Festa del Cinema 2025: Game Over

Cronache dall’Auditorium (Sabato 25 Ottobre)
Come vi ho raccontato due giorni fa, ieri ho dovuto rinunciare ai quattro film che avevo prenotato e all’intera giornata di Festa a causa della convocazione sul set del nuovo film di Mel Gibson, dove ho fatto la comparsa. Sarebbe stupendo potervi raccontare qualcosa ma, come potete immaginare, non posso. Però ho visto Mel Gibson ed è stata un’esperienza divertente, seppur piena di momenti morti. Fatto sto che sono tornato all’Auditorium soltanto stamattina, per il mio ultimo film, che aspettavo davvero tanto. L’ultima fatica del premiatissimo duo Cohn-Duprat, dei quali vi ho raccontato su queste pagine praticamente tutta la filmografia (dall’esordio con L’Artista, presentato proprio alla Festa di Roma, fino a Finale a Sorpresa, passando per El Hombre de al Lado, Il Cittadino Illustre, Il Mio Capolavoro), è un film a episodi che vede Guillermo Francella mattatore assoluto, nelle vesti di sedici personaggi diversi. Ora, io non sono assolutamente un amante dei film a episodi, preferisco farmi un viaggio di due ore all’interno della stessa storia, per questo non credo succederà mai di trovarmi qui a esaltare un film costruito in questo modo. Non fa dunque eccezione Homo Sapiens?, nuova opera del duo argentino, che vive di alti e bassi, di idee geniali e di corti meno convincenti. Il più interessante forse è proprio l’incipit e, non sapendo che si trattava di un film a episodi, stavo già sbavando all’idea del film che avrei visto. Insomma, Francella a parte, che è un fenomeno (forse lo ricorderete nei panni di Pablo Sandoval in quel capolavoro de Il Segreto dei Suoi Occhi), non è un film che mi resterà nel cuore, sicuramente meno interessante rispetto ai precedenti di Cohn-Duprat. C’è sicuramente qualcosa de I Mostri di Dino Risi, forse il re dei film a episodi, perché alcuni personaggi sono delle vere canaglie: c’è tanta Argentina però, quindi tanta umanità, tanta meschinità, tanta passione, tanta malinconia.

La Feste del Cinema per me finisce qui, dopo dieci giorni più o meno intensi, talvolta stancanti (ma chi sono per lamentarmi?), pieni di cose belle. 21 film visti, oltre alle Masterclass di Linklater e Panahi. I più belli? Su Letterboxd ho dato il valore massimo a Un Semplice Incidente (esce in sala il 6 novembre, andateci), seguito a ruota da Nouvelle Vague (che uscirà a febbraio o marzo, sic, ma con una vpn sarà possibile vederlo su Netflix già da novembre…). Quindi, a condividere l’ultimo gradino del podio, l’ottimo Nino di Pauline Loques e Put Your Soul on Your Hand and Walk di Sepideh Farsi. Altri film che meritano una menzione, in ordine sparso: 40 Secondi, Cinque Secondi, California Schemin’, Mad Bills To Pay, Eddington, Hen e If I Had Legs I’d Kick You (questi ultimi due probabilmente si contendono l’ultimo posto disponibile per la mia personale Top 5). Come ogni anno però devo essermi perso almeno due o tre filmoni (basti pensare che due anni fa non mi vidi As Bestas di Sorogoyen, ad esempio): quest’anno il film da vedere era probabilmente Hamnet di Chloe Zhao (che uscirà in Italia a febbraio), mentre sento pareri importanti nei confronti di O Agente Secreto di Kleber Mendonça Filho, che si presentava con il biglietto da visita del miglior attore e della miglior regia dell’ultimo Festival di Cannes. Poco male, prima o poi riuscirò a recuperare anche questi.

Oggi dunque c’è la cerimonia di premiazione e non troverete altri articoli in cui vi dico quali film hanno vinto, o quali attori. Lo trovate su ogni sito, ovunque, non è per darvi informazione che trovate dappertutto che scrivo ogni giorno su questo blog: è per dirvi qualcosa che nessuno racconta, per provare a trasmettervi la sensazione di essere all’Auditorium con me, a vedere le stesse cose che vedo io. Ergo: non so chi vincerà, né lo scriverò. Ma sono curioso di scoprirlo, quello sicuramente. Allora, che Festa è stata per me? Come dicevo prima, intensa e bella. Sento tante persone lamentarsi (io in primis: a livello organizzativo c’è bisogno di fare qualcosa in più, perché le cose che funzionano male sono molte), sento spesso dire in giro che è una manifestazione che non ha senso, che andrebbe chiusa: a dirlo però sono tutte persone che vanno a Cannes e a Venezia. Per noi, poveri cristi, che abbiamo la possibilità di seguire solo questo evento di cinema, nella nostra città, è ossigeno, è amore, è passione, sono dieci giorni unici all’interno di un anno. Dieci giorni che ti danno la possibilità di vedere film che non vedresti mai, oppure di vedere film che avresti potuto vedere al cinema, all’interno però di una manifestazione dove tutti parlano di questo, dove tutti respirano la stessa aria. Dieci giorni dove puoi incontrare Richard Linklater tre o quattro volte durante il giorno, ascoltare Jafar Panahi parlare di cinema, consegnare il tuo libro a Valerio Mastandrea, avere Abel Ferrara seduto dietro di te in sala e fotografare Jennifer Lawrence o Rose Byrne. E poi tutto il resto, le chiacchiere, gli incontri, le persone. Sono vent’anni che vado alla Festa del Cinema, vent’anni in cui mi domando: “questa è stata l’ultima volta?”. Chi lo sa il prossimo ottobre cosa farò, dove sarò, se il lavoro mi permetterà di prendermi questa pausa (quest’anno ho dovuto mettere una montagna di appuntamenti prima e dopo la Festa del Cinema, con il risultato che devo ancora finire di consegnare alcune foto e con due shooting già in programma per la prossima settimana, oltre a un evento a Cinecittà domani, in cui esporrò le mie foto e una nuova presentazione del mio libro, martedì alle 18.30 da YellowKorner, nel quartiere Prati). Questa è la cosa più difficile con cui fare i conti: il fatto che il mondo vada avanti nonostante tu abbia due o tre film da vedere. Con le cronache dall’Auditorium spero che ci vedremo l’anno prossimo. Grazie per aver seguito il diario, ci vediamo su queste pagine con i prossimi film. Viva il Cinema, viva la Festa del Cinema di Roma.

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E pure questa Festa…

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Festa del Cinema 2025:

Cronache dall’Auditorium (Giovedì 23 Ottobre)
Andiamo subito al dunque. Oggi con Mary Bronstein, Rose Byrne e Jafar Panahi: ho avuto giorni peggiori. Stamattina ero indeciso se scendere alle 8.45 o se tenermi fresco per il resto della giornata, ma giacché dovevo comunque stare in piedi alle 8 per prenotare i film di sabato, indovinate un po’ come è andata a finire? Esatto.

Mi piacerebbe tantissimo arrivare con calma, come facevo gli altri anni, fare colazione, bere un bel cappuccino e addentare un cornetto. Purtroppo però la grande pensata di quest’anno è stata di anticipare le proiezioni stampa del mattino alle 8.45, un quarto d’ora prima rispetto all’orario normale. Chi vive a Roma sa di cosa parlo: 15 minuti al mattino, soprattutto per chi si muove con i mezzi pubblici o deve attraversare la città in auto, sono davvero oro colato. Purtroppo i cervelloni che si occupano di preparare il programma vivono fuori dalla realtà ed è così che, tra prenotazioni obbligatorie alle 8 del mattino (pena non trovare biglietti per le proiezioni) e film anticipati di un quarto d’ora, i ritmi sono piuttosto serrati. Per farla breve: alle 8 ho prenotato i film, poi sono uscito di casa e alle 8.45 ero seduto in sala. Lo avrei evitato, a dirvi la verità, ma giacché c’ero stamattina mi sono visto questa nuova versione di The Toxic Avenger di Macon Blair, con Peter Dinklage nel ruolo del “supereroe” e Kevin Bacon in quello del cattivone. Il film è un reboot del cult degli anni 80, un film che, in quanto b-movie per antonomasia, aveva un suo straordinario senso: era puro intrattenimento, senza sottotrame famigliari o star che gigioneggiano (per quanto Kevin Bacon lo sappia fare benissimo). Questa nuova versione ha qualche trovata divertente, certo, ma è come il ricco che si finge povero: non gli credi.

La seconda proiezione di giornata è If I Have Legs I’d Kick You di Mary Bronstein è senza dubbio il film da vedere oggi. Rose Byrne è una madre sull’orlo di un esaurimento nervoso: sua figlia ha bisogno di cure costanti, la sua casa ha un buco enorme nel soffitto e per questo lei e la bambina si devono trasferire in un motel. In tutto ciò suo marito sarà fuori due mesi per lavoro, quindi ogni incombenza, ogni impegno, ogni minimo problema ricade sulle spalle della donna. Rose Byrne, premiata a Berlino per questa interpretazione sontuosa, regge praticamente il film sulle sue spalle, anzi sul suo volto, visto che la regista indugia gran parte del tempo sul primissimo piano dell’attrice: reggere metà film soltanto con il viso non è da tutte. In tutto ciò il film è davvero molto bello, intenso, con idee di regia per nulla banali.

La conferenza stampa con la regista e l’attrice è il pretesto per avvicinarmi a scattare qualche foto, per il resto l’altro grande appuntamento di oggi è alle 16.30, per l’incontro con Jafar Panahi, regista dello straordinario film che abbiamo visto ieri (e di molti altri che invito sempre a recuperare). Il regista iraniano si racconta con ironia e passione, ad esempio quando spiega come è riuscito a realizzare film in clandestinità durante gli anni in cui gli era stato proibito di fare film: “So fare solo questo, se fossi rimasto a casa mia moglie avrebbe chiesto il divorzio. Così mi sono messo in un taxi e ho girato Taxi Teheran. C’è chi lo chiama “cinema clandestino” o “cinema della rivoluzione”, io in realtà ho fatto quei film perché se no sarei morto di noia”. Più avanti spiega l’approccio che usa normalmente con gli attori: “Prima di ogni scena gli faccio leggere i dialoghi, di cosa parla la scena, poi gli chiedo di dimenticarsene. Voglio che i loro dialoghi partano da un punto e arrivino a un altro punto, ma le parole che usano ce le mettono loro, così possono recitare più liberamente”.

L’incontro è davvero bello, uno dei migliori degli ultimi anni, e gli applausi sono scrocianti. All’uscita, mentre rifletto sul programma di domani (devo vedere quattro film!), mi arriva finalmente la convocazione per il film di Mel Gibson: dovrò presentarmi domani mattina alle 6.45! Entro su Boxol e, un po’ a malincuore, cancello le prenotazioni per i film di domani. Poi penso che farò un’esperienza davvero particolare, quindi placo i miei rimpianti. L’appuntamento con il diario, l’ultimo per quest’anno, sarà allora dopodomani, quando vedrò l’attesissimo (per me) film della coppia Cohn-Duprat, due registi che amo davvero tanto. A sabato!

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“Vendimi questa penna”. Ah, no, quello era un altro film… (foto AT)

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Festa del Cinema 2025: Sono Solo Film

Cronache dall’Auditorium (Martedì 21 Ottobre)
Ricordate quando lunedì sera scrissi che martedì avrei preso un giorno di pausa? Scherzavo! In realtà un fondo di verità c’è stato. Ieri ho recuperato un po’ di sonno e saltato le proiezioni del mattino, anche perché mi sembrava che non ci fosse nulla da togliermi il sonno. Sono sceso all’Auditorium alle 15.30 per un indie statunitense di quelli che piacciono a me, che mi fanno venire voglia di girare film. Mad Bills To Pay (Or Destiny, Dile Que No Soy Malo) di Joel Alfonso Vargas è uno di quei film composti da inquadrature fisse, all’interno delle quali si muovono i personaggi: è la storia di Rico, un ragazzo di 19 anni che vive nel Bronx e vende bibite sulla spiaggia. Accidentalmente, Rico mette incinta la sua ragazza Destiny, che viene cacciata di casa e si ritrova a dover vivere a casa del ragazzo. Di fronte a spese sempre più grandi e le continue divergenze con sua madre e sua sorella, Rico è costretto a crescere in fretta e prendersi le sue responsabilità, se vuole diventare la persona che sogna di essere. Lo sapete quanto mi piacciono i film indipendenti, girati in ambienti reali, con persone reali, attori esordienti o quasi e una montagna di cuore, anima, amore per le storie, per il cinema. Non è un film perfetto, tutt’altro, ma da parte mia sentirete solo sostegno per questo tipo di cinema. Bello, mi è piaciuto e per fortuna ha giustificato il fatto di essere venuto alla Festa del Cinema appositamente per questo film. La giornata è stata talmente breve da dover accorpare le cronache di ieri a quelle di oggi, quindi continuiamo il racconto e spostiamoci direttamente a mercoledì.

Cronache dall’Auditorium (Mercoledì 22 Ottobre)
Alla Festa del Cinema ormai le cose vanno così, già da qualche anno. Quando avevo qualche anno in meno e qualche capello in più, trascorrevo praticamente le giornate all’Auditorium, guardandomi anche quattro o cinque film, poi tornavo a casa, scrivevo recensioni, montavo video, dormivo il minimo sindacale e la mattina dopo ero di nuovo là. Come facevo, non ne ho idea. Ora le cose sono un po’ cambiate, anche perché lì al Parco della Musica ci sono due sale in meno rispetto ai primi anni, anzi tre, contando pure la Santa Cecilia: questo significa meno repliche, meno possibilità di costruirsi un calendario più folto ma anche più comodo. Ma le cose sono cambiate anche perché, come dicono a Cantù Cermenate, “non mi regge più la pompa”: quel che voglio dire è che, prima dell’inizio della Festa, preparo un calendario di proiezioni che ho intenzione di seguire e i propositi sono sempre ottimi. Poi però i giorni vanno avanti, la stanchezza si accumula e comincia a pensare: “Dai, questo film portoricano me lo potrei evitare”, oppure “vabbè ma alla fine questa storia mi interessa davvero?”. Una volta entrata una domanda del genere in testa, è difficile poi tornare indietro, la cosa più facile da fare è andare sul famigerato Boxol e cancellare la prenotazione per quel film. E guadagnare così due-tre ore in più per stare a casa a scrivere, a lavorare, a occuparti della tua vita normale. Ora siamo entrati in quella fase, quella appunto in cui cominci a cercare i trailer dei film che ti restano da vedere per capire se ne vale la pena (a volte, come nel caso del film di ieri, decisamente sì). Non c’è stato bisogno di farsi alcuna domanda però stamattina, né di sentire il bisogno di guardare alcun trailer: alle 8.45 infatti ero puntualmente seduto in sala Sinopoli in attesa dell’inizio della Palma d’Oro di Cannes, It Was Just an Accident di Jafar Panahi, un regista che amo, di cui ho visto tutto quello che avevo modo di vedere. Anche stavolta il regista iraniano gira il film in totale segreto, senza permessi, e anche stavolta realizza qualcosa di stupendo, una riflessione profonda sul ruolo di vittima e carnefice, sull’umanità, sulle conseguenze che ha ogni azione. Il film si apre sull’interno di un’automobile di notte: al volante c’è il padre di una famiglia composta da moglie incinta e una bambina vispa e solare. Improvvisamente l’uomo investe un cane e questo piccolo incidente procurerà un piccolo danno all’auto, che dovrà fermarsi per una riparazione improvvisa. Da qui comincia una serie di eventi che porterà l’uomo ad essere rapito e a circondarsi di aguzzini pronti ad eliminarlo: ma perché? Chi è quest’uomo? Cosa è successo anni prima? Lo scoprirete guardando questo film straordinario: sarà in sala il 6 novembre e non potete assolutamente perdervelo.

Dopo il film di Panahi decido di tornare a casa, sempre per quel discorso di prima. Cancello la prenotazione per il film portoricano delle 15 (che forse non era neanche tanto male, ma pazienza) e, con il viso vicino alla finestra, osservo la pioggia che cade. Alle 19.30 ho un altro film, ma vale davvero la pena prendere di nuovo l’auto, scendere all’Auditorium, guardarsi un film di cui sai poco o nulla e poi tornare a casa dopo le 22, senza aver mangiato? Davvero: chi ce lo fa fare? Eppure, alle 19.30, eccomi seduto là, al Teatro Studio, in attesa della proiezione. Deve esserci qualcosa che non funziona in noi, noi malati di cinema intendo, qualcosa di irrazionale, che non puoi spiegare. Perché come lo spieghi alle persone tutto questo sbattimento? Sono solo film! O forse no.

Our Hero Balthazar, esordio di Oscar Boyson, racconta ciò che già sappiamo abbastanza bene: cioè che gli statunitensi, fondamentalmente, sono un popolo di pazzi violenti e ossessionati da armi e social media. Un ragazzo, per far colpo sulla compagna di scuola (che è un’attivista contro le armi), decide di partire da New York verso il Texas per convincere un tipo, con cui aveva avuto alcuni scambi su instagram, a rinunciare al suo proposito di entrare in una scuola e sparare a tutti. L’idea di base, per quanto fuori di testa, non sarebbe neanche male, ma è davvero difficile star dietro a un protagonista così insopportabile. Se il film mi è piaciuto? Così così. Se ne è valsa la pena andarlo a vedere? Decisamente (anche perché seduto alle mie spalle c’era Abel Ferrara!). Con questo stiamo a quota 18 film in una settimana, non c’è male come media: ah, ovviamente 18 film soltanto alla Festa del Cinema, perché altri 3 li ho visti a casa la sera, per non farmi mancare nulla. Sì, lo so, sono solo film. Ma non credo che supereremo mai questa fase.

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Festa del Cinema 2025: Abbiamo Tutti Bisogno di Uova

Cronache dall’Auditorium (Giovedì 16 Ottobre)
La voce di Billy Corgan mi butta giù dal letto alle 7.40 (sì, 1979 è la suoneria della mia sveglia, ma ho anche dei difetti). Oggi è un giorno particolare, festeggio il compleanno, l’ennesimo passato a vedere film durante la Festa del Cinema. Il problema più che altro sarà la mattina successiva, ma questo è un altro discorso. La giornata è stata parecchio lunga, mi perdonerete se sarò un po’ meno prolisso del solito, ma forse è meglio così.

Come ogni anno, la prima canzone che ascolto al mattino è Thunder Road di Springsteen: il primo sole del mattino riscalda il Foro Italico, mentre sono fermo al semaforo a cantare a squarciagola. Sono pronto a cominciare il secondo giorno di Festa. Alle 9 entro in Teatro Studio per un film greco, Hen, di Argyris Pandazaras: è la storia di una gallina, dal momento in cui viene deposto l’uovo fin quando raggiunge l’età adulta. In mezzo a tanti attori cani, il cinema ci mostra che le galline possono essere invece interpreti straordinarie: il potere del montaggio e di una colonna sonora adeguata può davvero rendere coinvolgente la narrazione su qualunque cosa! A ogni modo, questa sorta di live action di Flow in versione pollame rischia seriamente di essere il grande gioiello della ventesima edizione della Festa del Cinema. Se vi capita, non perdetevelo, anche perché come ci ha insegnato Woody Allen: abbiamo tutti bisogno di uova.

Alle 11 invece è il turno di Quentin Dupieux, celebre negli anni 90 nelle vesti di dj (lo ricorderete probabilmente come Mr Oizo, soprattutto per la pubblicità dei Levi’s con il pupazzo Flat Eric): il suo L’Accident de Piano parte da un’idea originale e intrigante, ma non è in grado di portarla avanti con coraggio e, anzi, si rifugia in una soluzione facile, ovvero la butta in caciara usando la violenza come appiglio facile per accalappiare consensi. Ma voi, che non siete fessi, non ci cascherete. Adele Exarchopoulos, imbruttita all’inverosimile (se credete possibile questo ossimoro), è una content creator divenuta celebre per una serie di video in cui si infligge le sofferenze più assurde senza percepire alcun dolore (il suo “talento” è provocato da una malattia che le impedisce di avvertire sofferenza fisica). Odiosa come poche, non ha mai rilasciato interviste, ma un’ambiziosa giornalista scopre un segreto che potrebbe stroncarle la carriera e le offre un accordo: il suo silenzio in cambio di una lunga intervista. A metà film c’è un momento in cui pensi che il film potrebbe finalmente decollare, invece il regista decide di accontentarsi, offrendoci una minestrina che serve a poco, in mezzo a tanta neve.

Il regalo di compleanno, se possiamo definire regalo due ore di emozione rabbiosa, di frustrazione e bisogno di giustizia, arriva alle 16 con il documentario della regista iraniana Sepideh Farsi, Put Your Soul On Your Hand and Walk. La regista riesce a contattare una ragazza di 24 anni che vive a Gaza e, per circa un anno, registra le videochiamate che fa con lei. Fatem, con un sorriso che illumina il mondo, parla di tutto: delle bombe, della famiglia, della sua passione per la fotografia, dei suoi sogni, della voglia di visitare Roma, del desiderio di un pezzo di cioccolata. Le chiamate con la regista sono come un confessionale che la ragazza utilizza per raccontarsi e raccontare ciò che sta succedendo in Palestina (oltre a mostrarci le straordinarie fotografie che ha scattato in giro per Gaza). “Non ci batteranno mai perché noi sorridiamo ancora”, afferma Fatem, con la dolcezza di chi crede ancora in un futuro migliore. In sala, a poche poltroncine da me, c’era la regista Sepideh Farsi: la sua emozione a fine film, dopo lunghi minuti di applausi, è uno dei ricordi preziosi che porterò con me da questa edizione della Festa del Cinema.

Dopo tutto questo è stato strano andare a riempirmi di birra e carbonara per festeggiare i miei 44 anni, ma la vita, finché c’è, va festeggiata. Contro tutto il male, contro tutto lo schifo. Viva il cinema.

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L’emozione di Sepideh Farsi a fine proiezione (foto AT)

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Festa del Cinema 2025: Here We Go!

Cronache dall’Auditorium (Mercoledì 15 Ottobre)
La sentite anche voi quest’aria strana? C’è qualcosa intorno a noi, un po’ come nel sottosopra di Stranger Things. Ma dove siamo finiti? Temo di conoscere la risposta: dev’essere di nuovo quel periodo dell’anno. Deve essere tornata la Festa del Cinema di Roma. E queste devono essere di nuovo le mie Cronache dall’Auditorium, quel diario di bordo, quel taccuino di viaggio che condivido con voi, amici cinefili e amiche cinefile, lungo tutta la Festa del Cinema di Roma. Diamoci dentro, allora. Come direbbe Fabrizio Romano: HERE WE GO!

Non comincerò come sempre dicendovi che la prima volta che ho messo piede alla Festa del Cinema ero uno studentello di 25 anni, con uno zaino pieno di sogni e di belle speranze. Avevo detto che non lo avrei detto, ma mentivo: siamo all’edizione numero 20 e io c’ero, Gandalf, quando nel 2006 Nicole Kidman, Martin Scorsese e Leo DiCaprio aprivano le danze alla prima edizione, ero lì il giorno in cui la forza degli uomini venne meno (soprattutto vedendo Monica Bellucci nel suo prime passeggiare sul tappeto rosso), ero lì quando Viggo Mortensen si fermava davanti alla mia videocamera per farsi intervistare. Quando pensavo che per quell’intervista avrei vinto il Pulitzer. Ero pieno di sogni, ve l’avevo detto. Detto ciò, diciannove anni dopo, rieccoci sempre qui, con molti meno sogni e speranze decisamente imbruttite, ma con quella cosa che mi butta giù dal letto dopo cinque o sei ore di sonno per andarmi a vedere un gruppo di persone che si muovono e parlano dentro uno schermo. La chiamano passione, dicono.

Le cose della vita mi hanno riportato, temporaneamente, nella poco ridente Monte Mario, quartiere più alto di Roma ma decisamente più vicino alla Festa del Cinema rispetto al gioiello di Roma Sud, la Garbatella, che mi ha visto risiedere felicemente per ben dodici anni (seppur costringendomi ad attraversare Roma alle 8 del mattina in auto o in bici per raggiungere l’Auditorium). Essendo a dieci minuti d’auto dalla Festa, ho il tempo di fare colazione con comodo, una doccia che avrebbe dovuto cacciare il bisogno di dormire ancora e sedermi al pc per prenotare le proiezioni di dopodomani (se avete seguito il diario degli anni scorsi, saprete che c’è una cosa diabolica chiamata Boxol, un sito sopra il quale ogni mattina alle 8 è possibile prenotare un posto per gli eventi del dopodomani). Per essere sicuro di fare refresh nel momento esatto in cui escono i posti, quest’anno mi sono attrezzato con un orologio atomico che mi permetterà di essere uno dei primi ad entrare sulla piattaforma, per evitare la coda e soprattutto non perdermi l’evento per il quale spero di aprire gli occhi ogni mattina: l’incontro con Richard Linklater di lunedì prossimo (lo potrò prenotare sabato mattina, se ci riesco).

Dopo aver agevolmente prenotato le tre proiezioni che intendo seguire venerdì prossimo, mi metto in macchina e, insieme alla mia fidata Bobby Jean (la mia Panda rossa), sfreccio in discesa verso il quartiere Flaminio. Stamattina la Festa apre alle 8.30, visto che Eddington, il film di Ari Aster con Joaquin Phoenix, Pedro Pascal ed Emma Stone, dura 2 ore e mezza (e le proiezioni successive cominciano alle 11, per chi ci dovrà o vorrà andare). Quando arrivo sembra tutto uguale: certo, è cambiato il manifesto e di conseguenza ci sono pannelli differenti affissi alle pareti e sugli stand, ma a parte questo mi sento già risucchiato nel sottosopra della Festa del Cinema. Non ho il tempo di soffermarmi troppo sui dettagli perché sono quasi le 8.30 e il film sta per cominciare. Mi dirigo verso il Teatro Studio e, davanti alle porte della sala, salgo i gradini che mi porteranno alla poltroncina che avevo prenotato due giorni fa. Arrivato all’ultimo scalino mi trovo davanti la folla di giornalisti, conoscenti, amici, che ogni anno popola la rassegna romana: la sensazione mi ricorda quella di quando sali gli scalini dello Stadio Olimpico e, improvvisamente, la scena si apre sulle tribune e sulle curve, gremite, vive, rumorose. Insomma, mi sono sentito a casa.

Parlavamo di Eddington, dunque. Siamo in un piccolo villaggio del New Mexico, dove Joaquin Phoenix è sceriffo di una centrale di polizia composta solo da lui e da altri due elementi, Pedro Pascal è il sindaco che vuole appoggiare la costruzione di un enorme data center sul terreno comunale, Emma Stone è la moglie dello sceriffo, depressa, apatica, vagamente interessata a strampalate teorie del complotto. In tutto questo siamo in piena pandemia Covid, con le sue paure e qualche episodio di isteria collettiva. A sconquassare la quotidianità della cittadina c’è anche il caso dell’assassinio d George Floyd, che scatena focolai di protesta tra gli attivisti più giovani. In questa enorme quantità di carne sul fuoco, si dipana la vera storyline del film: Joaquin Phoenix, stufo di ciò che vede, decide di candidarsi come nuovo sindaco della città. Come spesso capita nei film di Ari Aster (vedi Midsommar), il tema (anzi, i temi) del film e ciò che si vuole raccontare è molto più interessante rispetto alla storia che viene mostrata. Detto ciò, il film funziona bene, ha anche due o tre momenti piuttosto spassosi, ma si regge interamente sulle possenti spalle di Joaquin Phoenix, che fa davvero il bello e il cattivo tempo, facendosi amare, poi odiare, poi compatire e via dicendo. Dai, è un buon inizio per la Festa del Cinema.

Oggi è andata così, non ho visto altro, ma da che mondo è mondo il primo giorno si guarda sempre e solo un film, un po’ per riabituarsi a certi ritmi, per riprendere confidenza con le scomodissime poltroncine dell’Auditorium, per ritrovare un po’ di quell’aria di cui vi parlavo in apertura. Il programma di domani prevede tre film, il mio quarantaquattresimo compleanno (spero di trovare il tempo per un brindisi!) e la presenza di Ari Aster sul tappeto rosso. Restate nei dintorni, perché ne vedrete delle belle.

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“Apriamo sta ventesima edizione, su”

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#NewBook

In questa nuova uscita della collana Consonanze, Matteo Cesena indaga sul lessico impiegato dalle cronache per parlare delle istituzioni veneziane del Trecento, ricostruendone l'etimologia e le relazioni con la cultura del tempo.

⬇️ https://libri.unimi.it/index.php/consonanze/catalog/book/242?mtm_campaign=mastodon

#Venezia #Cronache #Medioevo

ADORO IL GENIO - CRONACHE NATALIZIE

Una #raffichetta per celebrare il #natale appena passato. E a voi? Com'è andata? Strascichi?

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Dopo un lungo silenzio, la distroedizioni La Marmaglia e il Molinari InfoPoint di Crema sono lieti di invitarvi a:

NON SOLO AFA!

Ore 19.00// Chiacchierata con Cronache Ribelli

a seguire apericena

Sabato 11 giugno
Arci Ombriano, via Lodi 15, Crema

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Dalla Madre Terra alla Landa selvaggia passando per il Leviatano

di Sandro Moiso Fredy Perlman, Contro la storia, contro il Leviatano, Bepress Edizioni, Lecce 2013, [...]

Carmilla on line
oggi ho stretto la mano a una nuova vicina, speriamo non si sia offesa
#cronache
#ViP
#vitaInprovicia