✍️ Hanin Majadli

⟦ Sulla prima pagina del #DailyExpress, un quotidiano britannico vicino alla destra conservatrice, all'inizio di questa settimana è stata pubblicata la foto di un bambino di Gaza gravemente malnutrito, accompagnata dal titolo: “Per pietà, fermate tutto questo adesso”.

Il sottotitolo recitava: “La sofferenza del piccolo Mohammed, che lotta per sopravvivere nell'inferno di Gaza, è una vergogna per tutti noi”.

Si tratta di una mossa insolita da parte di un organo di stampa solitamente considerato favorevole alla politica israeliana, anche in tempo di guerra.

Lunedì, il primo ministro #BenjaminNetanyahu è apparso nel podcast americano "Full Send", affiliato al canale YouTube pro-Trump "Nelk Boys".
La piattaforma si rivolge a un pubblico americano giovane e di orientamento conservatore. ⬇️2

Tuttavia, il tentativo di entrare in contatto con questa base giovanile conservatrice ha avuto l'effetto contrario.
I conduttori, che hanno cercato di giustificare la loro decisione di invitare #Netanyahu, hanno scatenato un'ondata di reazioni ostili.

Un commento ha persino descritto l'apparizione del primo ministro come “come avere un Hitler dei giorni nostri” – un'osservazione che un tempo sarebbe stata liquidata come marginale, ma che invece è stata confermata dai conduttori, che hanno risposto: “È un'ottima osservazione”.

Non si tratta di episodi isolati, ma piuttosto del riflesso di un cambiamento più ampio all'interno dei schieramenti politici che da tempo sostengono #Israele. ⬇️3

Non si tratta di attivisti woke o di progressisti di sinistra allineati al discorso sui diritti umani, gruppi che Israele è pronto a etichettare come antisemiti o ostili a Israele.

Si tratta invece di voci su cui Israele ha fatto affidamento per decenni: sostenitori dell'ordine occidentale, fautori di una politica di sicurezza ferrea e coloro che vedevano Israele come un attore civilizzato di fronte a un mondo musulmano caotico e minaccioso.

Prima di scrivere questo articolo, ho inviato un messaggio al mio amico Osama.
Non potevo scrivere della fame senza affrontare la difficoltà di entrare in contatto con qualcuno che ne sta soffrendo in questo momento. ⬇️4

“Osama, non riesco a chiederti come stai, perché il solo fatto di contattarti mi fa sentire in imbarazzo. Come posso chiedertelo quando so quanto sia terribile, incomprensibile e disumana la situazione?
Mi addolora profondamente sentire ciò che stai sopportando, sapendo di essere impotente nell'aiutarti, alleviare la situazione o cambiarla.
Ti prego, perdonami.”

Attualmente in Israele è in corso un dibattito nell'opinione pubblica sull'esistenza della fame a Gaza.
Coloro che non la negano discutono su quanto sia diffusa.
Beh, prendetevi tutto il tempo che volete.
Io leggo i testi, ascolto le trasmissioni e provo nausea. ⬇️5

È difficile esprimere a parole la profondità del mio disgusto.
C'è qualcosa di insopportabile nello scrivere in ebraico della fame a Gaza, una lingua in cui si usano così spesso parole di giustificazione, offuscamento e negazione.
Eppure, eccomi qui, a scrivere.

Neonati, donne, uomini, gatti e cani stanno morendo di fame e sofferenze intollerabili.
Le foto “prima e dopo” di Gaza sembrano scattate durante l'Olocausto o in Somalia e Darfur.

Nel frattempo, in una realtà parallela, le navi da crociera di lusso israeliane attraccano a Cipro e Atene, mentre gli asini feriti di Gaza vengono trasportati in aereo sotto l'egida israeliana per ricevere cure mediche e riabilitazione in Francia. ⬇️6

La prima pagina del quotidiano britannico, il podcast americano, il cambiamento di tono tra i circoli conservatori occidentali: niente di tutto questo ha importanza per le masse affamate di #Gaza.
Non cambiano nulla.
E nemmeno il mio articolo.

Mi vergogno di comportarmi in questo modo.
Mi vergogno di mangiare, di scrivere, di condividere. Ogni azione sembra insopportabile quando avviene all'ombra di questa catastrofe umana.⟧
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