Una costante rappresentata sia dai numerosi depistaggi, sia dagli apparati statali che obbedivano a logiche diverse rispetto a quelle democratiche

Come si è detto, molti (intellettuali, politici, giudici ecc.) hanno dato ai fatti accaduti in quegli anni un’interpretazione unitaria del fenomeno terrorista di matrice neofascista come di una gigantesco sistema di protezione del potere ordito dalla classe dirigente del Paese. Una classe dirigente senza scrupoli avrebbe guidato le operazioni terroristiche (e golpiste) allo scopo di trarre vantaggi politici (rafforzare deboli coalizioni governative, ottenere il voto degli elettori) e per eliminare il pericolo del sorpasso delle forze di sinistra. Il terrorismo nero non sarebbe stato altro che un componente di un piano molto più ambizioso: “la strategia della tensione”.
Questa posizione può essere riassunta nel famoso articolo di Pasolini pubblicato sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974 e dal titolo “Cos’è questo golpe? Io so”. <54 Una visione degli anni di piombo che godette di grandissima popolarità e conta ancora oggi un gran numero di sostenitori. <55
Tuttavia, un’immagine così unitaria dell’eversione neofascista non pare sufficiente a spiegare il fenomeno. Leggendo l’opera di Satta, centrando l’attenzione sull’attività degli apparati dello Stato coinvolti nella lotta antiterrorista ed esaminando i fatti, ci si rende conto che questi presentano una realtà contraddittoria e spesso rendono impossibile usare un’unica chiave interpretativa.
Analizzando cronologicamente l’attività terrorista di matrice fascista, ad esempio, si osserva che le date degli attentati non coinciderebbero con nessun concreto successo del PCI. <56 Non sarebbe dunque possibile giungere all’unica conclusione che questa non possa che essere considerata come una risposta anticomunista, dovuta al pericolo rappresentato dai crescenti successi del PCI in ambito politico. Invece, lo stragismo sarebbe stato, secondo Satta, la manifestazione di una strategia antisistema, antidemocratica e anticapitalista. Lo dimostrerebbero ad esempio le parole di Franco Freda, <57 nonché il fatto che una volta fallito l’obiettivo di destabilizzazione dell’ordine democratico, gli stessi terroristi avrebbero fatto un passo indietro. <58
D’altra parte, non si possono dimenticare le irregolarità commesse durante i processi, le collusioni dimostrate tra servizi segreti e ambienti neofascisti, le responsabilità dei dirigenti politici, degli organi di stampa, il coinvolgimento di istanze straniere, aspetti negativi solo parzialmente compensati dall’operato e dagli esiti in parte positivi di indagini e processi che avevano finito per individuare almeno la matrice degli attentati e messo in luce le irregolarità e collusioni di cui sopra.
Mirco Dondi giunge ad inserire il terrorismo degli anni di piombo all’interno della costruzione di uno “Stato intersecato”, nel quale diverse strutture si sovrapponevano facendo sì che uomini dei servizi segreti fossero allo stesso tempo parte delle organizzazioni eversive. <59 Le conseguenze sulla vita democratica di tale struttura sarebbero state devastanti: non solo attentati terroristici, ma la possibilità di influire sulle nomine delle forze armate e degli apparati di sicurezza, e condizionando la giustizia.
Invece, parlare di un vero e proprio “terrorismo o stragismo di Stato”, parrebbe improprio, essenzialmente perché “Stato” è un concetto complesso, in cui intervengono soggetti assai diversi tra loro. Durante “gli anni di piombo” le istituzioni dello Stato e della società civile (apparati di polizia, della magistratura, rappresentanti politici, i sindacati) hanno lavorato duramente e in una situazione sommamente difficile per sconfiggere il terrorismo. Mentre non esisterebbero prove che «un ceto dirigente di governo o una sua parte significativa abbiano pianificato stragi e assassinii». <60
Secondo Satta, questo uso improprio del concetto di strage, che si è propagato a macchia d’olio fra i giovani di sinistra e questa visione dello Stato italiano come di un assassino che addirittura pianifica gli attentati, si sommava, o ne era la conseguenza, ad un antistatalismo già diffuso nel Paese. <61 All’epoca ebbe senz’altro delle conseguenze importantissime e gravi, contribuendo a creare un ambiente propizio alla legittimazione di una risposta terroristica e violenta.
Tornando a Pasolini, si deve ricordare che il suo punto di vista non era né quello dello storico, né del giurista, ma di un intellettuale, un poeta, la cui missione, potremmo dire, è quella di illuminare i comuni mortali su una verità che va oltre i dati di fatto. Il contributo di Pasolini rimane estremamente prezioso in un’epoca nella quale la prassi comune nella società italiana, dalle istituzioni statali alla familia, era comunque quella di mettere a tacere tutto quello che poteva risultare scomodo. Era la voce di chi, dotato di una particolare sensibilità, avvertiva gli scompensi del sistema e voleva muovere le nuove generazioni a prendere in mano le redini della propia vita e a ricercare la verità attivamente, anche oltre le apparenze. Si trattava inoltre di una critica necessaria che avrebbe propiziato il dibattito fra le forze politiche e le diverse istanze della società e attraverso il quale si potè avanzare nel chiarire e organizzare un’efficace risposta al terrorismo, una risposta che, per vincere, doveva provenire dall’insieme della società italiana.
[NOTE]
54 Pier Paolo Pasolini, “Cos’è questo golpe? Io so”, in Corriere della Sera, 14 novembre 1974, in http://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html, consultato il 02/08/18.; Mirco Dondi, L’eco del boato…, cit., p. 395. Dondi precisa che l’articolo di Pasolini uscì pochi giorni dopo l’arresto del generale Vito Miceli che era stato capo del Sid, accusato di cospirazione contro lo Stato.
55 Tra questi c’è ad esempio Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica, Einaudi, Torino 2011, p. 525. Il titolo dell’articolo di Pasolini è stato poi più volte ripreso, riutilizzato e adattato da molti anche in tempi recentissimi (come ricorda Guido Vitiello nel suo articolo “Più Sciascia e meno Pasolini”, in La Lettura, supplemento domenicale del Corriere della Sera, 19 dicembre 2012, in http://lettura.corriere.it/piu-sciascia-meno-pasolini/, consultato il 28/08/18), come nel caso del magistrato Antonio Ingroia, autore insieme a Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza del libro Io so, Chiarelettere, 2012, che cerca di ricostruire la verità dei rapporti fra mafia e Stato.
56 Vladimiro Satta, I nemici della Repubblica…, cit., p. 428.
57 Vladimiro Satta, I nemici della Repubblica…, cit., p. 263 e ss.
58 Secondo Satta, il terrorismo di matrice fascista si fu progressivamente debilitando, non tanto per i meriti delle forze di polizia o dei servizi segreti, ma più probabilmente perché vide poco a poco sfumare i suoi obiettivi politici. Vladimiro Satta, “La risposta dello Stato al terrorismo: gli apparati e la legislazione”, in Vene aperte del delitto Moro: terrorismo, PCI, trame e servizi segreti. – (Radici del presente), Firenze, Mauro Pagliai, 2009, p. 241.
59 Mirco Dondi, L’eco del boato…, cit., p. 400 e ss. L’autore individua tre livelli: i Nuclei di difesa dello Stato, di emanazione statale; la Rosa dei Venti e la Loggia P2 con importanti rappresentanti delle istituzioni; ON, AN, Fronte nazionale, Mar e Ordine nero, “cinque organizzazioni i cui atti criminosi sono coperti dalle istituzioni”. Le prime tre avrebbero avuto funzioni superiori rispetto alle altre.
60 Sono queste le parole dello storico Giovanni Sabbatucci nell’intervista rilasciata a Gian Guido Vecchi e pubblicata con il titolo “Lo stragismo di Stato? Categoria che non esiste”, in Corriere della Sera, 15 settembre 2008, in https://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera/20080915/281805689734907, consultato il 10/07/17. Secondo Sabbatucci: «Terrorismo di Stato è il nazismo, naturalmente. Sono Stalin, il regime militare argentino, i colonnelli greci […] Ma deve avere una regia politica, istituzionale. […] E invece in Italia la formula si è ripetuta con disinvoltura».
61 Alessandro Naccarato, Difendere la democrazia…, cit., p. 26.
Lilia Zanelli, Gli anni di piombo nella letteratura e nell’arte degli anni Duemila, Tesi di dottorato, Università di Salamanca, 2018

In questo contesto, il 17 maggio 1973, davanti alla Questura di Milano, durante una cerimonia in memoria del commissario Luigi Calabresi, lo scoppio di un ordigno provocò la morte di quattro persone. Subito arrestato, l’attentatore Gianfranco Bertoli si professò anarchico: una versione smentita successivamente dalle indagini della magistratura, da cui emersero contatti di rilievo con i servizi segreti italiani e, indirettamente, con quelli statunitensi <952. Anzitutto, si appurò che il Bertoli fosse un uomo della destra eversiva, vicino alla cellula veneta di On e a Carlo Maria Maggi. Bertoli inoltre era stata una fonte informativa del Sifar e poi del Sid, con tanto di retribuzione, e proprio da parte degli organismi di intelligence era scattata, subito dopo l’azione, la protezione e la copertura finalizzata a coprire l’identità politica dell’attentato. L’obiettivo della strage era quello di attentare alla vita di Rumor, presente alla commemorazione, colpevole di non aver proclamato lo stato di emergenza subito dopo la strage di Piazza Fontana e di aver promosso lo scioglimento di On nel febbraio 1972. In linea più generale, tuttavia, la strage si proponeva di determinare uno stato di caos e di tensione tale da rendere necessaria una svolta autoritaria. La matrice anarchica dell’attentato serviva solamente a mimetizzare i veri mandanti e responsabili dell’attentato, esattamente secondo le linee indicate nel Field Manual 30-31 e nel piano Chaos, volto a introdurre in gruppi di estrema sinistra elementi mimetizzati appartenenti a servizi di sicurezza o comunque legati agli ambienti estremisti, convincendo la popolazione che i colpevoli della strage fossero da individuare a sinistra. Per queste ragioni, e per tutti gli elementi emersi dalle inchieste giudiziarie che collegano Bertoli ad ambienti della destra e dell’intelligence, l’attentato alla Questura di Milano non può ritenersi un gesto isolato, ma va inserito all’interno della strategia della tensione e di un quadro costituito oltreoceano e già entrato in attività nei precedenti attentati che, attraverso una sofisticata opera di mimetizzazione, ha posto in essere l’operazione di occultamento della vera identità di Bertoli.
[…] I riflessi della svolta del 1974 si ebbero anche in Italia. Gli eventi susseguitisi durante tutto l’arco dell’anno fanno infatti pensare “a un mutamento parziale di strategia della Cia all’interno del blocco occidentale e dunque anche in Italia” <959. La portata di questo cambiamento si coglie nelle parole di Giovanni Pellegrino: “L’obiettivo strategico non mutò: restò ferma cioè la direzione di contrasto all’espansionismo comunista; a mutare furono i mezzi, meno rozzi e più sofisticati, cui fu affidato il perseguimento dell’obiettivo. Le tensioni sociali non sarebbero state più artificiosamente acuite nella prospettiva di creare le precondizioni di un golpe o comunque di una involuzione autoritaria delle istituzioni democratiche. Nel permanere e nel consolidarsi di queste, le tensioni sociali sarebbero state soltanto, in qualche modo ed entro certi militi, “tollerate” al fine di utilizzarne l’impatto su settori dell’opinione pubblica favorevoli al consolidamento elettorale di soluzioni politiche non eccessivamente sbilanciate a sinistra e sostanzialmente moderate” <960. Secondo questa ipotesi, pur continuando ad essere importante l’obiettivo di stabilizzare il quadro italiano, del quale preoccupavano soprattutto l’apertura a sinistra e le tensioni sociali, la strategia aggressiva che aveva caratterizzato l’operato degli Usa in Italia subì una battuta di arresto <961.
Gli aiuti finanziari occulti iniziarono ad essere distribuiti in maniera più cauta, evitando di destinarli ad esponenti dell’estrema destra e ai singoli candidati, e preferendo invece programmi elettorali circoscritti e ben definiti <962. Le forze che in Italia avevano tentato di sovvertire l’ordine democratico, si ritrovarono improvvisamente senza appoggio. In questo contesto appare comprensibile anche la decisione del governo italiano di colpire i vertici dello stato e gli esponenti delle organizzazioni più compromessi con l’eversione di destra <963.
[NOTE]
952 Il processo nei confronti di Bertoli, colto in flagranza, si concluse rapidamente con una condanna all’ergastolo emessa dalla Corte d’assise di Milano il 1° marzo 1975, confermata sia in appello che in cassazione e divenuta definitiva l’anno dopo. Più lungo fu invece l’iter del processo cui furono sottoposti Carlo Maria Maggi, Francesco Neami, Giorgio Boffelli, Amos Spiazzi e Carlo Digilio, accusati di essere stati i mandanti della strage e rinviati a giudizio il 18 luglio 1998 dal giudice istruttore di Milano Antonio Lombardi. A giudizio fu rinviato anche il generale Gian Adelio Maletti, capo del Reparto D del Sid, accusato di omissione di atti d’ufficio nonché di sottrazione e soppressione di atti e documenti riguardanti la sicurezza dello Stato. Le vicende giudiziarie e i fatti del 17 maggio sono ricostruiti da: P. Calogero, Questura di Milano, via Fatebenefratelli (17 maggio 1973), in A. Ventrone (a cura di), L’Italia delle stragi, cit. pp. 69-77.
959 N. Tranfaglia, La strategia della tensione e i due terrorismi, in C. Venturoli (a cura di), Come studiare il terrorismo e le stragi. Fonti e metodi, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 42-43.
960 G. Pellegrino, Proposta di relazione, in Commissione stragi, cit. p. 116.
961 P. Pellizzari, La strage di piazza Loggia e l’occhio statunitense, in “Storia e Futuro. Rivista di storia e storiografia”, 20, giugno 2009, disponibile al link: http://storiaefuturo.eu/strage-piazza-loggia-locchio-statunitense/.
962 Gli aiuti poi saranno interrotti nel mese di dicembre 1974, per opposizione del Congresso allo stanziamento di 6 milioni di dollari da parte di Ford. C. Gatti, Rimanga tra noi, cit. pp. 144-145.
963 L. Cominelli, L’Italia sotto tutela, cit. p. 167.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

Dunque, dobbiamo sempre tenere conto di due elementi di fondo che per l’intelligence statunitense erano imprescindibili: una totale fedeltà atlantica (sancita pubblicamente con la firma del patto NATO) da una parte e un intransigente anticomunismo dall’altra. Gli americani, per assicurarsi che le nuove strutture italiane corrispondessero ad almeno uno di questi due principi, adottarono due linee diverse per l’uno e per l’altro servizio: – Per riformare il servizio militare si appoggiarono all’ambiente dell’antifascismo bianco e del lealismo monarchico, coi quali avevano già collaborato durante la guerra dopo l’otto settembre, e dei quali poterono assicurarsi la totale fedeltà soltanto dopo la firma del patto Nato, a cui seguirono altri protocolli di collaborazione molto stringenti; – Per il servizio informazione della polizia (ed in sostanza per tutta la pubblica sicurezza), la linea che si seguì fu quella del reintegro dei quadri dirigenti delle disciolte polizie d’epoca fascista (in particolare Ovra e Pai), il fervente anticomunismo dei quali non era messo in dubbio.
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020-2021

Il colpo di Stato organizzato da Edgardo Sogno mostra una natura molto diversa da quella del golpe Borghese: non è un colpo di Stato neofascista, poiché a suo dire Sogno odiava molto il fascismo, anche se l’odio verso di esso veniva di gran lunga superato dall’odio verso il comunismo, molto più viscerale. Questo è uno dei motivi per i quali inizialmente il progetto trovò approvazione sia in ambienti politici sia in ambienti militari, anche se venne successivamente accantonato perché secondo la valutazione dell’intelligence Usa e della Nato, avrebbe causato più problemi di quelli che voleva risolvere.
Pietro Menichetti, L’Italia del terrore: stragi, colpi di Stato ed eversione di destra, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2019-2020

Nel valutare i fattori che hanno contribuito a fare del 1974 un anno di svolta per la strategia della tensione, va riconosciuta anche “la sincera adesione ai valori di una democrazia parlamentare da parte delle maggiori forze politiche presenti in Parlamento. I pericoli che la democrazia correva nel difficilissimo periodo furono adeguatamente percepiti; le spinte anche internazionali verso una involuzione autoritaria furono certamente intuite, probabilmente conosciute, ma non assecondate” <968. Inoltre, le maggiori eredità del movimento del 1968 avevano favorito la creazione di un contesto sociale “contrario alle ricorrenti tentazioni di pronunciamenti militari e di involuzione autoritaria delle istituzioni, che nella seconda metà del decennio vennero quindi in gran parte abbandonate” <969.
[NOTE]
968 G. Pellegrino, Proposta di relazione, in Commissione stragi, cit. p. 118.
969 Ibidem.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

Una terza costante è rappresentata sia dai numerosi depistaggi, sia dagli apparati statali che obbedivano a logiche diverse rispetto a quelle democratiche <165. La difficoltà maggiore, nella stesura dell’elaborato, è dovuta proprio al fatto che su molte delle vicende trattate non sia stata fatta sufficiente chiarezza. Non sono state chiarite (se vi sono state) le responsabilità internazionali, non è stata fatta luce sul ruolo dei servizi segreti e sui loro rapporti con la P2. Queste informazioni sarebbero state fondamentali, poiché appare piuttosto inverosimile che dei movimenti extraparlamentari abbiano potuto agire da soli. Senza delle risposte certe, la politica nostrana si è divisa in quattro direzioni interpretative <166: la prima, riconducibile al PCI, al PSI e alla sinistra della DC, vedeva l’emergere di un nuovo fascismo sostenuto da alcune frange delle forze dell’ordine, dei servizi segreti, dell’esercito e dalla NATO. Questi ultimi utilizzavano l’estrema destra per indurre la sinistra a rinunciare a qualsiasi tipo di aspirazione <167. La seconda ipotesi, riconducibile alla destra della DC, interpretava il fenomeno come manifestazione della teoria degli opposti estremismi, secondo la quale erano in atto dei disegni eversivi provenienti sia da destra che da sinistra <168. La terza ipotesi, riconducibile all’estrema sinistra, interpretava il fenomeno come volto alla costituzione di uno Stato apertamente fascista <169. La quarta ed ultima, riconducibile all’MSI, vedeva nel terrorismo la longa manus dell’URSS <170. Quel che è certo è che il caso italiano non può essere spiegato senza fare un chiaro riferimento alla Guerra fredda. USA e URSS utilizzavano delle «strategie indirette» per inserire i paesi nel loro raggio di controllo, i primi sovvenzionando colpi di Stato, i secondi appoggiando i gruppi che portavano avanti la guerriglia rivoluzionaria. Fu in questo frangente che la NATO adottò la strategia della guerra psicologica in tutti quei paesi europei “a rischio”. Il caso italiano risultò particolarmente difficile poiché ospitava il partito comunista più grande d’Europa. Il declino della strategia della tensione fu dovuto alle dimissioni di Nixon e alla debolezza del successore Ford. La lotta armata, invece, deriva da una sfiducia della sinistra extraparlamentare nei confronti di tutti i partiti, accusati di far parte del Sim; paradossalmente i comunisti, che volevano fermare la violenza attraverso il compromesso storico, crearono per essa un terreno ancor più fertile. Se in un primo momento il problema era il terrorismo di destra fomentato sia da gruppi facinorosi che da vertici dello Stato, ora la questione del terrorismo riguardava anche la sinistra.
[NOTE]
165 A. Speranzoni, F. Magnoni, Le stragi: i processi e la storia. Ipotesi per un’interpretazione unitaria della “strategia della tensione” 1969-1974, Grafiche Biesse Editrice, Martellago-Venezia, 1999.
166 A. Giannulli, La strategia della tensione. Servizi segreti, partiti, golpe falliti, terrore fascista, politica internazionale: un bilancio complessivo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018.
167 A. Giannulli, La strategia della tensione. Servizi segreti, partiti, golpe falliti, terrore fascista, politica
internazionale: un bilancio complessivo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018.
168 Ibidem
169 Ibidem
170 Ibidem
Ida Maria Galeone, Democrazia in bilico: gli anni di piombo e la strategia della tensione in Italia, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2021-2022

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Circa alcuni agenti nazisti reclutati dai servizi segreti americani

Il segretario di Stato dette il suo assenso e nel mese di maggio [1947] le autorità militari decisero di trasferire Dollmann nella zona di occupazione statunitense nella Germania dell’Ovest, considerando che lì avrebbe potuto svolgere compiti di maggiore utilità rispetto a quanto avrebbe potuto fare se fosse espatriato in America Latina, come ipotizzato inizialmente da Angleton <362. Il 22 ottobre da Washington il direttore dell’Office of Special Operations, l’agenzia coordinata con il CIG che si occupava delle operazioni clandestine all’estero, ordinò che Dollmann rimanesse in Germania e che per nessun motivo fosse permesso agli italiani di ottenerne la custodia: “Dollmann e Wenner non devono essere consegnati all’Italia né ora né nel prevedibile futuro. Se vanno in Italia saranno arrestati, interrogati, esposti, e facilmente accusati di essere criminali di guerra. Non si ritiene che possano avere alcuna possibile copertura adeguata considerando i rischi e ciò che sta dietro a questo caso. (…) Preferisco altamente che rimangano nell’AmZone in Germania” <363. Per circa un anno l’ex-gerarca nazista rimase quindi nella sua terra d’origine, un periodo durante il quale iniziò un rapporto di attiva collaborazione per l’intelligence americana: la sezione del CIC di Monaco gli affidò l’incarico di redigere rapporti settimanali. Nel 1948 i vertici della sezione OSO, l’Office of Special Operations, valutarono che era pronto per iniziare la sua attività di collaborazione per lo spionaggio in Italia e lo inviarono presso la sede del CIC di Milano <364.
La linea di azione messa in campo nell’immediato dopoguerra da Angleton e dai vertici dell’intelligence statunitense, tesa ad aggirare ogni tipo di legalità e di sovranità nazionale dei paesi allo scopo di salvare – e poi utilizzare – grossi personaggi nazisti e repubblichini, mostra come le dinamiche della guerra fredda abbiano investito pesantemente fin dall’inizio la ricostituzione post-bellica del paese. Il quadro complessivo che emerge, in cui si inseriscono queste vicende, è quello in cui nella sfera dei servizi segreti l’obiettivo del contenimento del comunismo, e quindi la salvaguardia degli interessi geopolitici statunitensi, si legava alla convinzione che l’importanza dei fini potesse giustificare l’adozione di qualsiasi mezzo <365.
[…] La stessa logica utilizzata da Angleton in Italia per Borghese e Dollmann, si ritrova del resto in un’operazione dello stesso tipo che fu messa a punto in Germania, dove il generale Reinhard Gehlen, capo del Fremde Heeren Ost, la sezione del servizio segreto militare nazista che si occupava del fronte orientale, venne immediatamente assunto nelle fila dell’intelligence americana, pochi giorni dopo la resa incondizionata dichiarata dalla Germania. Nei primi mesi del 2002 il governo americano ha declassificato i documenti relativi al reclutamento di Gehlen insieme alla sua rete di agenti nazisti da parte dei servizi segreti americani, acquisiti dal National Archives and Records Administration l’8 maggio 2002 <366. In questi rapporti ufficiali si legge che nel giugno del ’45, dopo il collasso della Germania nazista, Gehlen fu ingaggiato dall’U.S. Army per continuare il suo lavoro di intelligence, ma questa volta per l’America. A tal fine Gehlen nelle settimane successive fece assumere moltissimi membri delle Ss, ricostituendo così il suo intero gruppo di lavoro originario con il quale aveva operato per il Führer. Uno dei direttori della sezione dell’intelligence Usa in Germania, Crosby Lewis, nel settembre del ’46 tira le fila dell’operazione “Keystone” in un lungo documento top secret. Dal suo racconto dettagliato apprendiamo informazioni fondamentali e sconcertanti relative all’evoluzione di tutta l’operazione che riguardava Gehlen e la sua rete. Il generale Gehlen “era negli Stati Uniti”, scrive Crosby Lewis, fin dalle prime settimane dopo la fine del conflitto, “essendo stato portato lì dal G-2, War Department, (…) insieme a personale della Fremde Heere Ost” <367. Gehlen era rimasto per molto tempo con i suoi collaboratori negli Stati Uniti, fino alla primavera-estate del ’46. Lewis rivela anche come riguardo agli elementi dell’organizzazione di spionaggio nazista non fosse mai stato redatto alcun rapporto di interrogatorio, poiché “tutto questo personale della Fremde Heere Ost, che era stato catturato dagli americani, non è mai stato interrogato” <368. Nonostante si trattasse dei vertici dello spionaggio nazista, dunque, la decisione di assumerli in blocco nell’intelligence Usa aveva fatto sì che addirittura non gli fosse stata posta alcuna domanda relativa alle loro conoscenze o alle operazioni che avevano portato avanti, procedura senza dubbio anomala. Lewis venne in seguito in contatto con uno dei dirigenti della Fremde Heeren Ost, di nome Oberst Baun, per accordarsi in merito alla costruzione di una sezione di intelligence Usa in Germania che avrebbe dovuto essere gestita direttamente dal comandante nazista, con tutti i suoi ex-collaboratori, il cui “obiettivo finale” doveva essere “l’Unione Sovietica” <369. A questo proposito Lewis racconta un dettaglio che lo aveva colpito: “Quando arrivai a Oberursel – la sede dell’SSU – scoprii che Baun non era trattato come un prigioniero normale, ma più come un ‘ospite’, e che non era suscettibile di interrogatorio”. L’operazione di assunzione di Gehlen e di tutta la sua rete di agenti nei ranghi dell’Oss, come emerge dai documenti, fu considerata un grande successo dagli agenti americani: “Alla metà di luglio 1945, eravamo riusciti a ricostituire lo staff e le persone chiave della rete del generale Gehlen, con tutti i suoi importanti documenti, ed eravamo molto coscienti della miniera d’oro che avevamo trovato. <370 Uno dei fattori che resero Gehlen e i nazisti della sua rete molto importanti per gli interessi strategici americani fu la loro esperienza e le loro conoscenze di intelligence maturate nella guerra contro l’Urss: tutto il lavoro di raccolta di informazioni e di penetrazione nel territorio, insieme alla conoscenza dei servizi segreti sovietici, e tutta la documentazione da loro raccolta, si rivelavano ora preziosi per gli Stati Uniti. Il generale Gehlen, dopo essere stato per quattro anni alle dipendenze dell’esercito statunitense, nel 1949 passò direttamente sotto il controllo della Cia, la quale aveva deciso di subentrare come “Gehlen’s main patron” <371.
Anche il maggiore delle Ss Karl Hass, condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine per aver partecipato attivamente al massacro, fu reclutato dagli agenti statunitensi immediatamente dopo la fine del conflitto. Nei giorni della Liberazione era stato arrestato dagli Alleati e tenuto sotto custodia americana: poco tempo dopo però anche a lui fu proposta la collaborazione, da un ufficiale del servizio di controspionaggio statunitense <372. Egli stesso – come è emerso dai lavori della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti – interrogato nel luglio del 1996 dai carabinieri del Ros ha confermato tale ricostruzione, affermando anche che in seguito alla collaborazione i servizi di informazione statunitensi gli consentirono, come era avvenuto per Dollmann, di cambiare identità, e di vivere poi indisturbato in Italia, evitando in questo modo che fosse catturato dalle forze dell’ordine che lo ricercavano <373.
[NOTE]
362 NARA, RG 263, Entry ZZ-18, Box 27, telegramma per il segretario di Stato datato 8 maggio 1947.
363 NARA, RG 263, Entry ZZ-18, Box 27, telegramma segreto del direttore della sezione Special Operation del CIG, datato 22 ottobre 1947, per il capo della stazione dell’intelligence in Germania Heidelberg.
364 NARA, RG 263, Entry ZZ-18, Box 27, telegramma per il capo della stazione CIG in Germania datato 6 maggio 1949: “Il soggetto – si legge nel telegramma – è stato fatto entrare di nascosto in Italia da Innsbruck passando per il passo del Brennero all’inizio del 1948, tramite un trasporto speciale effettuato in accordo con il soggetto dal maggiore Bell, USFA Liaison Officer ad Innsbruck”.
365 Sottolineano a questo proposito gli autori del volume U.S. Intelligence and the Nazis: “L’utilizzo da parte americana dei criminali di guerra fu un errore grossolano sotto diversi aspetti. (…) Non c’era alcuna ragione irresistibile per iniziare il periodo del dopoguerra con l’assistenza di alcuni di coloro che erano associati ai peggiori crimini della guerra. La mancanza di sufficiente attenzione per la storia – e ad un livello personale, al carattere e alla moralità – stabilirono un cattivo precedente, specialmente per le nuove agenzie di intelligence. Ciò inoltre portò all’interno delle organizzazioni di intelligence uomini e donne incapaci a priori di distinguere tra le loro convinzioni politiche/ideologiche e la realtà. Come risultato, essi non riuscirono e non poterono produrre buona intelligence. Alla fine, poiché le loro nuove «convinzioni democratiche» erano quantomeno incerte ed il loro passato poteva essere utilizzato contro di loro, alcuni di essi avrebbero potuto essere ricattati dalle agenzie di intelligence comuniste. E dunque rappresentarono un potenziale problema per la sicurezza”. R. Breitman e N. J. Goda, U.S. Intelligence
and the Nazis, cit., p. 7.
366 Il gruppo di documenti declassificati della CIA relativi all’ingaggio di Gehlen si chiama Nazi War Crimes Disclosure Act. Alcuni di questi documenti sono stati pubblicati sul sito ufficiale dello U.S. National Archives and Records Administration
367 NARA, RG 226, Entry 210, Box 349, Folder 1. Il documento, intitolato proprio Keystone Operation e datato 22 settembre 1946, fa parte di un’altra serie di documenti Cia, declassificati successivamente alla serie Nazi War Crimes Disclosure Act, su particolare richiesta dell’archivio nazionale: le entries 210-220.
368 Ibidem, c. 1.
369 Ibidem.
370 Documento intitolato Report of Initial Contacts with General Gehlen’s Organization, compilato dall’agente John R. Boker e datato 1 maggio 1952. Il documento fa parte del report Forging an Intelligence Partnership: CIA and the Origins of the BND, 1945-1949. A Documentary History, stilato dal CIA History Staff, Center for the Study of Intelligence, European Division, Directorate of Operations nel 1999, declassificato nel 2002. Opening of CIA Records under Nazi War Crimes Disclosure Act, U.S. National Archives and Records Administration, pubblicato a cura del National Security Archive della George Washington University, alla pagina http://www.gwu.edu/~nsarchiv. Questo documento fa parte della serie Nazi War Crimes Disclosure Act.
371 Ibidem. Contemporaneamente all’inserimento di Gehlen nelle fila dell’intelligence statunitense, venivano arruolati dall’Oss anche cinque stretti collaboratori di Adolf Eichmann, l’uomo che aveva concepito e portato avanti la politica di sterminio degli ebrei; Otto von Bolschwing, ufficiale della Gestapo che aveva pianificato in Austria l’espropriazione dei beni degli ebrei, fu aiutato a nascondersi dalla polizia austriaca, per poi farlo entrare negli States nel 1953, dove lo assunsero con contratto regolare; Theodor Saeveche, che aveva ricoperto la carica di alto ufficiale delle Ss a Milano durante la Repubblica di Salò, occupandosi tra le altre cose dell’annientamento dei partigiani, fu reclutato con il compito di effettuare attività di spionaggio nella Germania Ovest. Il caso del capitano Saeveche in particolare, è stato attentamente analizzato dalla Commissione parlamentare d’Inchiesta sulle cause dell’occultamento dei crimini nazifascisti, che ha riscontrato come fosse stato assunto nei ranghi dell’intelligence Usa nonostante ai suoi stessi reclutatori fosse “noto che egli era ancora convinto della bontà dei principi del nazional-socialismo” (Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n. 18-bis, relazione cit., p. 217). Nel corso degli interrogatori condotti dalle autorità alleate nelle settimane successive alla fine del conflitto Saeveche aveva confessato ad esempio la responsabilità nell’eccidio di partigiani di piazzale Loreto, e la responsabilità della fucilazione di massa di civili scelti a caso, in risposta all’uccisione di un tedesco avvenuta pochi giorni prima, effettuata a Corbetta nell’estate del ’44. In seguito all’avvenuto reclutamento, l’intelligence di fatto aveva impedito al tribunale italiano di giudicarlo per questi crimini. Cfr. Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n. 18-bis, relazione cit., pp. 217-218.
372 Cfr. i lavori della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n. 18-bis, relazione cit., pp. 206-211.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno accademico 2009-2010

Ulteriori informazioni sembrano confermare un collegamento più che occasionale tra golpisti e istituzioni statunitensi. Per indicazioni dello stesso Borghese, egli avrebbe costituito il Fn su espressa indicazione di James Jesus Angleton, dirigente della Cia, da cui era stato incoraggiato a imprimere una svolta nella politica italiana che bloccasse la penetrazione comunista <891. Infine, Adriano Monti, implicato nel golpe e successivamente assolto, ha dichiarato di aver fatto parte della rete Gehlen, con il nome in codice Siegfried, nella quale servizi americani ed ex nazisti avrebbero seguito passo dopo passo i preparativi del golpe.
891 A. Giannuli, Il noto servizio, cit. p. 146.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

E molti degli agenti nazisti che avevano operato in Italia furono poi riciclati dai servizi statunitensi nella costituzione di un servizio attivo in funzione anticomunista, la Rete Gehlen, che prese il nome dall’ex capo del controspionaggio nazista nell’Est Europa, il generale Reinhard Gehlen, arruolato proprio da Dulles.
Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

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