Gronchi pensava alla riunificazione della Germania

Nonostante manchino testimonianze del messaggio originale di Gronchi <487, il testo della risposta letta dall’ambasciatore Bogomolov nel loro successivo incontro (22 febbraio 1956) lascia percepire in maniera piuttosto evidente come il Capo dello Stato italiano si fosse avventurato nel proporre al governo di Mosca un suo personale progetto di unificazione della Germania basato sulla sua neutralizzazione per 20 anni e affiancato dalla realizzazione di concrete misure per il disarmo e per l’effettivo controllo sulla limitazione degli armamenti. Benché l’Unione Sovietica avesse sostanzialmente declinato l’invito del Presidente, nella replica venne esplicitato più volte come il progetto di Gronchi fosse comunque considerato dall’URSS un significativo passo in avanti rispetto ai punti di vista fino a quel momento espressi dall’Occidente. In particolare il governo di Mosca concordava con l’impostazione di raggiungere l’unificazione tedesca procedendo per singole tappe, tranquillizzando nel frattempo l’opinione pubblica internazionale tramite l’adozione di concrete misure per il disarmo, la limitazione degli armamenti e la conclusione di un trattato di sicurezza collettiva europea aperto a tutti i membri dell’Alleanza Atlantica e del Patto di Varsavia. Nonostante queste favorevoli premesse, però, il Cremlino contestava al disegno del Capo dello Stato italiano di non tenere sufficientemente in considerazione la necessità di porre le basi per una riunificazione all’interno della Germania stessa, partendo dal presupposto dell’esistenza di due “governi sovrani [creati] su diverse basi economico-sociali e indirizzati su diversi cammini”. Piuttosto che procedere verso un’immediata organizzazione di elezioni pangermaniche, a Mosca si riteneva più opportuno identificare come primo passo da compiere il raggiungimento di un accordo diretto tra la Repubblica Federale e quella Democratica <488.
Queste osservazioni vennero contestate, però, dal Presidente Gronchi, secondo il quale non sarebbe stato proficuo un accordo fra i due Stati tedeschi prima che fosse stabilita un’intesa fra le quattro potenze proprio sulle condizioni nelle quali la riunificazione tedesca avrebbe potuto essere realizzata. Per il Presidente, infatti, sia il governo federale che soprattutto il governo di Pankow, non rispecchiavano esattamente i sentimenti delle rispettive opinioni pubbliche <489.
Il consigliere Luciolli, che assistette all’incontro nonostante le diverse disposizioni date da Gronchi, il quale evidentemente avrebbe voluto discutere privatamente con l’ambasciatore sovietico come accaduto durante la precedente visita del 25 gennaio, non mancò di commentare il progetto del Presidente della Repubblica con una certa sorpresa mista a una profonda preoccupazione, constatando immediatamente come la proposta di Gronchi si discostasse nettamente dalle posizioni finora tenute dagli occidentali e come un simile disegno avrebbe potuto provocare una seria frattura tra lo stesso Capo dello Stato e gli esponenti governativi. “A quel tempo i governi occidentali puntavano sull’integrazione della Repubblica Federale nell’Occidente e non nella trasformazione della Germania in uno Stato-cuscinetto. Questo atteggiamento era fondato tra l’altro sul convincimento che l’Unione Sovietica non fosse affatto disposta a concedere alla RDG l’autonomia effettiva senza la quale tutta l’operazione non avrebbe avuto senso. La proposta di Gronchi era dunque nettamente contraria alla politica del governo italiano. Lo scopo per il quale Gronchi l’aveva fatta era evidente. Egli stava per recarsi a Washington e aveva pensato che il viaggio avrebbe avuto un risultato spettacolare se egli avesse potuto presentare al governo americano una soluzione del problema tedesco già approvata da quello sovietico. Si trattava, però, di un’iniziativa molto ingenua perché se l’Unione Sovietica avesse davvero voluto acconsentire alla riunificazione della Germania non avrebbe avuto nessun bisogno della mediazione di Gronchi” <490.
Le reazioni dell’esecutivo a una tale iniziativa non si fecero attendere e furono talmente forti che il Presidente dovette ammettere anche davanti all’ambasciatore Bogomolov che la proposta presentatagli altro non era che l’espressione di una posizione assolutamente personale senza alcuna implicazione politica. Una preziosa testimonianza sull’accaduto venne offerta proprio da Mario Luciolli <491, ministro consigliere all’Ambasciata a Washington nominato subito dopo l’elezione di Gronchi consigliere diplomatico del nuovo Capo dello Stato con l’evidente obiettivo di rassicurare gli inquieti ambienti americani. Come precedentemente accennato, in effetti, la reazione statunitense all’elezione di Gronchi, considerato più che un semplice simpatizzante della cosiddetta “apertura a sinistra” e dalla dubbia fedeltà atlantica, fu particolarmente allarmata e maggiormente esacerbata dai duri giudizi provenienti dai corrispondenti americani da Roma e in primis dell’ambasciatore Booth Luce <492. Non contribuì naturalmente a tranquillizzare Washington (per non parlare di ampi strati degli ambienti politici italiani) la famosa intervista concessa dal neo Presidente a Edmund Stevens, inviato del “Christian Science Monitor”, nella quale Gronchi espresse il desiderio italiano di riconoscere la Cina comunista, attaccò palesemente la politica statunitense, colpevole di non tenere sufficientemente conto delle opinioni degli alleati e di rischiare di allontanare la RFT dall’Occidente spingendola pericolosamente verso le attrattive sovietiche, e concluse addirittura auspicando un nuovo governo italiano spostato a sinistra con l’esclusione del Partito Liberale4 <93.
Ritrattazioni e smentite non furono sufficienti a rasserenare del tutto un’atmosfera tanto delicata e tesa, così la visita del Presidente Gronchi e del ministro Martino negli Stati Uniti e in Canada prevista per fine febbraio assunse un valore del tutto particolare e non mancò chi espresse una certa preoccupazione per le possibili esternazioni del Capo dello Stato e per la scarsità di armonia che avrebbero potuto tradire le posizioni di Gronchi e del ministro degli esteri di fronte alla controparte nord-americana <494.
Come ricordato da Ortona, la preparazione del viaggio di Gronchi e Martino caratterizzò interamente il lavoro dell’Ambasciata italiana a Washington nei mesi precedenti la visita <495, anche perché i diplomatici italiani dovettero divincolarsi non senza difficoltà tra le pretese statunitensi che il viaggio si riducesse a semplici “manifestazioni di facciata”, le pressioni del Quirinale di inserire il più possibile incontri dal forte valore politico con i maggiori esponenti del governo di Washington e infine quelle del governo, attento a soddisfare Gronchi ma anche a non superare determinati limiti di carattere costituzionale. Soprattutto l’ambasciatore Brosio si adoperò in modo particolare affinché i colloqui fossero preparati in maniera molto scrupolosa.
[NOTE]
487 La lettera di Gronchi a Bogomolov pare infatti non sia conservata in nessun archivio italiano e nessuno ne menziona l’eventuale presenza negli archivi di Mosca
488 “Messaggio di Voroscilov, letto e lasciato dall’Amb. dell’URSS sig. Bogomolov al Presidente Gronchi, 22 febbraio 1956” Is. St. F. Gr. sc. 81 f. 576. Alla luce del contenuto di tale documento va probabilmente corretta l’affermazione della Bedeschi Magrini che, riportando tale episodio basandosi esclusivamente su quanto riferito da Bartoli (Bartoli, D. Da Vittorio Emanuele a Gronchi Milano, Longanesi, 1961, p. 170-173) sostiene che non vi sia alcuna traccia dell’accaduto nelle fonti ufficiali, vd. Bedeschi Magrini, A. op. cit. p. 68
489 Is. St. F. Gr. sc. 81 f. 576. Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica “Udienza dell’ambasciatore dell’URSS, signor Alexander Bogomolov” Roma, 22 febbraio 1956. L’udienza terminò con un accenno di Bogomolov alla prossima visita di Gronchi negli Stati Uniti facendo intendere molto chiaramente che, qualora avesse trovato un favorevole accoglimento, il governo sovietico sarebbe stato ben lieto di invitare il capo dello Stato italiano a recarsi presto anche a Mosca. Gronchi replicò che “in linea di principio” non vedeva alcun ostacolo a tale visita.
490 Luciolli, M. Diciotto mesi al Quirinale con il Presidente Gronchi in Serra, E. (a cura di) Professione Diplomatico Milano, Franco Angeli, 1988, p. 112 e seg.
491 Ibidem
492 Cfr. Bedeschi Magrini, A. op. cit. p. 60; Wollemborg, L. op. cit. p. 31 e Nuti, L. op. cit. p. 38. Interessante osservare come Nuti consideri proprio Wollemborg, a quel tempo corrispondente da Roma per il Washington Post, come l’unico giornalista americano che non abbia ceduto a commenti caratterizzati da toni allarmistici. Per quanto riguarda le reazioni della signora Luce assai emblematico è il resoconto del giornalista statunitense Drew Pearson, già riportato da Nuti, secondo il quale l’ambasciatore americano, che “seguiva lo svolgimento delle elezioni dalla galleria dei rappresentanti diplomatici, scoppiava in un pianto dirotto.” Nuti, L. op. cit. p. 37. Interessanti a tale proposito anche le riflessioni del Governatore dello Stato di New York il quale, dopo una breve visita in Italia e una serie di colloqui con i leader italiani, riferì all’ambasciatore Luce che tra le numerose conversazioni avute, solo quella con il Presidente della Repubblica lo aveva seriamente preoccupato. Secondo le impressioni di Harriman, infatti, Gronchi avrebbe usato tutto il suo potere per distruggere il quadripartito e aprire le porte del governo alla sinistra di Nenni prima che questi avesse effettivamente rotto i rapporti con il partito comunista. FRUS 1955-1957, vol. XXVII, Memorandum of a Conversation, Roma, 23 luglio 1955, p. 282
493 Questi i passi più significativi dell’intervista a Gronchi: “Io dirò al Presidente Eisenhower, da Presidente a Presidente, che l’Italia ha intenzione di riconoscere ufficialmente la Cina comunista e inviterà gli Stati Uniti a rinunciare alla loro opposizione alla sua ammissione alle Nazioni Unite. [..] che il Patto Atlantico corre il rischio di disintegrarsi se non si mandano in vigore le clausole finora apparentemente dimenticate, economiche e politiche. [..] Se gli Stati Uniti vogliono mantenersi alla testa del mondo libero, debbono dimostrare maggiore considerazione per i sentimenti dei propri alleati e addivenire a consultazioni più frequenti e prolungate di quelle frettolose come fu quella improvvisata da Foster Dulles a Parigi, alla vigilia della conferenza dei Capi di governo a Ginevra. La politica estera americana è troppo rigida, troppo inflessibile, l’atteggiamento americano di fronte al comunismo ne è un esempio. [..] occorre che l’Occidente modifichi alquanto il proprio atteggiamento nei confronti dell’unità tedesca o altrimenti il Cancelliere Adenauer rischia di perdere molta popolarità. [..] La presente coalizione italiana dovrebbe scivolare verso la sinistra del centro, il che significherebbe prima di tutto eliminare dal governo il partito liberale.” Quirinale, Archivio Presidenza della Repubblica, [d’ora in poi APR] fasc. Gronchi
494 A tale proposito va rammentato che Martino apparteneva proprio alle fila di quel Partito Liberale che Gronchi voleva allontanare dalla compagine governativa. Sui contrasti tra i due durante il viaggio Luciolli, M. op. cit. p. 130; Ortona, E. op. cit. p. 160
495 Ortona, E. op. cit. p. 153 e seg. Sul frenetico lavoro di preparazione alla visita di Gronchi vd. anche Bedeschi Magrini, A. op. cit. p. 65
Emanuela Limiti, L’Italia e la sicurezza europea nel confronto Est-Ovest (1952-1958), Tesi di dottorato, Università degli Studi “Roma Tre”, Anno Accademico 2005-2006

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