostra indole.

E laggiù dove andrò, remoto,
nella patetica smorfia verticale muore
l’impronta, e non lo sa, e replica
se stesso, ancora, nell’ultimo conato
costruttivo. Del resto
ci piace assaporare, puerili,
la più elementare forma di dominio,
espressione del nostro costume
e la natura ci ingombra, ci pesa ma consiglia
le terre più estreme, dove l’attrito procede
e si consuma ancora più violento
e fisico, più naturale.

Se si legge con attenzione, ci accorgiamo che non è citato nemmeno un oggetto, tutte le espressioni appartengono al genere “astratto” del si dice di ciò che non si dice, del non si dice di ciò che si dice. Parole che appartengono ad una vecchia ontologia del novecento rimasticata e rispolverata, riverniciata di fresco. Parole che appartengono al genere della decrescita culturale felice, felice in quanto acritica, del soliloquio che è sito in un angolo remoto della mente: nell’Io plenipotenziario. Una ruminazione fine a se stessa che parla di «dominio», che vorrebbe riuscire moralistica, che ci parla con il suo tono assertorio, regolatorio, che in realtà parla a se stessa, non parla mai al lettore. È un testo che non conosce gli oggetti. Non gli interessano gli oggetti. Retropensieri di una retropia, o retropie di retropensieri, fate voi. Anzi, mi correggo, retrovie di retropie…

Senza l’Immaginario il Reale non sarebbe abitabile

È questa riflessione di Lacan che mette a soqquadro la posizione geometrale cartesiana di un soggetto logico che abita uno spazio neutro. Il Reale per poter funzionare come oggetto del godimento e della rappresentazione deve essere supportato dall’Immaginario. Per la nuova poesia e il nuovo romanzo il Reale va vestito, mascherato, fantasmatizzato. Appunto, fantasmatizzato. Abitare il Reale presuppone sempre abitare l’Immaginario, implica la possibilità di abitare più temporalità e più spazi, moltiplicare l’Io tramite la convocazione di sosia e di avatar. Assegnare alle spazialità proprietà propulsive implica poter riconoscere i bordi, le sfrangiature, le cuciture, i confini, le cicatrici dello spazio, e sarà su questo spazio che il linguaggio poetico può operare delle piegature, delle cuciture, dei tagli, delle foderature, dei nodi.

Il periscopio della nuova poesia

dovrà quindi necessariamente virare dalla vita intima a quella esterna. l’interiorità del soggetto non è altro che una esteriorità rovesciata su se stessa. Il linguaggio poetico critico dovrà appuntare la sua attenzione non solo sulla vita interiore ma anche e soprattutto sugli abiti, sulle maschere, sui soprabiti, sui cappelli ornamentali, sulle passamanerie fantasmatiche e passare dalla vita presuntuosamente intima del soggetto a quella dell’extimità del soggetto stesso, di ciò che sta al di fuori del soggetto, in lontananze che per la geometria cartesiana sarebbero abissali ma che per la geometria degli spazi topologici invece sono vicinissime. L’abito come manufatto linguisticamente topologico implica che esso è fatto di proiezioni dell’Immaginario, con conseguenti attese, rimozioni, ribaltamenti, deviazioni del desiderio, deviazioni del godimento; abito inteso come costumi, comunità di linguaggi, esoscheletro. In ultima analisi abito linguistico come abito del Politico. In una parola: abito come creazione da parte di una particolarissima sartoria teatrale, allestimento plurilinguistico, plurifantastico e plurifantasmatico. Perché un nuovo abito linguistico designa sempre un nuovo soggetto politico.

Maurizio Cucchi è nato nel 1945 a Milano, dove vive. Ha pubblicato i libri di poesia: Il disperso (Mondadori, 1976, e Guanda, 1994), Le meraviglie dell’acqua (Mondadori, 1980), Glenn (San Marco dei Giustiniani, 1982, Premio Viareggio), Donna del gioco (Mondadori, 1987), Poesia della fonte (Mondadori, 1993, Premio Montale), L’ultimo viaggio di Glenn (Mondadori, 1999), Poesie 1965-2000 (Mondadori, 2001), Per un secondo o un secolo (Mondadori, 2003), Jeanne d’Arc e il suo doppio (Guanda, 2008), Vite pulviscolari (Mondadori, 2009), Malaspina (Mondadori, 2013), Paradossalmente e con affanno (Einaudi, 2017), Sindrome del distacco e tregua (Mondadori, 2019). In prosa: Il male è nelle cose (2005), La traversata di Milano (2007), La maschera ritratto (2011), L’indifferenza dell’assassino (2012). Ha inoltre curato un’antologia di “Poeti dell’Ottocento” (1978), il “Dizionario della poesia italiana” (1983 e 1990), e, con Stefano Giovanardi, l’antologia “Poeti italiani del secondo Novecento” (1996). Ha diretto per due anni la rivista “Poesia” (1989-1991).

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Leggo "(H)o(t)tanta voglia di (de)crescere" ad #Ercolano, durante una allegra tavolata di poeti. #poesia #poesiaitaliana #poesiaitalianacontemporanea #poesiacontemporanea https://www.youtube.com/shorts/htARdxCneyA
Stefano Taccone legge "(H)o(t)tanta voglia di (de)crescere" ad Ercolano

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Disponibile per l'acquisto il mio nuovo libro "Il riso delle rane", lo trovate qui:
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“La poesía es la revelación de un sentimiento, que el poeta cree que es personal e interior y que el lector reconoce como verdadero”

Un 14 de junio muere en Nápoles,
🖋️ Salvatore Quasimodo (1901-1968)
Poeta italiano muy personal, también gran ensayista.
🥉 #PremioNobel de #Literatura en 1959
Su #Poesía Completa está editada en castellano por Ediciones Linteo 👇
#PoesíaItaliana