Il governo Segni entra in crisi il 6 maggio 1957

Gronchi ha una propria interpretazione del potere conferito al Presidente della Repubblica dall’art. 92 della Costituzione. Egli ritiene, infatti, che compito del Capo dello Stato non sia soltanto quello di individuare una personalità e nominare un governo in grado di ottenere la fiducia in Parlamento, ma anche di scegliere un esecutivo idoneo a sopperire alle esigenze della nazione <76: un criterio di valutazione, quest’ultimo, palesemente discrezionale, soprattutto se si considera la ferma convinzione di Gronchi della necessità di un governo con la sinistra, in direzione del quale si concentreranno tutti i suoi sforzi durante il mandato.
Il governo ereditato da Gronchi è quello guidato da Scelba, suo acerrimo nemico <77. Tuttavia, il governo Scelba entra in crisi molto presto, a causa del ritiro del proprio appoggio da parte del Pri. Il 22 giugno 1955 il governo si dimette e il 6 luglio 1955 viene nominato – voluto dalla segreteria democristiana, ma non gradito a Gronchi – il primo ministero Segni (si ripropone la coalizione centrista di Dc, Psdi e Pli, senza i repubblicani, che però votano la fiducia), cui Gronchi riesce a imporre, per la carica di ministro degli Interni, il nome di Tambroni <78. L’iter di formazione del governo Segni non esula da particolarità: infatti, a costui viene affidato un pre-incarico finalizzato a prendere il tempo necessario a delineare un programma di governo che trovi la convergenza delle forze del quadripartito. La scelta del pre-incarico sembra aver consentito a Gronchi di indirizzare le politiche governative sulle idee del centro-sinistra <79. Il governo Segni inizia l’opera di statalizzazione dell’economia, presentando un disegno di legge per l’istituzione del Ministero delle Partecipazioni statali. Il disegno viene approvato, nella sua versione definitiva, con un emendamento, fortemente voluto, tra gli altri, da Enrico Mattei, che sottrae le aziende a prevalente partecipazione statale alla disciplina sindacale degli altri datori di lavoro <80. Inoltre, è sotto il governo Segni che, il 25 marzo 1957, viene firmato il Trattato di Roma che istituisce la Comunità economica europea.
Zoli I
Il governo Segni entra in crisi il 6 maggio 1957, a causa della perdita del sostegno dei socialdemocratici di Saragat. Sulle ragioni della decisione dei socialdemocratici, al di là dei motivi fondati su contrasti relativi a singole scelte politiche (in particolare, su un progetto di legge sui patti agrari), si interrogano le testate giornalistiche del tempo, trovando spiegazioni diverse: qualcuno attribuisce la decisione a un impulso derivante dal capo del partito laburista del Regno Unito, pronunciatosi sulla questione dell’unificazione socialista, altri, invece, e questa versione è particolarmente interessante ai nostri fini, rinvengono la ragione del distacco dalla coalizione governativa nei contrasti emersi in materia di politica estera tra il Quirinale e il ministro degli esteri Martino (Pli) <81. Effettuate le consultazioni di rito, Gronchi affida l’incarico a Adone Zoli, il quale forma un governo monocolore Dc che si presenta al Parlamento il 29 maggio. Nel conferimento della fiducia, si rivela determinante il voto favorevole del Msi, a causa dell’astensione del Psi. Rifiutando di presiedere un governo a cui il sostegno della destra è fondamentale, Zoli rassegna le proprie dimissioni <82. Al termine delle rinnovate consultazioni, Gronchi rilascia la seguente dichiarazione: “quello che importa non sono le formule che debbono essere considerate strumenti per raggiungere delle finalità, e le finalità [del procedimento di formazione di un governo], secondo me, sono due: rispondere alle esigenze del Paese e rispettare l’autorità e il prestigio del Parlamento”. Inoltre, continua, “secondo la costituzione italiana la scelta del Capo dello Stato costituisce di per se il governo nella pienezza dei suoi poteri” e il Parlamento interviene solo successivamente con il voto di fiducia, rendendo quindi la responsabilità del Capo dello Stato italiano diversa da quella del Presidente francese, che nomina un governo che può dirsi formato soltanto dopo l’investitura del Parlamento <83. Gronchi, sulla base di tali considerazioni, si riserva di decidere se accettare le dimissioni del primo ministro e assegna prima un mandato esplorativo al presidente del Senato, Merzagora (16 giugno), allo scopo di sondare la concreta possibilità di formare un governo che ottenga la fiducia delle camere, poi un incarico a Fanfani (18 giugno). E’ questa la prima volta che viene introdotto nella storia costituzionale italiana lo strumento del mandato esplorativo <84. Il fallimento dei tentativi Merzagora e Fanfani determina la decisione di Gronchi di rigettare le dimissioni di Zoli, il 22 giugno. La ripresentazione di Zoli alle camere, senza una nuova discussione su un voto di fiducia (peraltro già ottenuta), non rimane avulsa dalle critiche parlamentari. In particolare, don Sturzo, richiamandosi a un tema per la prima volta introdotto da Maranini nel 1949, ossia quello della “partitocrazia”, denuncia, da un lato, il ruolo sempre più crescente dei partiti nelle crisi di governo, che ostacolano un’assunzione di responsabilità in sede parlamentare, dall’altro lato, la scarsa trasparenza nella scelta e nomina dei ministri, non più facilmente riconducibile a una scelta del Presidente del Consiglio, da effettuarsi in vista del mantenimento dell’unità di indirizzo politico <85.
[NOTE]
76 Cfr. A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op. cit., pp. 87-88.
77 Quando Scelba si reca, come da prassi, dal Presidente della Repubblica per presentare le dimissioni del governo “in segno di ossequio”, Gronchi fa emettere un comunicato in cui dichiara di “non accettare” le dimissioni (anziché di respingerle) (cfr. A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op. cit., pp. 89-90). Per una ricostruzione del dialogo intercorso tra Scelba e Gronchi cfr. I. Montanelli – M. Cervi, op. cit., 1989, pp. 28-29; P. Guzzanti, Presidenti della Repubblica. Da De Nicola a Cossiga, Bari, Laterza, 1992 p. 93.
78 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 10; G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., p. 65; F. Damato, op. cit., pp. 55-56; P. Guzzanti, op. cit., p. 82.
79 Sul significato di questo pre-incarico, che troverebbe un precedente – seppure diverso – in quello affidato da Einaudi a De Gasperi dopo la tornata elettorale del 1953, cfr. M. Nardini, I primi passi della presidenza Gronchi ed il governo Segni, in Aa. Vv., op. cit., 2013, pp. 5-8. In effetti, il pre-incarico affidato a De Gasperi non fu frutto di una scelta interamente riconducibile al Capo dello Stato, che avrebbe preferito affidare l’incarico direttamente al leader della Dc. Fu De Gasperi stesso a ritenere opportuno un sondaggio presso le forze politiche. A ben vedere, tra l’altro, a seguito di quel sondaggio De Gasperi si rivelò propenso a rifiutare un eventuale incarico, che alla fine accettò soltanto a causa delle insistenze del Presidente. Il suo governo non ottenne tuttavia la fiducia delle camere.
80 Cfr. I. Montanelli – M. Cervi, op. cit., 1989, pp. 30-32.
81 Cfr., per la prima versione, Enrico Mattei, Il governo Segni virtualmente in crisi per la decisione dei socialdemocratici di ritirarsi, in La Nazione del 6 maggio 1957; per la seconda versione, Le dimissioni di Segni probabilmente in giornata, in Paese sera del 7 maggio 1957. Le ragioni delle dimissioni non sembrano peraltro potersi rinvenire, come invece è sostenuto da qualcuno, in un tentativo di riavvicinamento tra Saragat e Nenni, a quanto risulta dalle dichiarazioni di quest’ultimo riportate nel secondo articolo menzionato: “la crisi di governo […] rimette in movimento una situazione stagnante. Ma nelle dichiarazioni di Saragat la difesa del centrismo, prospettata in polemica con noi, lascia assai incerti su quello che la socialdemocrazia vuol fare, se cioè passare decisamente alla opposizione […] o tentare la ricostruzione di un governo di centro, il cosiddetto “quadripartito di ferro”. In questo secondo caso verrebbe ribadita la politica che ha reso impossibile il riavvicinamento tra i due partiti, che dell’unità socialista è la premessa”. Entrambi gli articoli sono consultabili in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 11. Per la tesi dell’avvenuto distacco a causa del riavvicinamento tra partito socialista e partito socialdemocratico, cfr. S. Tabacchi, La formazione del governo Zoli, in Aa. Vv., op. cit., 2013, p. 5. Montanelli, invece, pone l’accento sul ruolo che le divisioni interne alla Dc hanno nella crisi di governo (cfr. I. Montanelli – M. Cervi, op. cit., 1989, pp. 67-68).
82 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 11. Una ricostruzione è anche fornita in I. Montanelli – M. Cervi, op. cit., 1989, pp. 71-73.
83 Dichiarazione rilasciata in data 13 giugno 1957 al segretario della stampa parlamentare. La dichiarazione, riportata integralmente, si trova in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 11 e in Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, Servizio archivio storico, documentazione e biblioteca, Discorsi e messaggi del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, Quaderni di documentazione, n. 11, Roma, 2009, p. 217.
84 Secondo parte della dottrina il “mandato esplorativo” si distinguerebbe dal pre-incarico in virtù della dichiarata non disponibilità del soggetto (in questo caso, Merzagora) di accettare un incarico (cfr. S. Tabacchi, op. cit., p. 10). Altri rinvengono un elemento distintivo nella circostanza che nel caso del pre-incarico il soggetto scelto viene effettivamente incaricato a formare il nuovo governo, mentre nel caso del mandato esplorativo no. La valutazione circa la riconducibilità del mandato all’una o l’altra categoria sarebbe quindi effettuabile soltanto ex post, dopo aver constatato a chi viene affidato l’incarico vero e proprio. La distinzione è peraltro meramente descrittiva (cfr. Fascicolo curato dalla Presidenza della Repubblica sulla crisi del II governo Moro, in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 20, pp. 12-14). Si segnala, peraltro, che la prassi successiva sembrerebbe suggerire un ulteriore tipo di criterio distintivo: il mandato esplorativo infatti si connoterà nel corso della presidenza Saragat per la sua genericità (si tratta di sondare gli orientamenti delle forze politiche allo scopo di valutare quali strade siano praticabili per la formazione di un governo di cui non sono precisata né la formula politica né il programma).
85 Cfr. S. Tabacchi, op. cit., pp. 12-13. Una critica all’imposizione fatta da Gronchi, nel “suo stile presidenziale”, a Zoli affinchè quest’ultimo si ripresentasse alle camere si riscontra anche in P. Guzzanti, op. cit., p. 96. Una ricostruzione dell’intera vicenda si trova anche in G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., pp. 65-66 e F. Damato, op. cit., pp. 63-64.
Elena Pattaro, I “governi del Presidente”, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2015

#1955 #1957 #DC #ElenaPattaro #esplorativo #GiovanniGronchi #governi #mandato #Pli #Presidente #Repubblica #repubblicani #Scelba #socialdemocratici #Zoli

Gronchi pensava alla riunificazione della Germania

Nonostante manchino testimonianze del messaggio originale di Gronchi <487, il testo della risposta letta dall’ambasciatore Bogomolov nel loro successivo incontro (22 febbraio 1956) lascia percepire in maniera piuttosto evidente come il Capo dello Stato italiano si fosse avventurato nel proporre al governo di Mosca un suo personale progetto di unificazione della Germania basato sulla sua neutralizzazione per 20 anni e affiancato dalla realizzazione di concrete misure per il disarmo e per l’effettivo controllo sulla limitazione degli armamenti. Benché l’Unione Sovietica avesse sostanzialmente declinato l’invito del Presidente, nella replica venne esplicitato più volte come il progetto di Gronchi fosse comunque considerato dall’URSS un significativo passo in avanti rispetto ai punti di vista fino a quel momento espressi dall’Occidente. In particolare il governo di Mosca concordava con l’impostazione di raggiungere l’unificazione tedesca procedendo per singole tappe, tranquillizzando nel frattempo l’opinione pubblica internazionale tramite l’adozione di concrete misure per il disarmo, la limitazione degli armamenti e la conclusione di un trattato di sicurezza collettiva europea aperto a tutti i membri dell’Alleanza Atlantica e del Patto di Varsavia. Nonostante queste favorevoli premesse, però, il Cremlino contestava al disegno del Capo dello Stato italiano di non tenere sufficientemente in considerazione la necessità di porre le basi per una riunificazione all’interno della Germania stessa, partendo dal presupposto dell’esistenza di due “governi sovrani [creati] su diverse basi economico-sociali e indirizzati su diversi cammini”. Piuttosto che procedere verso un’immediata organizzazione di elezioni pangermaniche, a Mosca si riteneva più opportuno identificare come primo passo da compiere il raggiungimento di un accordo diretto tra la Repubblica Federale e quella Democratica <488.
Queste osservazioni vennero contestate, però, dal Presidente Gronchi, secondo il quale non sarebbe stato proficuo un accordo fra i due Stati tedeschi prima che fosse stabilita un’intesa fra le quattro potenze proprio sulle condizioni nelle quali la riunificazione tedesca avrebbe potuto essere realizzata. Per il Presidente, infatti, sia il governo federale che soprattutto il governo di Pankow, non rispecchiavano esattamente i sentimenti delle rispettive opinioni pubbliche <489.
Il consigliere Luciolli, che assistette all’incontro nonostante le diverse disposizioni date da Gronchi, il quale evidentemente avrebbe voluto discutere privatamente con l’ambasciatore sovietico come accaduto durante la precedente visita del 25 gennaio, non mancò di commentare il progetto del Presidente della Repubblica con una certa sorpresa mista a una profonda preoccupazione, constatando immediatamente come la proposta di Gronchi si discostasse nettamente dalle posizioni finora tenute dagli occidentali e come un simile disegno avrebbe potuto provocare una seria frattura tra lo stesso Capo dello Stato e gli esponenti governativi. “A quel tempo i governi occidentali puntavano sull’integrazione della Repubblica Federale nell’Occidente e non nella trasformazione della Germania in uno Stato-cuscinetto. Questo atteggiamento era fondato tra l’altro sul convincimento che l’Unione Sovietica non fosse affatto disposta a concedere alla RDG l’autonomia effettiva senza la quale tutta l’operazione non avrebbe avuto senso. La proposta di Gronchi era dunque nettamente contraria alla politica del governo italiano. Lo scopo per il quale Gronchi l’aveva fatta era evidente. Egli stava per recarsi a Washington e aveva pensato che il viaggio avrebbe avuto un risultato spettacolare se egli avesse potuto presentare al governo americano una soluzione del problema tedesco già approvata da quello sovietico. Si trattava, però, di un’iniziativa molto ingenua perché se l’Unione Sovietica avesse davvero voluto acconsentire alla riunificazione della Germania non avrebbe avuto nessun bisogno della mediazione di Gronchi” <490.
Le reazioni dell’esecutivo a una tale iniziativa non si fecero attendere e furono talmente forti che il Presidente dovette ammettere anche davanti all’ambasciatore Bogomolov che la proposta presentatagli altro non era che l’espressione di una posizione assolutamente personale senza alcuna implicazione politica. Una preziosa testimonianza sull’accaduto venne offerta proprio da Mario Luciolli <491, ministro consigliere all’Ambasciata a Washington nominato subito dopo l’elezione di Gronchi consigliere diplomatico del nuovo Capo dello Stato con l’evidente obiettivo di rassicurare gli inquieti ambienti americani. Come precedentemente accennato, in effetti, la reazione statunitense all’elezione di Gronchi, considerato più che un semplice simpatizzante della cosiddetta “apertura a sinistra” e dalla dubbia fedeltà atlantica, fu particolarmente allarmata e maggiormente esacerbata dai duri giudizi provenienti dai corrispondenti americani da Roma e in primis dell’ambasciatore Booth Luce <492. Non contribuì naturalmente a tranquillizzare Washington (per non parlare di ampi strati degli ambienti politici italiani) la famosa intervista concessa dal neo Presidente a Edmund Stevens, inviato del “Christian Science Monitor”, nella quale Gronchi espresse il desiderio italiano di riconoscere la Cina comunista, attaccò palesemente la politica statunitense, colpevole di non tenere sufficientemente conto delle opinioni degli alleati e di rischiare di allontanare la RFT dall’Occidente spingendola pericolosamente verso le attrattive sovietiche, e concluse addirittura auspicando un nuovo governo italiano spostato a sinistra con l’esclusione del Partito Liberale4 <93.
Ritrattazioni e smentite non furono sufficienti a rasserenare del tutto un’atmosfera tanto delicata e tesa, così la visita del Presidente Gronchi e del ministro Martino negli Stati Uniti e in Canada prevista per fine febbraio assunse un valore del tutto particolare e non mancò chi espresse una certa preoccupazione per le possibili esternazioni del Capo dello Stato e per la scarsità di armonia che avrebbero potuto tradire le posizioni di Gronchi e del ministro degli esteri di fronte alla controparte nord-americana <494.
Come ricordato da Ortona, la preparazione del viaggio di Gronchi e Martino caratterizzò interamente il lavoro dell’Ambasciata italiana a Washington nei mesi precedenti la visita <495, anche perché i diplomatici italiani dovettero divincolarsi non senza difficoltà tra le pretese statunitensi che il viaggio si riducesse a semplici “manifestazioni di facciata”, le pressioni del Quirinale di inserire il più possibile incontri dal forte valore politico con i maggiori esponenti del governo di Washington e infine quelle del governo, attento a soddisfare Gronchi ma anche a non superare determinati limiti di carattere costituzionale. Soprattutto l’ambasciatore Brosio si adoperò in modo particolare affinché i colloqui fossero preparati in maniera molto scrupolosa.
[NOTE]
487 La lettera di Gronchi a Bogomolov pare infatti non sia conservata in nessun archivio italiano e nessuno ne menziona l’eventuale presenza negli archivi di Mosca
488 “Messaggio di Voroscilov, letto e lasciato dall’Amb. dell’URSS sig. Bogomolov al Presidente Gronchi, 22 febbraio 1956” Is. St. F. Gr. sc. 81 f. 576. Alla luce del contenuto di tale documento va probabilmente corretta l’affermazione della Bedeschi Magrini che, riportando tale episodio basandosi esclusivamente su quanto riferito da Bartoli (Bartoli, D. Da Vittorio Emanuele a Gronchi Milano, Longanesi, 1961, p. 170-173) sostiene che non vi sia alcuna traccia dell’accaduto nelle fonti ufficiali, vd. Bedeschi Magrini, A. op. cit. p. 68
489 Is. St. F. Gr. sc. 81 f. 576. Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica “Udienza dell’ambasciatore dell’URSS, signor Alexander Bogomolov” Roma, 22 febbraio 1956. L’udienza terminò con un accenno di Bogomolov alla prossima visita di Gronchi negli Stati Uniti facendo intendere molto chiaramente che, qualora avesse trovato un favorevole accoglimento, il governo sovietico sarebbe stato ben lieto di invitare il capo dello Stato italiano a recarsi presto anche a Mosca. Gronchi replicò che “in linea di principio” non vedeva alcun ostacolo a tale visita.
490 Luciolli, M. Diciotto mesi al Quirinale con il Presidente Gronchi in Serra, E. (a cura di) Professione Diplomatico Milano, Franco Angeli, 1988, p. 112 e seg.
491 Ibidem
492 Cfr. Bedeschi Magrini, A. op. cit. p. 60; Wollemborg, L. op. cit. p. 31 e Nuti, L. op. cit. p. 38. Interessante osservare come Nuti consideri proprio Wollemborg, a quel tempo corrispondente da Roma per il Washington Post, come l’unico giornalista americano che non abbia ceduto a commenti caratterizzati da toni allarmistici. Per quanto riguarda le reazioni della signora Luce assai emblematico è il resoconto del giornalista statunitense Drew Pearson, già riportato da Nuti, secondo il quale l’ambasciatore americano, che “seguiva lo svolgimento delle elezioni dalla galleria dei rappresentanti diplomatici, scoppiava in un pianto dirotto.” Nuti, L. op. cit. p. 37. Interessanti a tale proposito anche le riflessioni del Governatore dello Stato di New York il quale, dopo una breve visita in Italia e una serie di colloqui con i leader italiani, riferì all’ambasciatore Luce che tra le numerose conversazioni avute, solo quella con il Presidente della Repubblica lo aveva seriamente preoccupato. Secondo le impressioni di Harriman, infatti, Gronchi avrebbe usato tutto il suo potere per distruggere il quadripartito e aprire le porte del governo alla sinistra di Nenni prima che questi avesse effettivamente rotto i rapporti con il partito comunista. FRUS 1955-1957, vol. XXVII, Memorandum of a Conversation, Roma, 23 luglio 1955, p. 282
493 Questi i passi più significativi dell’intervista a Gronchi: “Io dirò al Presidente Eisenhower, da Presidente a Presidente, che l’Italia ha intenzione di riconoscere ufficialmente la Cina comunista e inviterà gli Stati Uniti a rinunciare alla loro opposizione alla sua ammissione alle Nazioni Unite. [..] che il Patto Atlantico corre il rischio di disintegrarsi se non si mandano in vigore le clausole finora apparentemente dimenticate, economiche e politiche. [..] Se gli Stati Uniti vogliono mantenersi alla testa del mondo libero, debbono dimostrare maggiore considerazione per i sentimenti dei propri alleati e addivenire a consultazioni più frequenti e prolungate di quelle frettolose come fu quella improvvisata da Foster Dulles a Parigi, alla vigilia della conferenza dei Capi di governo a Ginevra. La politica estera americana è troppo rigida, troppo inflessibile, l’atteggiamento americano di fronte al comunismo ne è un esempio. [..] occorre che l’Occidente modifichi alquanto il proprio atteggiamento nei confronti dell’unità tedesca o altrimenti il Cancelliere Adenauer rischia di perdere molta popolarità. [..] La presente coalizione italiana dovrebbe scivolare verso la sinistra del centro, il che significherebbe prima di tutto eliminare dal governo il partito liberale.” Quirinale, Archivio Presidenza della Repubblica, [d’ora in poi APR] fasc. Gronchi
494 A tale proposito va rammentato che Martino apparteneva proprio alle fila di quel Partito Liberale che Gronchi voleva allontanare dalla compagine governativa. Sui contrasti tra i due durante il viaggio Luciolli, M. op. cit. p. 130; Ortona, E. op. cit. p. 160
495 Ortona, E. op. cit. p. 153 e seg. Sul frenetico lavoro di preparazione alla visita di Gronchi vd. anche Bedeschi Magrini, A. op. cit. p. 65
Emanuela Limiti, L’Italia e la sicurezza europea nel confronto Est-Ovest (1952-1958), Tesi di dottorato, Università degli Studi “Roma Tre”, Anno Accademico 2005-2006

#1956 #AleksandrBogomolov #ambasciatore #BoothLuce #diplomazia #EmanuelaLimiti #Germania #GiovanniGronchi #ManlioBrosio #MarioLuciolli #neutralizzazione #presidente #progetto #repubblica #StatiUniti #unificazione #URSS #viaggio

Il rapporto Italia-Stati Uniti sulla crisi del ’60 è stato in gran parte trascurato dalla storiografia

Alla luce delle posizioni assunte sia da Tambroni – incline a formare un monocolore “socchiuso” a destra e a sinistra – che dai suoi ipotetici sostenitori, sempre più perplessi, iniziava a perdere colpi il progetto di transizione al centro-sinistra. Da segnalare poi la posizione assolutamente contraria all’apertura delle gerarchie ecclesiastiche <79. Unico possibile rimedio sembrava essere la presentazione di un programma in parte favorevole ai socialisti, o comunque in grado di ottenerne l’astensione. Andava in questa direzione lo schema per il discorso del neopresidente intitolato “Spunti per un programma”. Redatto da Francesco Cosentino, consigliere giuridico del presidente della Repubblica, lo schema non venne seguito in maniera pedissequa. Anzi, proprio sui punti nevralgici che avrebbero potuto edulcorare la posizione socialista, come la nazionalizzazione delle industrie elettriche e il problema della scuola,
Tambroni non tenne conto dei consigli della coppia Gronchi-Cosentino <80. Così, il politico marchigiano incassò la fiducia della Dc e del Msi, che riuscì a portare a compimento la propria strategia legalitaria.
La storiografia sul tema è ancora piuttosto scarsa, ed è stata spesso ostaggio di letture politico-partitiche, peraltro suffragate da una non soddisfacente base documentaria. I primi studi <81 – dal 1960 al 1968 – hanno insistito sulla mobilitazione antifascista di massa e sullo scontro frontale contro il “clerico-fascismo”. Tali lavori, in larga misura, hanno mitizzato la spontaneità dei giovani, riducendo la loro irrequietezza ad una battaglia squisitamente politica. Questa prima tornata di ricerche influenzò la produzione storiografica degli anni ’70 e ’80. Con una certa continuità è emerso il sospetto delle tentazioni golpiste di Tambroni <82. Tra gli studi di questo periodo, Baget Bozzo si è distinto per una posizione critica verso la guida comunista delle manifestazioni <83. A trent’anni dai fatti, ha cominciato a farsi largo una lettura non più solamente politica, ma in grado di allargare l’orizzonte ai cambiamenti sociali e ad altri aspetti a lungo trascurati, come la violenza dei dimostranti e le testimonianze di diversa origine <84.
Il rapporto Italia-Stati Uniti sulla crisi del ’60 è stato in gran parte trascurato dalla storiografia <85, tuttavia il comportamento di Tambroni, che tentò di rilanciare il condizionamento del conflitto bipolare sulla politica italiana, <86 impone un’attenzione ben maggiore. L’incarico, come ha ricordato Nuti, non fu accolto dall’ambasciata con particolare soddisfazione, soprattutto per la vicinanza di Tambroni a Gronchi <87. «Nel breve periodo – ha scritto Zellerbach – non c’era motivo di preoccuparsi, visto che la cooperazione con gli Usa e con la Nato non sarà molto diversa da quella di Segni». Addirittura le prospettive sulla politica estera italiana venivano definite «eccellenti». Tuttavia la scelta non era giudicata «una soluzione felice». Tra i maggiori pericoli legati al nuovo esecutivo c’erano la possibilità di altre «scorribande» neutraliste in politica estera e l’opportunismo del nuovo capo del Governo. Nello stesso tempo la solidarietà di Gronchi, a cui erano legati il futuro e la stabilità del governo, era tutt’altro che assicurata. <88
A fronte della nuova maggioranza, furono immediate le dimissioni dei ministri della sinistra democristiana Bo, Sullo e Pastore. Poi seguì un tentativo – fallito – di Fanfani, che rispecchiava lo stato di confusione in cui versava la Dc, più volte rilevata dagli osservatori statunitensi. Alla fine di aprile Gronchi invitò Tambroni a completare la procedura e presentarsi al Senato. La direzione Dc approvava e l’ampia maggioranza democristiana confermava il nuovo, tormentato governo. Commentando l’investitura, i funzionari di via Veneto [ambasciata americana] non erano in grado di stimare le probabilità che l’esecutivo arrivasse all’estate. Il presidente del Consiglio, in una formula efficace e sintetica, veniva descritto come un uomo «temuto da molti, ma di cui nessuno si fidava» <89.
Tambroni, da par suo, considerava il plauso americano un fattore non secondario per la durata del suo governo. Fu Francesco Cosentino – segretario generale della Camera e consigliere legale di Gronchi – a “sponsorizzare” il governo, ma dall’ambasciata capirono subito l’intento di «far sentire agli Usa qualche parola buona su Tambroni». Pur giudicando Cosentino un contatto utile, rimanevano perplessità sui suoi commenti che talvolta «sapevano di autoritarismo» <90.
Ad accrescere le perplessità americane contribuiva la posizione, assai più allarmista, del ramo analitico della Central Intelligence Agency. Un rapporto parla di un «ritorno dei fascisti praticamente in tutti i campi». Lo stato «anarchico» della politica italiana offriva ai neofascisti due possibilità di intervento: un colpo di stato per prevenire l’apertura ai socialisti, o il tentativo di influenzare la Dc da posizioni democratiche. «Sebbene la ricerca della rispettabilità – si legge – li renda all’inizio alleati poco costosi, potrebbero poi domandare un quid pro quo, per esempio il coinvolgimento nell’occupazione di certe posizioni-chiave del governo e una politica estera più nazionalistica». In questo caso, ammonivano gli analisti dell’Intelligence, era probabile uno spostamento dell’opinione pubblica italiana verso l’estrema sinistra <91.
Tra le preoccupazioni dei servizi segreti, a differenza di quanto scrivevano da Roma, prevaleva il timore di derive autoritarie. Un governo orientato a destra, con ogni probabilità, non sarebbe riuscito a rimanere in carica se non ricorrendo a mezzi illegali. Nonostante mancassero prove di attività golpiste, Tambroni veniva etichettato «il più grande e abile opportunista d’Italia». E l’estrema destra preoccupava per «l’irrequietezza e la crescente capacità di farsi valere». Comunque, qualsiasi presa del potere a destra richiedeva «l’eliminazione o la neutralizzazione del presidente Gronchi» <92. Inoltre il grosso della Dc e altri elementi di centro si sarebbero spostati all’opposizione con la sinistra. Non era escluso, infine, il coinvolgimento di un presunto “Gruppo per la difesa della Repubblica”, che includeva Pacciardi, Giannini, Pella, Romualdi e Gedda, a sostegno di Tambroni <93. Il rapporto si riferiva al convegno organizzato il 26 maggio dal Centro Luigi Sturzo sul tema “La liberazione dal socialcomunismo”.
In questo senso, la preoccupazione nei confronti di Tambroni – a nostro avviso eccessiva – induceva a pensare ad un’attiva rete di contatti per salvaguardare il governo, al punto da considerare un convegno come il punto di partenza per una prova di forza autoritaria. Peraltro, all’incontro promosso dal Centro Sturzo, partecipò anche una figura di sicura fede democratica e antifascista come Enzo Giacchero, già vice-comandante partigiano in Piemonte e prefetto della Liberazione <94. Forze conservatrici di varia estrazione, pur schierandosi contro l’apertura a sinistra, erano ben lontane dall’elaborare un piano organico in difesa del governo. L’Italia del 1960, in altri termini, era ben più complessa e articolata di come poteva apparire.
In aprile ci furono alcuni scontri a Livorno. Secondo le ricostruzioni desumibili dagli atti parlamentari, alla base dei disordini ci sarebbero state provocazioni reciproche da parte di paracadutisti delle forze armate e civili. Il missino Romualdi parlava di «squadre di teppisti aiutati da gente facinorosa, da tempo sobillata dal partito comunista e socialista» che avrebbero assalito una decina di paracadutisti <95. A sinistra, invece, gli incidenti venivano imputati alle forze armate. Cantando inni di guerra, i paracadutisti «provocavano ed assalivano gruppi di civili» <96. Sia l’ambasciata romana che il consolato di Firenze seguirono attentamente gli scontri.
Diversi elementi sarebbero tornati su più vasta scala in agitazioni successive, tra cui quella di Genova. Secondo Francesco Di Lorenzo – prefetto di Livorno ed emblema della permanenza di funzionari fascisti a quindici anni dalla Liberazione <97 – il dato più evidente era l’età estremamente bassa dei manifestanti e l’unico rimedio contro i comunisti era «l’impiego della nuda forza». Molti ufficiali e carabinieri, inoltre, rimasero «sbalorditi dall’organizzazione e dalla disciplina dei rivoltosi». Tuttavia, l’impressione destata dalla forza comunista non aveva avuto un impatto positivo su gran parte della popolazione, preoccupata più che altro delle devastazioni ai negozi e alle automobili. Azioni di questo genere creavano una forbice tra i frequenti discorsi sulla distensione e i comportamenti – in direzione opposta – degli attivisti <98. Emergeva una certa ambiguità all’interno del Pci. Era una frattura importante tra il partito legalitario e la massa di giovani rivoluzionari che volevano portare fino in fondo la lotta proletaria <99.
[NOTE]
79 P. Di Loreto, La stagione del centrismo, cit., pp. 355-360; P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 360. Si veda anche Italian political scene (Memorandum of conversation with Cardinal Siri, Archbishop of Genoa), R. Joyce (Consul General, Genoa) to the Department of State, May 11, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-2360.
80 La vicenda è stata ricostruita da G. Cavera, Il Ministero Tambroni, primo «governo del Presidente», cit. In appendice l’autore riporta lo schema di Cosentino. Si vedano i discorsi alla Camera del 4 e dell’8 aprile 1960, AP, CdD, III legislatura, Discussioni, Seduta del 4 aprile 1960, pp. 13423-13431 e Seduta dell’8 aprile 1960, pp. 13648-13651. Si veda P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 364.
81 A. Parodi, Le giornate di Genova, Editori Riuniti, Roma, 1960; F. Gandolfi, A Genova non si passa, Avanti!, Milano, 1960; R. Nicolai, Reggio Emilia 7 luglio 1960, Editori Riuniti, Roma, 1960; G. Bigi, I fatti del 7 luglio, Tecnostampa, Reggio Emilia, 1960; P.G. Murgia, Il luglio 1960, Sugar, Milano, 1968.
82 G. Mammarella, L’Italia dopo il fascismo, 1943-1968, Il Mulino, Bologna, 1970; N. Kogan, L’Italia del dopoguerra. Storia politica dal 1945 al 1966, Laterza, Roma-Bari, 1974; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 1989.
83 G. Baget Bozzo, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra, cit.
84 L. Radi, Tambroni trent’anni dopo. Il luglio 1960 e la nascita del centrosinistra, Il Mulino, Bologna, 1990; E. Santarelli, Il governo Tambroni e il luglio 1960, «Italia contemporanea», marzo 1991, n. 182; G. Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni Cinquanta e Sessanta, Donzelli, Roma, 1996. C. Bermani, L’antifascismo del luglio ’60, in Il nemico interno. Guerra civile e lotte di classe in Italia (1943-1976), Odradek, Roma, 1997, pp. 141-263; P. Cooke, Luglio 1960: Tambroni e la repressione fallita, Teti, Milano, 2000; G. Formigoni, A. Guiso (a cura di), Tambroni e la crisi del 1960, cit.; A. Baldoni, Due volte Genova. Luglio 1960 – luglio 2001: fatti, misfatti, verità nascoste, Vallecchi, Firenze, 2004. Si veda anche A. Carioti, De Lorenzo e Moro, la strana coppia contro Tambroni, «Corriere della Sera», 26 marzo 2004.
85 Se ne sono in parte occupati solo Nuti e Gentiloni Silveri, si vedano L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 285-299; U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera. Stati Uniti e centro-sinistra 1958-1965, Il Mulino, Bologna, 1998, pp. 49-58.
86 Si veda G. Formigoni, A. Guiso (a cura di), Tambroni e la crisi del 1960, cit., p. 368. Significativo è il fatto che Murgia, citando un editoriale del «New York Times», scrive che «sembra uscito dall’ufficio stampa di Tambroni», si veda P.G. Murgia, Il luglio 1960, cit., p. 139. Sfogliando «L’Unità» e «Il Secolo d’Italia» del luglio 1960 si trova una selezione degli editoriali di molti quotidiani stranieri. Naturalmente la stampa internazionale veniva usata per avvalorare la tesi dell’aggressione da parte delle forze dell’ordine o della provocazione di piazza. Era comunque indicativo dell’attenzione rivolta a quanto scrivevano all’estero per comprovare le proprie idee.
87 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 288.
88 Si veda L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 288-289.
89 Telegram 3999, J. Zellerbach to the Secretary of State, May 6, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-660.
90 Memo of conversation with Francesco Cosentino, Secretary General of the Chamber and Gronchi’s legal adviser, G. Lister (First Secretary of Embassy) to the Department of State, May 11, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-1660. Si veda U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera, cit., pp. 53-54; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 292. Documento parzialmente pubblicato in Così parlò Cosentino, «L’Espresso», 28 luglio 1995, pp. 68-69.
91 Neo-fascists in postwar Italy, CIA, Current Intelligence Weekly Summary, May 12, 1960, http://www.foia.cia.gov
92 The Italian Political Crisis, A. Smith (Acting Chairman, Office of National Estimates) to the Director of Central Intelligence, May 17, 1960, DDEL, WHO, Office of the Special Assistant for National Security Affairs, Records 1952-1961, NSC Series, Briefing notes Subseries, Box 11, f. Italian political situation and U.S. Policy toward Italy, 1953-60. Il riassunto è pubblicato in FRUS, 1958-1960, vol. VII, pt. 2, p. 598.
93 Il leader Gedda avrebbe annunciato «oggi siamo uniti nel pensiero, domani lo saremo nell’azione», Erosion of italian democracy, CIA, Current Intelligence Weekly Review, June 23, 1960, http://www.foia.cia.gov
94 Si veda D. D’Urso, Enzo Giacchero, storia di un uomo, «Asti contemporanea», n. 11, p. 239, http://www.israt.it/asticontemporanea/asticontemporanea11/urso.pdf
95 Dopo l’aggressione contro i paracadutisti i sobillatori bolscevichi cercano un alibi, «Il Secolo d’Italia», 23 aprile 1960; Dalli al parà, ivi.
96 Per gli interventi in Aula si veda AP, CdD, III Legislatura, Discussioni, Seduta del 5 maggio 1960, pp. 13701-13796.
97 Di Lorenzo rimpiangeva i tempi di Mussolini, «quando i poteri del Prefetto non erano limitati da tante assurdità democratiche [democratic nonsense]», si veda Communist involvments in Livorno riots confirmed, M. Cootes (American Consul General) to the Department of State, May 6, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-660.
98 Communist involvments in Livorno riots confirmed, cit. Per una posizione critica nei confronti dei paracadutisti, del Prefetto e del Ministero degli Interni si veda F. Dentice, Livorno: non cercate la donna, «L’Espresso», 1 maggio 1960, pp. 6-7; G. Crainz, Storia del miracolo italiano, cit., p. 171.
99 Utili suggestioni in R. Del Carria, Proletari senza rivoluzione, vol. V (1950-1975), Savelli, Roma, 1979, pp. 23-28, citato in P. Cooke, Luglio 1960, cit., pp. 54-55.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010

#1960 #ambasciata #Aprile #CIA #crisi #DC #EnzoGiacchero #FedericoRobbe #FernandoTambroni #GiovanniGronchi #governo #Italia #Livorno #maggio #MSI #neofascisti #paracadutisti #Piazza #PSI #scontri #StatiUniti