Capitolo 393: Una Notte d’Autunno
Da che mondo è mondo, dicembre è usualmente il mese in cui si corrono a recuperare tutti quei film, più o meno meritevoli, che ci siamo persi durante l’anno, in modo da poter stilare la classica lista dei film più belli dell’anno con cognizione di causa. In questo 2024, tuttavia, ho visto talmente tanta roba che mi ritrovo ora senza dover recuperare quasi nulla (a parte l’ultimo di Almodovar, che conto di vedere al più presto), quindi se avete consigli su cose davvero imperdibili uscite in sala quest’anno, fatevi sotto adesso o tacete per sempre (scherzo, non smettete mai di consigliarmi cose belle). Tra le altre cose, non sono neanche entrato ancora nel mood dei film natalizi, quindi aspettatevi l’ottocentesimo rewatch di Love Actually, presto o tardi.
Gloria – Una Notte d’Estate (1980): Gloria è forse il nome femminile più utilizzato nei titoli dei film, quindi è bene specificare che in questo caso si tratta dello splendido Leone d’Oro vinto da John Cassavetes, qui al suo terzultimo film. Il film comincia con una ragazza che entra in un condominio e si sente minacciata da qualcosa o qualcuno: è passato un minuto e sei già agganciato. La donna è la moglie di un pentito della mafia, sul quale pende una condanna a morte. All’arrivo dei gangster, giunti sul posto per far fuori tutta la famiglia, il marito affiderà alla vicina Gena Rowlands il figlioletto. La nostra è riluttante ma è costretta ad accettare suo malgrado: comincerà un viaggio tra le strade di New York con i due fuggitivi braccati dai mafiosi. Era da tempo che non vedevo un film così bello e coinvolgente, dove può succedere di tutto e non sai proprio cosa aspettarti. Gena Rowlands inoltre è straordinaria, iconica, totale. Gloria è stato scelto come film preferito per il progetto Film People, che come sempre vi invito a seguire.
••••½
Milano Calibro 9 (1972): Al Teatro Palladium, giusto sotto casa mia, si è svolto come ogni anno il bel festival cinematografico Cinema Oltre, dove c’è sempre occasione per vedere ottimi film e incontrare professionisti del settore. Quest’anno, in chiusura di questi quattro giorni, è stata proiettata la versione restaurata di questo cult di Fernando Di Leo, in cui Gastone Moschin è un malvivente appena uscito di galera, sospettato dai suoi “colleghi” di aver trafugato un bottino importante prima di essere arrestato. Il nostro deve guardarsi le spalle per tutto il film, in un vorticoso viaggio nei meandri di una Milano cupa e pericolosa, dove risuona però una splendida colonna sonora. Nelle immagini di Di Leo c’è tanto (ma tanto) Jean-Pierre Melville, soprattutto Frank Costello Faccia d’Angelo, sia nei costumi che nello stile, la fotografia algida e, ovviamente, i temi. Bellissimo.
•••½
Witches (2024): Interessante documentario di Elizabeth Sankey che racconta, attraverso le testimonianze di diverse donne (lei compresa), la depressione post-partum, analizzando il rapporto tra la salute mentale e le streghe nella cultura popolare. Il lavoro è senza dubbio notevole e, osservando la qualità del documentario, prodotto con un budget più che importante, in tutta onestà però devo ammettere che non si tratta di un argomento sul quale mi soffermerei per un’ora e mezza, ma questo è ovviamente un problema soggettivo. Bellissimo l’uso di immagini tratte da decine e decine di film, da Rosemary’s Baby a Suspiria, da The Witch a Ragazze Interrotte, un perfetto tappeto visivo per le parole in sottofondo. Se il tema vi interessa, trovate il documentario su Mubi.
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Close Your Eyes (2023): Film spagnolo di Victor Erice, in selezione ufficiale a Cannes. Per un quarto d’ora ti chiedi cosa stai guardando, poi la storia prende tutta un’altra direzione e la trovata è davvero splendida: un attore è sparito durante la lavorazione di un film e ormai sono 30 anni che non si hanno più sue notizie, finché una trasmissione non riapre il caso intervistando il suo più caro amico, nonché regista di quel film. La cosa più bella è che si tratta di un film dalle molteplici letture: c’è il rapporto tra realtà e finzione cinematografica, il discorso sul cinema che preserva la memoria ma c’è anche il tema dell’identità (la primissima inquadratura è su una scultura di Giano Bifronte), visto che diversi personaggi hanno più nomi, sia personaggi del film, che quelli del film nel film (oltre al bebé che deve ancora nascere). “Che cos’è un nome?”, dice il protagonista a un certo punto. Tutto bello, tutto interessante, tutto affascinante (compresa la meravigliosa Soledad Villamil, indimenticabile ne Il Segreto dei Suoi Occhi di Campanella), eppure non mi ha mai emozionato per un istante. Peccato.
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Berlin, I Love You (2019): Maldestro tentativo di replicare la meravigliosa bellezza di Paris, Je T’Aime (del 2006, ve ne ho parlato qui). Un conto però è avere registi come i Coen, Cuaron, Payne, Salles o Van Sant, tra gli altri, un altro è non averli, con tutto il rispetto per chi ha diretto i dieci episodi di questa raccolta tedesca. Lo schema è sempre lo stesso del film di Parigi (e di quelli successivi su Tokyo e Rio): una raccolta di cortometraggi che hanno come tema l’amore, ambientati ovviamente nella città del titolo. C’è Jim Sturgess che si innamora di un’auto, Keira Knightley alle prese con Helen Mirren, Diego Luna transessuale che discute di amore con un adolescente e via dicendo. Le storie però sono deboli e la bellezza di Berlino non basta a salvarsi da un prevedibile naufragio. Se proprio non potete farne a meno, lo trovate su Prime.
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Nosferatu il Principe della Notte (1979): Incipit stupendo e terrificante, che ti trascina subito dentro al film, come solo i grandi maestri come Herzog possono fare. Il regista tedesco, a suo dire, con questo remake del capolavoro di Murnau voleva creare un ponte tra l’espressionismo tedesco degli anni 20 e il nuovo cinema tedesco degli anni 70, di cui lui e Wenders sono stati i più illustri esponenti. La storia è quella del vampiro di Bram Stoker (che qui tra l’altro si chiama proprio Dracula) e nei panni del non morto c’è Klaus Kinski, che stranamente invece di infondere follia al personaggio, lo rende invece quasi umano, malinconico, forse la cosa più bella del film. Per il resto il film non mi è sembrato essere invecchiato stupendamente, ma questo potrebbe anche essere perché l’ho rivisto pochi giorni dopo aver amato la nuova versione di Robert Eggers (trovate la recensione completa qui!), esteticamente clamorosa. L’opera di Herzog resta comunque un lavoro affascinante, che merita di essere recuperata soprattutto prima di andare a scoprire il nuovo Nosferatu, che uscirà in sala il 1° gennaio.
•••½
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