Controllo AGCOM ai siti per adulti: protezione dei minori, aggiramenti… e considerazioni
Dal 12 novembre 2025 in Italia i siti con contenuti pornografici devono verificare l’età. Funziona davvero? E cosa succede quando i ragazzi scoprono le VPN (soprattutto quelle “gratis”)?
C’è un’idea semplice alla base del nuovo quadro regolatorio: abbassare l’esposizione “casuale” dei minori alla pornografia e responsabilizzare i grandi player. L’Autorità non ha messo un cartello “vietato ai minori, grazie”; ha costruito un flusso con un soggetto terzo che certifica solo che siamo maggiorenni, senza rivelare chi siamo al sito. È una differenza non da poco: meno dati che girano, più privacy per chi è adulto e vuole esser lasciato in pace.
Cosa prevede, in pratica
La data è fissata: 12 novembre 2025. Da quel giorno i servizi che diffondono in Italia contenuti pornografici devono mostrare la richiesta di verifica dell’età prima di farci entrare. La prova d’età si ottiene da un fornitore indipendente (non il sito “per adulti”), e il sito riceve solo un “ok, è ≥18”, non nome, cognome o documento.
Il modello è chiamato spesso “doppio anonimato”: chi verifica non sa dove andremo, chi ci fa entrare non sa chi siamo. È prevista un’autenticazione per sessione: dopo un po’ di inattività si rifà il passaggio. Niente bagianate tipo “clicca se hai 18 anni”, niente stime via selfie con IA.
Come appare lato utente
Noi arriviamo sulla home e compare la richiesta di verifica. Se è la prima volta, un terzo fidato ci rilascia nell’app/wallet una prova d’età. Dalle volte successive, la “tiriamo fuori” dall’app con due tocchi.
Tecnicamente la prova è un attestato crittografico, spesso monouso e a validità breve: scambiarci un “codice” con qualcun altro per permettergli l’accesso non ha senso, o perché non funziona proprio o perché è già stato consumato. E no, non ci logghiamo al sito con SPID o CIE: quelle credenziali possono servire al terzo per verificare l’età, non vanno esposte al sito erotico.
È un sistema “solido”?
È abbastanza solido per l’obiettivo che si è dato: alzare l’asticella del primo click. Riduce gli accessi occasionali, obbliga i big a smettere di far finta di niente con il banner “18+”. Ma non è a prova di adolescente motivato.
Se i grandi siti attivano il controllo solo per chi arriva dall’Italia (scelta probabile dal punto di vista business), allora una semplice VPN può reindirizzare il traffico dell’adolescente su un indirizzo IP estero e aggirare geofencing e blocchi nazionali, in pratica puù accedere comunque come prima. Se invece un sito decidesse di chiedere la prova d’età a tutti, ovunque, indipendentemente dalla nazione la VPN non aiuterebbe più: dipende dalle scelte implementative dei singoli, ma è molto improbabile accada per ora.
“Primo giorno di scuola”: cronaca semi-seria ma realistica
Proviamo a immaginarlo.
Quarto d’ora dopo, l’accesso tornerà “come prima”. Con una piccola, enorme differenza: tutto il traffico di quei ragazzi (navigazione, DNS, metadata, eventuale messaggistica non cifrata end-to-end, e spesso anche la telemetria delle app) passerà attraverso server di operatori sconosciuti che offrono VPN “gratuite”.
Nella migliore delle ipotesi monetizzeranno con pubblicità aggressiva e raccolta dati; nella peggiore, registreranno e profileranno ciò che passa, inietteranno contenuti, altereranno le risoluzioni DNS, o chiederanno permessi invasivi sul dispositivo.
E c’è un rischio ulteriore: un malintenzionato davvero interessato ad adescare minori potrebbe allestire una finta “VPN gratuita” ad hoc, intercettare il traffico e trovare varchi per contattarli (landing malevole, pop-up “chatta con me”, finti moduli di verifica, reindirizzamenti verso canali privati). Non serve fantasia, basta marketing: “sblocca i siti” e il gioco è fatto.
Dove il castello scricchiola (tecnicamente e socialmente)
I punti deboli non stanno nella crittografia del modello AGCOM, quanto nell’ecosistema:
- Geofencing: il blocco per IP si aggira con una VPN.
- Spostamento di traffico: parte dell’utenza migra su siti non conformi, mirror e soprattutto canali chiusi (Telegram & co.), o alcuni dei moltissimi siti che non appartengono a questa lista obbligata ad aderire.
- Dispositivo degli adulti: nessun age-check web impedisce a un minore di usare lo smartphone sbloccato del genitore.
- Competenze asimmetriche: i ragazzi condividono “ricette” in tempo reale; noi adulti arriviamo sempre dopo di qualche chat.
È davvero per i minori?
Sì, l’obiettivo dichiarato è la tutela dei minori rispetto a un’esposizione precoce e non guidata, con impatti su aspettative, consenso e rappresentazioni del corpo. Però la tutela normativa, da sola, non basta.
Senza un lavoro serio su educazione digitale e educazione sessuale rischiamo il solito gioco del gatto col topo: noi alziamo barriere, loro imparano a saltarle — e magari, peggio, si mettono in mano a servizi pericolosi pur di farlo.
L’elefante nella stanza: l’educazione sessuale e tecnologica a scuola
Se vogliamo proteggere davvero i minori, dobbiamo parlare di sesso, consenso, pornografia e aspettative irrealistiche in modo serio, laico e informato a scuola. Non come demonizzazione, ma come educazione.
Allo stesso modo dobbiamo insegnare l’uso consapevole delle tecnologie: che cos’è una VPN, perché non esistono pasti gratis quando parliamo di servizi “gratuiti”, come funzionano i dati, perché certi strumenti possono essere utili ma anche diventare un problema nelle mani sbagliate. È esattamente il tipo di fallimento che ho raccontato parlando della scuola nell’educazione alla tecnologia: quando smettiamo di spiegare, lasciamo spazio a tutorial su TikTok e consigli nei gruppi Telegram. Ne ho parlato “aggressivamente” anche qui: short.staipa.it/codow
Spieghiamo che cosa c’è dietro i video, perché non sono manuali di vita, che cos’è il rispetto del corpo e della volontà altrui, perché l’intimità non è un tutorial. E, in parallelo, spieghiamo come funzionano gli strumenti digitali, chi può vedere il traffico, che fine fanno i dati che affidiamo a una VPN o a una piattaforma. È un vaccino culturale doppio: non impedisce di ammalarsi, ma riduce rischi e complicazioni sia sul piano sessuale sia su quello tecnologico.
Se vogliamo davvero fare bene il lavoro, mettiamo al centro educazione sessuale ed educazione digitale. Perché la migliore “password” per proteggere i ragazzi non è un token sull’app: è una conversazione che funziona — e la consapevolezza di non regalare il proprio traffico a chi promette scorciatoie “gratis”.
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