Una costante rappresentata sia dai numerosi depistaggi, sia dagli apparati statali che obbedivano a logiche diverse rispetto a quelle democratiche
Come si è detto, molti (intellettuali, politici, giudici ecc.) hanno dato ai fatti accaduti in quegli anni un’interpretazione unitaria del fenomeno terrorista di matrice neofascista come di una gigantesco sistema di protezione del potere ordito dalla classe dirigente del Paese. Una classe dirigente senza scrupoli avrebbe guidato le operazioni terroristiche (e golpiste) allo scopo di trarre vantaggi politici (rafforzare deboli coalizioni governative, ottenere il voto degli elettori) e per eliminare il pericolo del sorpasso delle forze di sinistra. Il terrorismo nero non sarebbe stato altro che un componente di un piano molto più ambizioso: “la strategia della tensione”.
Questa posizione può essere riassunta nel famoso articolo di Pasolini pubblicato sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974 e dal titolo “Cos’è questo golpe? Io so”. <54 Una visione degli anni di piombo che godette di grandissima popolarità e conta ancora oggi un gran numero di sostenitori. <55
Tuttavia, un’immagine così unitaria dell’eversione neofascista non pare sufficiente a spiegare il fenomeno. Leggendo l’opera di Satta, centrando l’attenzione sull’attività degli apparati dello Stato coinvolti nella lotta antiterrorista ed esaminando i fatti, ci si rende conto che questi presentano una realtà contraddittoria e spesso rendono impossibile usare un’unica chiave interpretativa.
Analizzando cronologicamente l’attività terrorista di matrice fascista, ad esempio, si osserva che le date degli attentati non coinciderebbero con nessun concreto successo del PCI. <56 Non sarebbe dunque possibile giungere all’unica conclusione che questa non possa che essere considerata come una risposta anticomunista, dovuta al pericolo rappresentato dai crescenti successi del PCI in ambito politico. Invece, lo stragismo sarebbe stato, secondo Satta, la manifestazione di una strategia antisistema, antidemocratica e anticapitalista. Lo dimostrerebbero ad esempio le parole di Franco Freda, <57 nonché il fatto che una volta fallito l’obiettivo di destabilizzazione dell’ordine democratico, gli stessi terroristi avrebbero fatto un passo indietro. <58
D’altra parte, non si possono dimenticare le irregolarità commesse durante i processi, le collusioni dimostrate tra servizi segreti e ambienti neofascisti, le responsabilità dei dirigenti politici, degli organi di stampa, il coinvolgimento di istanze straniere, aspetti negativi solo parzialmente compensati dall’operato e dagli esiti in parte positivi di indagini e processi che avevano finito per individuare almeno la matrice degli attentati e messo in luce le irregolarità e collusioni di cui sopra.
Mirco Dondi giunge ad inserire il terrorismo degli anni di piombo all’interno della costruzione di uno “Stato intersecato”, nel quale diverse strutture si sovrapponevano facendo sì che uomini dei servizi segreti fossero allo stesso tempo parte delle organizzazioni eversive. <59 Le conseguenze sulla vita democratica di tale struttura sarebbero state devastanti: non solo attentati terroristici, ma la possibilità di influire sulle nomine delle forze armate e degli apparati di sicurezza, e condizionando la giustizia.
Invece, parlare di un vero e proprio “terrorismo o stragismo di Stato”, parrebbe improprio, essenzialmente perché “Stato” è un concetto complesso, in cui intervengono soggetti assai diversi tra loro. Durante “gli anni di piombo” le istituzioni dello Stato e della società civile (apparati di polizia, della magistratura, rappresentanti politici, i sindacati) hanno lavorato duramente e in una situazione sommamente difficile per sconfiggere il terrorismo. Mentre non esisterebbero prove che «un ceto dirigente di governo o una sua parte significativa abbiano pianificato stragi e assassinii». <60
Secondo Satta, questo uso improprio del concetto di strage, che si è propagato a macchia d’olio fra i giovani di sinistra e questa visione dello Stato italiano come di un assassino che addirittura pianifica gli attentati, si sommava, o ne era la conseguenza, ad un antistatalismo già diffuso nel Paese. <61 All’epoca ebbe senz’altro delle conseguenze importantissime e gravi, contribuendo a creare un ambiente propizio alla legittimazione di una risposta terroristica e violenta.
Tornando a Pasolini, si deve ricordare che il suo punto di vista non era né quello dello storico, né del giurista, ma di un intellettuale, un poeta, la cui missione, potremmo dire, è quella di illuminare i comuni mortali su una verità che va oltre i dati di fatto. Il contributo di Pasolini rimane estremamente prezioso in un’epoca nella quale la prassi comune nella società italiana, dalle istituzioni statali alla familia, era comunque quella di mettere a tacere tutto quello che poteva risultare scomodo. Era la voce di chi, dotato di una particolare sensibilità, avvertiva gli scompensi del sistema e voleva muovere le nuove generazioni a prendere in mano le redini della propia vita e a ricercare la verità attivamente, anche oltre le apparenze. Si trattava inoltre di una critica necessaria che avrebbe propiziato il dibattito fra le forze politiche e le diverse istanze della società e attraverso il quale si potè avanzare nel chiarire e organizzare un’efficace risposta al terrorismo, una risposta che, per vincere, doveva provenire dall’insieme della società italiana.
[NOTE]
54 Pier Paolo Pasolini, “Cos’è questo golpe? Io so”, in Corriere della Sera, 14 novembre 1974, in http://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html, consultato il 02/08/18.; Mirco Dondi, L’eco del boato…, cit., p. 395. Dondi precisa che l’articolo di Pasolini uscì pochi giorni dopo l’arresto del generale Vito Miceli che era stato capo del Sid, accusato di cospirazione contro lo Stato.
55 Tra questi c’è ad esempio Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica, Einaudi, Torino 2011, p. 525. Il titolo dell’articolo di Pasolini è stato poi più volte ripreso, riutilizzato e adattato da molti anche in tempi recentissimi (come ricorda Guido Vitiello nel suo articolo “Più Sciascia e meno Pasolini”, in La Lettura, supplemento domenicale del Corriere della Sera, 19 dicembre 2012, in http://lettura.corriere.it/piu-sciascia-meno-pasolini/, consultato il 28/08/18), come nel caso del magistrato Antonio Ingroia, autore insieme a Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza del libro Io so, Chiarelettere, 2012, che cerca di ricostruire la verità dei rapporti fra mafia e Stato.
56 Vladimiro Satta, I nemici della Repubblica…, cit., p. 428.
57 Vladimiro Satta, I nemici della Repubblica…, cit., p. 263 e ss.
58 Secondo Satta, il terrorismo di matrice fascista si fu progressivamente debilitando, non tanto per i meriti delle forze di polizia o dei servizi segreti, ma più probabilmente perché vide poco a poco sfumare i suoi obiettivi politici. Vladimiro Satta, “La risposta dello Stato al terrorismo: gli apparati e la legislazione”, in Vene aperte del delitto Moro: terrorismo, PCI, trame e servizi segreti. – (Radici del presente), Firenze, Mauro Pagliai, 2009, p. 241.
59 Mirco Dondi, L’eco del boato…, cit., p. 400 e ss. L’autore individua tre livelli: i Nuclei di difesa dello Stato, di emanazione statale; la Rosa dei Venti e la Loggia P2 con importanti rappresentanti delle istituzioni; ON, AN, Fronte nazionale, Mar e Ordine nero, “cinque organizzazioni i cui atti criminosi sono coperti dalle istituzioni”. Le prime tre avrebbero avuto funzioni superiori rispetto alle altre.
60 Sono queste le parole dello storico Giovanni Sabbatucci nell’intervista rilasciata a Gian Guido Vecchi e pubblicata con il titolo “Lo stragismo di Stato? Categoria che non esiste”, in Corriere della Sera, 15 settembre 2008, in https://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera/20080915/281805689734907, consultato il 10/07/17. Secondo Sabbatucci: «Terrorismo di Stato è il nazismo, naturalmente. Sono Stalin, il regime militare argentino, i colonnelli greci […] Ma deve avere una regia politica, istituzionale. […] E invece in Italia la formula si è ripetuta con disinvoltura».
61 Alessandro Naccarato, Difendere la democrazia…, cit., p. 26.
Lilia Zanelli, Gli anni di piombo nella letteratura e nell’arte degli anni Duemila, Tesi di dottorato, Università di Salamanca, 2018
In questo contesto, il 17 maggio 1973, davanti alla Questura di Milano, durante una cerimonia in memoria del commissario Luigi Calabresi, lo scoppio di un ordigno provocò la morte di quattro persone. Subito arrestato, l’attentatore Gianfranco Bertoli si professò anarchico: una versione smentita successivamente dalle indagini della magistratura, da cui emersero contatti di rilievo con i servizi segreti italiani e, indirettamente, con quelli statunitensi <952. Anzitutto, si appurò che il Bertoli fosse un uomo della destra eversiva, vicino alla cellula veneta di On e a Carlo Maria Maggi. Bertoli inoltre era stata una fonte informativa del Sifar e poi del Sid, con tanto di retribuzione, e proprio da parte degli organismi di intelligence era scattata, subito dopo l’azione, la protezione e la copertura finalizzata a coprire l’identità politica dell’attentato. L’obiettivo della strage era quello di attentare alla vita di Rumor, presente alla commemorazione, colpevole di non aver proclamato lo stato di emergenza subito dopo la strage di Piazza Fontana e di aver promosso lo scioglimento di On nel febbraio 1972. In linea più generale, tuttavia, la strage si proponeva di determinare uno stato di caos e di tensione tale da rendere necessaria una svolta autoritaria. La matrice anarchica dell’attentato serviva solamente a mimetizzare i veri mandanti e responsabili dell’attentato, esattamente secondo le linee indicate nel Field Manual 30-31 e nel piano Chaos, volto a introdurre in gruppi di estrema sinistra elementi mimetizzati appartenenti a servizi di sicurezza o comunque legati agli ambienti estremisti, convincendo la popolazione che i colpevoli della strage fossero da individuare a sinistra. Per queste ragioni, e per tutti gli elementi emersi dalle inchieste giudiziarie che collegano Bertoli ad ambienti della destra e dell’intelligence, l’attentato alla Questura di Milano non può ritenersi un gesto isolato, ma va inserito all’interno della strategia della tensione e di un quadro costituito oltreoceano e già entrato in attività nei precedenti attentati che, attraverso una sofisticata opera di mimetizzazione, ha posto in essere l’operazione di occultamento della vera identità di Bertoli.
[…] I riflessi della svolta del 1974 si ebbero anche in Italia. Gli eventi susseguitisi durante tutto l’arco dell’anno fanno infatti pensare “a un mutamento parziale di strategia della Cia all’interno del blocco occidentale e dunque anche in Italia” <959. La portata di questo cambiamento si coglie nelle parole di Giovanni Pellegrino: “L’obiettivo strategico non mutò: restò ferma cioè la direzione di contrasto all’espansionismo comunista; a mutare furono i mezzi, meno rozzi e più sofisticati, cui fu affidato il perseguimento dell’obiettivo. Le tensioni sociali non sarebbero state più artificiosamente acuite nella prospettiva di creare le precondizioni di un golpe o comunque di una involuzione autoritaria delle istituzioni democratiche. Nel permanere e nel consolidarsi di queste, le tensioni sociali sarebbero state soltanto, in qualche modo ed entro certi militi, “tollerate” al fine di utilizzarne l’impatto su settori dell’opinione pubblica favorevoli al consolidamento elettorale di soluzioni politiche non eccessivamente sbilanciate a sinistra e sostanzialmente moderate” <960. Secondo questa ipotesi, pur continuando ad essere importante l’obiettivo di stabilizzare il quadro italiano, del quale preoccupavano soprattutto l’apertura a sinistra e le tensioni sociali, la strategia aggressiva che aveva caratterizzato l’operato degli Usa in Italia subì una battuta di arresto <961.
Gli aiuti finanziari occulti iniziarono ad essere distribuiti in maniera più cauta, evitando di destinarli ad esponenti dell’estrema destra e ai singoli candidati, e preferendo invece programmi elettorali circoscritti e ben definiti <962. Le forze che in Italia avevano tentato di sovvertire l’ordine democratico, si ritrovarono improvvisamente senza appoggio. In questo contesto appare comprensibile anche la decisione del governo italiano di colpire i vertici dello stato e gli esponenti delle organizzazioni più compromessi con l’eversione di destra <963.
[NOTE]
952 Il processo nei confronti di Bertoli, colto in flagranza, si concluse rapidamente con una condanna all’ergastolo emessa dalla Corte d’assise di Milano il 1° marzo 1975, confermata sia in appello che in cassazione e divenuta definitiva l’anno dopo. Più lungo fu invece l’iter del processo cui furono sottoposti Carlo Maria Maggi, Francesco Neami, Giorgio Boffelli, Amos Spiazzi e Carlo Digilio, accusati di essere stati i mandanti della strage e rinviati a giudizio il 18 luglio 1998 dal giudice istruttore di Milano Antonio Lombardi. A giudizio fu rinviato anche il generale Gian Adelio Maletti, capo del Reparto D del Sid, accusato di omissione di atti d’ufficio nonché di sottrazione e soppressione di atti e documenti riguardanti la sicurezza dello Stato. Le vicende giudiziarie e i fatti del 17 maggio sono ricostruiti da: P. Calogero, Questura di Milano, via Fatebenefratelli (17 maggio 1973), in A. Ventrone (a cura di), L’Italia delle stragi, cit. pp. 69-77.
959 N. Tranfaglia, La strategia della tensione e i due terrorismi, in C. Venturoli (a cura di), Come studiare il terrorismo e le stragi. Fonti e metodi, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 42-43.
960 G. Pellegrino, Proposta di relazione, in Commissione stragi, cit. p. 116.
961 P. Pellizzari, La strage di piazza Loggia e l’occhio statunitense, in “Storia e Futuro. Rivista di storia e storiografia”, 20, giugno 2009, disponibile al link: http://storiaefuturo.eu/strage-piazza-loggia-locchio-statunitense/.
962 Gli aiuti poi saranno interrotti nel mese di dicembre 1974, per opposizione del Congresso allo stanziamento di 6 milioni di dollari da parte di Ford. C. Gatti, Rimanga tra noi, cit. pp. 144-145.
963 L. Cominelli, L’Italia sotto tutela, cit. p. 167.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020
Dunque, dobbiamo sempre tenere conto di due elementi di fondo che per l’intelligence statunitense erano imprescindibili: una totale fedeltà atlantica (sancita pubblicamente con la firma del patto NATO) da una parte e un intransigente anticomunismo dall’altra. Gli americani, per assicurarsi che le nuove strutture italiane corrispondessero ad almeno uno di questi due principi, adottarono due linee diverse per l’uno e per l’altro servizio: – Per riformare il servizio militare si appoggiarono all’ambiente dell’antifascismo bianco e del lealismo monarchico, coi quali avevano già collaborato durante la guerra dopo l’otto settembre, e dei quali poterono assicurarsi la totale fedeltà soltanto dopo la firma del patto Nato, a cui seguirono altri protocolli di collaborazione molto stringenti; – Per il servizio informazione della polizia (ed in sostanza per tutta la pubblica sicurezza), la linea che si seguì fu quella del reintegro dei quadri dirigenti delle disciolte polizie d’epoca fascista (in particolare Ovra e Pai), il fervente anticomunismo dei quali non era messo in dubbio.
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020-2021
Il colpo di Stato organizzato da Edgardo Sogno mostra una natura molto diversa da quella del golpe Borghese: non è un colpo di Stato neofascista, poiché a suo dire Sogno odiava molto il fascismo, anche se l’odio verso di esso veniva di gran lunga superato dall’odio verso il comunismo, molto più viscerale. Questo è uno dei motivi per i quali inizialmente il progetto trovò approvazione sia in ambienti politici sia in ambienti militari, anche se venne successivamente accantonato perché secondo la valutazione dell’intelligence Usa e della Nato, avrebbe causato più problemi di quelli che voleva risolvere.
Pietro Menichetti, L’Italia del terrore: stragi, colpi di Stato ed eversione di destra, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2019-2020
Nel valutare i fattori che hanno contribuito a fare del 1974 un anno di svolta per la strategia della tensione, va riconosciuta anche “la sincera adesione ai valori di una democrazia parlamentare da parte delle maggiori forze politiche presenti in Parlamento. I pericoli che la democrazia correva nel difficilissimo periodo furono adeguatamente percepiti; le spinte anche internazionali verso una involuzione autoritaria furono certamente intuite, probabilmente conosciute, ma non assecondate” <968. Inoltre, le maggiori eredità del movimento del 1968 avevano favorito la creazione di un contesto sociale “contrario alle ricorrenti tentazioni di pronunciamenti militari e di involuzione autoritaria delle istituzioni, che nella seconda metà del decennio vennero quindi in gran parte abbandonate” <969.
[NOTE]
968 G. Pellegrino, Proposta di relazione, in Commissione stragi, cit. p. 118.
969 Ibidem.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020
Una terza costante è rappresentata sia dai numerosi depistaggi, sia dagli apparati statali che obbedivano a logiche diverse rispetto a quelle democratiche <165. La difficoltà maggiore, nella stesura dell’elaborato, è dovuta proprio al fatto che su molte delle vicende trattate non sia stata fatta sufficiente chiarezza. Non sono state chiarite (se vi sono state) le responsabilità internazionali, non è stata fatta luce sul ruolo dei servizi segreti e sui loro rapporti con la P2. Queste informazioni sarebbero state fondamentali, poiché appare piuttosto inverosimile che dei movimenti extraparlamentari abbiano potuto agire da soli. Senza delle risposte certe, la politica nostrana si è divisa in quattro direzioni interpretative <166: la prima, riconducibile al PCI, al PSI e alla sinistra della DC, vedeva l’emergere di un nuovo fascismo sostenuto da alcune frange delle forze dell’ordine, dei servizi segreti, dell’esercito e dalla NATO. Questi ultimi utilizzavano l’estrema destra per indurre la sinistra a rinunciare a qualsiasi tipo di aspirazione <167. La seconda ipotesi, riconducibile alla destra della DC, interpretava il fenomeno come manifestazione della teoria degli opposti estremismi, secondo la quale erano in atto dei disegni eversivi provenienti sia da destra che da sinistra <168. La terza ipotesi, riconducibile all’estrema sinistra, interpretava il fenomeno come volto alla costituzione di uno Stato apertamente fascista <169. La quarta ed ultima, riconducibile all’MSI, vedeva nel terrorismo la longa manus dell’URSS <170. Quel che è certo è che il caso italiano non può essere spiegato senza fare un chiaro riferimento alla Guerra fredda. USA e URSS utilizzavano delle «strategie indirette» per inserire i paesi nel loro raggio di controllo, i primi sovvenzionando colpi di Stato, i secondi appoggiando i gruppi che portavano avanti la guerriglia rivoluzionaria. Fu in questo frangente che la NATO adottò la strategia della guerra psicologica in tutti quei paesi europei “a rischio”. Il caso italiano risultò particolarmente difficile poiché ospitava il partito comunista più grande d’Europa. Il declino della strategia della tensione fu dovuto alle dimissioni di Nixon e alla debolezza del successore Ford. La lotta armata, invece, deriva da una sfiducia della sinistra extraparlamentare nei confronti di tutti i partiti, accusati di far parte del Sim; paradossalmente i comunisti, che volevano fermare la violenza attraverso il compromesso storico, crearono per essa un terreno ancor più fertile. Se in un primo momento il problema era il terrorismo di destra fomentato sia da gruppi facinorosi che da vertici dello Stato, ora la questione del terrorismo riguardava anche la sinistra.
[NOTE]
165 A. Speranzoni, F. Magnoni, Le stragi: i processi e la storia. Ipotesi per un’interpretazione unitaria della “strategia della tensione” 1969-1974, Grafiche Biesse Editrice, Martellago-Venezia, 1999.
166 A. Giannulli, La strategia della tensione. Servizi segreti, partiti, golpe falliti, terrore fascista, politica internazionale: un bilancio complessivo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018.
167 A. Giannulli, La strategia della tensione. Servizi segreti, partiti, golpe falliti, terrore fascista, politica
internazionale: un bilancio complessivo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018.
168 Ibidem
169 Ibidem
170 Ibidem
Ida Maria Galeone, Democrazia in bilico: gli anni di piombo e la strategia della tensione in Italia, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2021-2022
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