📰 Scoperti migliaia di video rubati da oltre duemila telecamere di sorveglianza. Le registrazioni in vendita online prese da case, centri estetici e studi medici

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📰 A Torino spuntano i poster di “Mio Marito”. L’idea di uno street artist che ritrae i volti (censurati) dei membri del gruppo sotto accusa

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📰 Phica, parla l’imprenditore Roberto Maggio: «Non sono io il gestore del sito, mi occupavo dei pagamenti. I contenuti? Non li conoscevo»

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Phica, “Mia Moglie” e l’idiozia digitale: quando la violenza diventa autogol tecnologico

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Una riflessione su violenza e idiozia digitale nell'era del consentimento e della tracciabilità online. Leggi per scoprire come ogni azione digitale lascia tracce e quali sono le r...
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Phica, “Mia Moglie” e l’idiozia digitale: quando la violenza diventa autogol tecnologico

C’è poco da girarci intorno: non è goliardia, non è satira, non è “solo internet”. È violenza. E, insieme, è idiozia digitale. Negli ultimi giorni ho visto l’ennesima ondata di sessualizzazione non consensuale di immagini di donne, condita da migliaia di commenti complici. Chi minimizza fa parte del problema. Punto.

Questa storia, però, dice qualcosa di più ampio. Da anni ragiono sull’orbita dell’emancipazione che deraglia quando la cultura si piega a logiche di potere e umiliazione (short.staipa.it/ye0st). Ho analizzato il peso spropositato delle piattaforme e delle infrastrutture private nelle nostre vite (short.staipa.it/c1hus) e la sottovalutazione collettiva degli abusi informativi che chiamiamo con leggerezza “dossieraggi” (short.staipa.it/hcy4u). E ho provato a usare il sexting come occasione pratica per conoscere meglio lo smartphone e i suoi meccanismi, invece che come spauracchio moralista (short.staipa.it/5vfs7).

Ecco: tutte queste cose si incontrano qui.

L’altra faccia della medaglia: l’autodenuncia permanente

Oltre a essere immorale e –in molti casi– illegale (art. 612‑ter c.p., “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”), questa pratica è tecnicamente suicida per chi la mette in piedi e per chi vi partecipa. Non servono James Bond né super‑hacker; basta il funzionamento ordinario della rete nel 2025.

Un sito ha sempre un’origine tecnica e amministrativa: domini registrati, hosting con contratti e fatture, CDN con log; gli IP di origine non scompaiono perché lo desideriamo. La monetizzazione lascia scie: account pubblicitari, circuiti di pagamento, ricevute. Gli strumenti di analisi (analytics) raccolgono orari, indirizzi IP, impronte del browser. Gli account “usa e getta” non lo sono: nomi ricorrenti, avatar riciclati, orari di accesso che coincidono su più piattaforme incollano identità come colla epossidica.

I file parlano: metadati EXIF, pattern di compressione, nomi e versioni. E anche quando ripuliamo, rimangono copie ovunque: backup automatici del server e del cloud, cache dei motori di ricerca, istantanee su archivi pubblici, repliche/mirror non autorizzati, screenshot degli utenti. Se gira denaro –donazioni, affiliate, abbonamenti– passiamo da procedure KYC (verifica dell’identità) che chiedono identità verificata. E poi ci sono le correlazioni temporali: accessi da casa, in ufficio, al bar sotto casa; le sequenze orarie collegano punti che credevamo separati. Anche l’uso di una VPN non rende invisibili, al massimo sposta il problema di due metri.

Traduzione secca: chi costruisce, alimenta o partecipa a questi spazi produce da sé una quantità smodata di prove. Non è furbizia: è un autogol.

Postilla (mentre scrivo). Mentre scrivo, su Google Immagini, sapendo cosa cercare, è ancora possibile vedere molte delle immagini provenienti da Phica nonostante il sito sia chiuso: cache, copie e ripubblicazioni sono tra le tante tracce che restano.

Post-postilla (mentre pubblico). Google è un motore di ricerca tutto sommato sicuro sotto certi punti di vista (e così anche Bing, o duckduckgo, Yahoo e altri) e ora queste immagini sono state rimosse anche dalle ricerche, probabilmente su spinta delle autorità, ma quanti possono essere i motori di ricerca o i siti che non si comportano in questo modo? Quante le persone o siti che hanno salvato una copia di tutto o parte del materiale?
Uno di questi strumenti l’ho consigliato più volte su questo stesso sito nell’analisi delle Fake News e considerato il suo scopo… c’è ancora molto di visibile lì.

Che cosa questa vicenda dice del nostro rapporto con la tecnologia

Qui entra il mio lavoro sull’uso consapevole delle tecnologie. Non propongo proibizionismi, lo dico da tempo. Dico un’altra cosa: ogni azione digitale crea copie, metadati e traiettorie. Chi subisce ha il diritto di essere protetto; chi agisce ha il dovere di sapere che la rete non dimentica.

In pratica, torno alla lezione del mio pezzo sul sexting: conoscere gli strumenti è la prima difesa. Le foto scattate dai telefoni spesso contengono geolocalizzazione, finiscono in backup automatici su iCloud, Google Foto, OneDrive; cancellare dal rullino non equivale a cancellare dal cloud. Le chat cifrate proteggono una volta arrivate a destinazione, non impediscono screenshot o salvataggi sul dispositivo del destinatario. I gruppi “chiusi” non esistono: esistono cerchie di fiducia che cambiano nel tempo. Se ignoriamo questi meccanismi, facciamo male due volte: a chi subisce e –in prospettiva– anche a noi stessi.

Una precisazione necessaria: rendere le vittime consapevoli serve, ma ha un’utilità relativa. Gli unici veri colpevoli sono quelli che scattano e soprattutto quelli che condividono e quelli che alimentano la diffusione. L’alfabetizzazione di chi subisce aiuta a proteggersi, ma non sposta il baricentro della responsabilità. Ha

senso, invece, lavorare anche sulla consapevolezza di chi condivide: spiegare quante prove e tracce produce ogni gesto (accessi, log, pagamenti, profili collegati), e quanto sia semplice rintracciarli. Se questo messaggio funziona da deterrente, tanto meglio: quando arriva quel pruritino alle dita, si cancellano le immagini e ci si rimette le mani in tasca.

“È solo ironia”, “le foto erano pubbliche”, “non c’è reato”: facciamo chiarezza

No. La satira non è umiliazione seriale. “Pubblico” non significa licenza a sessualizzare o a diffondere senza consenso, e il fatto che qualcosa sia “tecnicamente possibile” non lo rende lecito. In presenza di materiale intimo o sessualmente esplicito, la cornice penale e civile esiste; e in molti contesti bastano partecipazione e concorso (moderazione, commenti, ripubblicazione) per rispondere delle conseguenze.

E adesso, concretamente

Quando capita –e purtroppo capita– la prima mossa non è scrivere ai gestori chiedendo “per favore rimuovete”. La prima mossa è mettere al sicuro le prove (screenshot con URL e orario, link, copie dei contenuti) e attivare i canali ufficiali: piattaforma, provider, forze dell’ordine. In parallelo, supporto psicologico e legale: nessuno deve restare solo.
Se questi siti esistono e durano anni è perché nessuno li denuncia Phica era attivo da più di venti anni. Venti anni per Internet significa generazioni intere di utenti, possibile che nessuno in due decenni abbia avuto la decenza di segnalare la cosa, o anche solo di avvisare uno dei tanti personaggi famosi coinvolti? Non voglio sminuire le mogli sconosciute, è chiaro che loro sarebbe stato difficile avvisarle, ma i volti noti? La polizia postale? Venti anni. Venti.

Una chiosa, a muso duro

L’ignoranza tecnologica non è neutra: fa danni. A chi viene colpito, prima di tutto. Ma anche a chi crede di potersi nascondere dietro un nickname e due trucchi da forum. Basta con la favola che “online siamo tutti anonimi”. Non lo siamo, e resta tutto lì fino a quando è ora di scoprirlo.

Cornice legale essenziale e per ignoranti in materia come me

  • Art. 612‑ter c.p.Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti: punisce chi, dopo averli realizzati o sottratti, invia/consegna/cede/pubblica o diffonde contenuti destinati a rimanere privati senza consenso (reclusione 1–6 anni + multa €5.000–€15.000), e chi li ridiffonde per arrecare nocumento. Aggravanti se commesso da coniuge/ex o mediante strumenti informatici/telematici; procedibilità a querela entro 6 mesi (remissione solo processuale), d’ufficio nei casi aggravati.
  • Art. 110 c.p.Concorso di persone nel reato: moderazione complice, commenti e ripubblicazioni possono integrare concorso.
  • Art. 595 c.p.Diffamazione: quando non vi sia materiale esplicito ma sessualizzazione/umiliazione dell’immagine altrui.
  • Art. 167 e 167‑bis Codice Privacy: trattamento/diffusione illecita di dati personali, specie se su larga scala.
  • Digital Services Act (DSA) – applicazione generale dal 17 febbraio 2024: obblighi di notice‑and‑action, cooperazione con autorità e gestione dei contenuti illegali per piattaforme e hosting. https://digital-strategy.ec.europa.eu/it/policies/digital-services-act

Link utili in queste situazioni

Per chi invece si stesse chiedendo “Ma come faccio a denunciare”? Oddio, non so come muovermi, ecco un po’ di link utili.

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📰 Foto rubate e siti sessisti, la procura di Roma aprirà presto un fascicolo d’indagine: «Sarà sentito anche il gestore di Phica.eu»

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📰 Phica, parla una donna che ha scoperto sue foto sul sito sessista: «Ho dovuto pagare quasi duemila euro per far rimuovere tutto»

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