UNICORNO-o-il-libro-delle-peosie di Davide Cortese
… sento dire nei viali alberati dei talk show e leggo nei giornali patafisici del nostro tempo frasi fatte, frasari fritti e usufritti, frasari mono-uso, di plastica o di plastilina come : «Punto di caduta, Trovare la quadra, Alto profilo, Inciucio, Squadra di governo, Sgrammaticatura istituzionale, elezioni anticipate…» etc.
«Si tratta di linguaggi usufritti, plastificati, posiziocentrici, già fatti, pronti per l’impiego» scrive Giorgio Linguaglossa, linguaggi che tendono a nascondere più che a svelare il reale stato delle cose. Così avviene anche nella narrativa, in poesia e nei linguaggi degli ermeneuti, quelli che scrivono le illibate prefazioni dei libri di poesia, in quei linguaggi poetici ci sono fraseologie stereotipate che vanno bene per tutti gli usi e per tutti gli utenti.
Si tratta di linguaggi plastificati di pensieri plastificati. Oggi viviamo tra pensieri plastificati e parole plastificate avvolti nel cellophane che tutti capiscono all’istante. Siamo arrivati al punto che è davvero difficile oggi evitare l’uso, inconsapevole, di linguaggi siffatti. Si tratta di linguaggi di plastica monouso, prendi e getta, di linguaggi pubblicitari. La gran massa dei libri della letteratura encomiastica di oggidì è scritta con questo tipo di linguaggi. Quando vado in libreria spesso apro a caso un libro e leggo quello che c’è all’interno. Accade che richiuda subito il libro inorridita e disgustata. Siamo dentro un universo di linguaggi analogici e oncologici, che crescono a dismisura di propria sponte. Così, i poeti della nuova ontologia estetica fanno libri fitti di assenze, dove i testi semplicemente sono altrove, hanno traslocato, hanno cambiato indirizzo, le pagine si rivelano ultronee e altranee come nelle tre antologie: a due voci Excalibur (che ospita voci di due avatar che parlano da pianeti disseminati nel cosmo: Giorgio Linguaglossa e Francesco Paolo Intini), e Excapitur (voci distopiche di Giuseppe Talia e Giorgio Linguaglossa), oppure, ancor più compiutamente nella antologia Exodus (che ospita undici voci distopiche che parlano da esopianeti dispersi nel cosmo mediante gli Avatar di Tiziana Antonilli, Raffaele Ciccarone, Alfonso Cataldi, Marie Laure Colasson, Giuseppe Gallo, Francesco Paolo Intini, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa, Mimmo Pugliese, Antonio Sagredo, Giuseppe Talia), tutti libri editi da Progetto Cultura nel 2024. I poeti hanno preso spunto dalla science-fiction, da un nuovo concetto di poiesis kitchen, si sono rivolti all’arte figurativa e/o a-figurativa. Quel che occorre fare oggi in poesia è riterritorializzare frammenti, tracce, orme, lessemi, impulsi, abreazioni, rammemorazioni, idiosincrasie, tic, vissuti, dimenticanze, obblivioni; attaccare post-it e segnalibri, segnali semaforici e somatizzazioni, pixel, oggetti trash, pseudo trash, codicilli… questo spetta alla poiesis più aggiornata e allarmata, questo è compito della poiesis senza più voler sondare chissà quali profondità mitiche, mnestiche e/o metafisiche; in fin dei conti, tutte le tecniche sono parenti strette della Tecnica con la maiuscola che afferisce al Signor Capitale e ai suoi epifenomeni: gli esseri umani: gli acquirenti consumatori di merci e di fantqasmi, gli acquirenti di esistenza. Il Capitale è cognitivo, pensa, sa, ma l’arte ne è consapevole? Se sì, allora dismetta gli abiti di scena, adotti la strategia del camaleonte, si mimetizzi tra gli oggetti, tra le orme, fra le tracce, diventi magma, macchia, struttura dissipata e/o dissipativa, voglia essere un oggetto più oggetto di altri da usare e gettare via; voglia essere un oggetto meno oggetto di altri, voglia essere un conglomerato di orme, di tracce di oggetti scomparsi, luminescenze, rifrazioni di oggetti sprofondati in chissà quale superficie lunare.
Scriveva Franco Fortini nei suoi appunti di poetica nel 1962:
«Spostare il centro di gravità del moto dialettico dai rapporti predicativi (aggettivali) a quelli operativi, da quelli grammaticali a quelli sintattici, da quelli ritmici a quelli metrici (…) Ridurre gli elementi espressivi. La poesia deve proporsi la raffigurazione di oggetti (condizioni rapporti) non quella dei sentimenti. Quanto maggiore è il consenso sui fondamenti della commozione tanto più l’atto lirico è confermativo del sistema».
Io mi permetterei di modificare (e attualizzare) il pensiero di Fortini così:
Spostare il centro di gravità del moto dialettico dai rapporti predicativi (aggettivali) a quelli modali, figurali, da quelli grammaticali a quelli a-sintattici, da quelli ritmici a quelli a-metrici (…) occorre moltiplicare e mixare gli elementi espressivi. La nuova poesia deve proporsi la raffigurazione di relazioni modali non certo quella dei sentimenti o delle emozioni. Quanto maggiore è il consenso sui fondamenti della commozione e delle emozioni tanto più l’atto lirico è confermativo del sistema. La nuova poesia non deve essere confermativa di alcunché, tantomeno dell’esistenza dell’io e delle sue emozioni, nonché delle forme-poesie cadute in perenzione.
(Marie Laure Colasson)
L’antesignano della poetry kitchen, Ennio Flaiano:
Mino, ricordi la marcia su Roma ?
Io avevo dodici anni, tu ventuno
Io in collegio tornavo e tu a Roma
guidavi la squadraccia dei Trentuno.
Mino ricordi ? Alle porte di Roma
ci salutammo. Avevi il gagliardetto
il teschio bianco, il pugnale tra i denti.
Io m’ero tolto entusiasta il berretto
ricordi ?
Tu eri perfetto nella divisa di bel capitano.
Io salutavo agitando il berretto.
Tu andavi a Roma, io andavo a Milano”
Nel 1960, al Teatro Lirico di Milano, dalla Compagnia di Vittorio Gassman fu messo in scena Un marziano a Roma, il suo lavoro più impegnativo, dovuto anche al non benevolo pubblico milanese. Come scrisse l’autore: “era inutile recitare davanti a un pubblico di visoni”. Narra di un extraterrestre, Kunt, atterrato a Villa Borghese e portato in trionfo, intervistato, ricevuto dalle più alte cariche dello Stato, fotografato accanto a Moravia e Carlo Levi e poi, col passare dei giorni, viene ignorato, considerato come un uomo qualunque. E quando l’alieno va al ristorante, all’improvviso si sente chiamare: “Ah, Marzià” si gira e giù una fragorosa pernacchia. Umiliato, scappa e ritorna su Marte.
“I secoli hanno lavorato per produrre questo individuo di stanche ambizioni, furbo e volubile, moralista e buon conoscitore del codice, amante dell’ordine e indisciplinato, gendarme e ladro secondo i casi. Nazionalista convinto, vi dice come si doveva vincere l’ultima guerra e a chi si potrebbe dichiarare la prossima. Evade il fisco ma nei cortei patriottici è quello che fiancheggia la bandiera e intima ai passanti: «Giù il cappello»!”. Ed ora il secondo brano: “Italia, Paese di porci e di mascalzoni. Il Paese delle mistificazioni alimentari, della fede utilitaria (l’attesa del miracolo a tutti i livelli) della mancanza di senso civico (le città distrutte, la speculazione edilizia portata al limite), della protesta teppistica, un Paese di ladri e di bagnini (che aspettano l’estate), un Paese che vive per le lotterie e il gioco del calcio, per le canzoni e le ferie pagate. Un Paese che conserva tutti i suoi escrementi”.
“La lingua italiana non è adatta alla protesta, alla rivolta, alla discussione dei valori e delle responsabilità, è una lingua buona per fare domande in carta da bollo, ricordi d’infanzia, inchieste sul sesso degli angeli e buona, questo sì, per leccare. Lecca, lecca, buona lingua italiana, infaticabile fa il tuo lavoro per il partito e per i buoni sentimenti …”.
A proposito del libro di poesia di Mario Lunetta, uscito nel 2009 per Manni editori, Un poema da compiere, scrive Francesco Muzzioli:
«Questi versi sono un processo, un viaggio e una visione. È un “poema da compiere”. Non finito, non finibile, come l’orrore che viviamo. Il filo principale è quello del percorrimento della penisola, il compendio storico-geografico della catastrofe definitiva. Non si può aver compreso il testo e non fare nulla. La poesia ci chiama in causa, il testo ci cita come testi». (Francesco Muzzioli)
da L’allenamento è finito, poesie 2006-2016 di
Mario Lunetta
Zuppa inglese
Siamo ormai, contro il parere di tutti gli esperti, alla seconda
& ultima deriva dei continenti in cui saldatura & disgregazione,
violenza & sovrumano silenzio si contaminano al modo
di un’immensa zuppa inglese spappolata da una serie di urti
durante il trasporto su un’auto duramente incidentata, in una o l’altra
di queste nostre città coperte dalla neve calda delle polveri sottili,
luoghi gloriosi che sono solo, ormai, trappole per topi, ormai,
che sono, sì, lo sono ormai definitivamente, non facciamoci illusioni
e chi s’è visto s’è visto, bimbi cari.
Ma lei, la fata siliconata, ci sorride dal teleschermo, ci invita
anche con troppo impegno, già, ci invita a chissà quale party, chissà
quale partouze – & il teleschermo lascia scorrere annoiato
la sequenza della deriva dei continenti attraverso le Twin Towers,
alla maniera di un western planetario con sfondo terra-mare.
C’è già, dicono, una major di Hollywood che ha firmato
un contratto col padreterno per un movie catastrofico
da concludersi naturalmente con un happy end, noi ci portiamo addosso
questo raffreddore da almeno una settimana, fuori piove
come nelle migliori tradizioni primaverili, siamo un popolo sazio
& sufficientemente stupido, non si vede in giro neanche
troppa preoccupazione per i probabili effetti
collaterali, no problem,
il film si farà, intanto già molti amici ci chiedono uno
di quei deliziosi lacrimatoi pompeiani di cui facciamo collezione,
ce lo chiedono mica per ghiribizzo archeologico ma per piangerci
dentro (& conservare le lacrime per un possibilepost hoc): anche
la commozione è un piatto che si consuma freddo, n’est-ce pas?.
Sono degli ingenui, sempre in attesa di un dopo migliore, con un po’
più di luce, una lisca di speranza, illusioni, orizzonte, decalcomanie
dell’immaginazione. Hanno facce troppo emotive, peccato
(& il cuore debole come quello di tutti i fumatori
troppo distratti).
Ignorano che non ci sarà neppure un dopo, in questo universo dopato male.
(25 marzo 2006)
di Carlo Bordini
Una ragazza…
Una ragazza abita in casa mia e dice di essere mia moglie
si comporta come una moglie mi abbraccia dice che mi ama
e assomiglia a una moglie
assomiglia a quelle mogli carine che si vedono nella pubblicità in televisione
e che camminano sulle passerelle coi vestiti
e anche lei in effetti sorride sempre
e dice che siamo sposati
mi bacia
[è molto gentile].
in effetti io mi ricordo che una volta ci eravamo sposati
ma non sapevo che era una cosa che durava tutti i giorni
ogni tanto penso un giorno o l’altro ci sposiamo poi scopro che lo siamo già
mi ricordo che è vero quello che dice che ci conosciamo da circa due anni
lei dice che è innamorata che siamo innamorati
SUICIDIO
Nulla di ciò che è vivo mi interesserà
Sarà come non essere mai nato
Che è il mio sogno di sempre
Non ricorderò nulla.
Non ricorderò nemmeno di essere morto
Non saprò mai di essere stato vivo
E non saprò
Di averti amata
Gli altri si meraviglieranno
Si chiederanno perché.
Non capiranno.
Se sarò bravo
non mi accorgerò nemmeno del passaggio
Non ricorderò nemmeno di aver scritto questa poesia
di Maria Rosaria Madonna propongo questa poesia:
È un nuovo inizio. Freddo feldspato di silenzio.
Il silenzio nuota come una stella
e il mare è un aquilone che un bambino
tiene per una cordicella.
Un antico vento solfeggia per il bosco
e lo puoi afferrare, se vuoi, come una palla di gomma
che rimbalza contro il muro
e torna indietro.
(da Stige. Tutte le poesie 1990-2002)
Carlo Bordini è sicuramente un poeta che può essere messo accanto a Mario Lunetta e a Maria Rosaria Madonna, tre poeti che potrebbero, anzi dovrebbero, entrare in qualsiasi antologia della poesia italiana del novecento. La nuova ontologia estetica nasce attorno al 2018 preceduta dagli approfondimenti e dai dibattiti fioriti sull’Ombra delle Parole. L’Ombra si è occupata di Carlo Bordini a più riprese quando era ancora in vita. E anche dopo. La poesia di Francesco Paolo Intini, ad esempio, vuole essere affine al rumore, è per principio intralinguistica e interlinguistica. E questo è un segnaposto della nuova poesia rimasta priva di qualsiasi ontologia linguistica, quella che noi chiamiamo poesia kitchen. Propongo una mia poesia inedita da Corridoio con Interni (2008-2010), che accompagna lo sviluppo della nuova ontologia estetica:
Giorgio Linguaglossa
Stanza n. 19
ogni lunedì spedisco a me stesso una lettera
e, dal martedì al sabato, aspetto con ansia il postino…
spero sempre in un ritardo delle poste, un imbroglio,
un incidente di percorso
mi spalmo Vicks Vaporub, unguento per uso inalatorio
nel naso,
il collirio Tobral per gli occhi, assumo un antidolorifico,
un antinfiammatorio,
chissà…
uno sciopero dei facchini alla stazione,
un blocco dei taxi
una manifestazione, i dimostranti no-vax, no-tap, no-mask,
un incendio nel magazzino delle Poste, insomma
spero in un esercizio dilatorio,
in un imprevisto qualsiasi che mandi il programma
a farsi benedire…
Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa 30×70 cm acrilico 2020
Ivan Pozzoni
SENZA ANDARE A CAPO
Non mi va di abbeverarmi – bue con velleità da toro-
alle fonti intirizzite d’arti da trivio, triviali,
di volta in volta, d’inchinarmi alla corte del Gran Khan,
abbaiando senza mordere,
chiedendo scusa alla carta bianca dei miei mille rivoli d’inchiostro,
mutati n vita, resuscitati da attimi di rigor mortis.
Non mi va, insomma, d’andare a capo,
vittima d’un verso sciapo,
canopo di sentimenti,
imbalsamando momenti contundenti
tra stenti, mani vincenti
e camere ardenti
d’amori inconcludenti
d’umore cupo.
Non mi va, insomma, d’andare a capo,
spezzando corde vocali lungo baratri di dirupo,
stella cadente senza paracadute
oste sorpreso nell’atto di rimescolar cicute,
scrivo senza soste
tenendo strette strette, in pugno,
manciate di roventi caldarroste.
Davide Cortese, classe 1974, è un artista dell’isola di Lipari. Ha all’attivo numerose mostre personali e collettive. Dal 2013 fa parte del gruppo performativo ArtistiInnocenti. Ha illustrato diversi libri e curato varie copertine. Per le edizioni Escamontage ha illustrato la copertina di “Discreta la lontananza” di Silvia Bove. La sua prima raccolta di poesie risale al 1998 ed è titolata ES (Edas). A questa sono seguite le sillogi: Babylon Guest House (LibroItaliano), Storie del bimbo ciliegia (Autoproduzione); ANUDA (Aletti), Ossario (Sacco), Madreperla ( LietoColle), Lettere da Eldorado ( Progetto Cultura), Darkana ( LietoColle), “Vientu” (Progetto Cultura) e Zebù bambino (Terra d’ulivi Edizioni). I suoi versi sono inclusi in numerose antologie e riviste cartacee e on-line, tra cui “Poeti e Poesia”, “Nazione Indiana”, “Poetarum Silva”, “Atelier” e “Inverso”. Nel 2004 le poesie di Davide Cortese sono state protagoniste del “Poetry Arcade” di Post Alley, a Seattle. Il poeta eoliano, che nel 2015 ha ricevuto in Campidoglio il Premio Internazionale “Don Luigi Di Liegro” per la poesia, è anche autore di due raccolte di racconti: Ikebana degli attimi, NUOVA OZ, del romanzo Tattoo Motel (Lepisma), della monografia “I MORTICIEDDI – Morti e bambini in un’antica tradizione eoliana” (Progetto Cultura), della fiaba “Piccolo re di un’isola di pietra pomice” (Progetto Cultura) e di un cortometraggio, Mahara, che è stato premiato dal Maestro Ettore Scola alla prima edizione di EOLIE IN VIDEO nel 2004 e all’EscaMontage Film Festival nel 2013. Ha inoltre curato l’antologia-evento “YOUNG POETS – Antologia vivente di giovani poeti, GIOIA – Antologia di poeti bambini (Progetto Cultura. Con fotografie di Dino Ignani) e “VOCE DEL VERBO VIVERE – Autobiografie di tredicenni” (Escamontage).
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